Il favagello, che dona i suoi bizzarri nomi all’almanacco medioevale di marzo

Il favagello, cibo quaresimale

Il favagello, nell’almanacco medioevale, era una pianta tipica della quaresima. In tempo di digiuno, se ne mangiavano le foglie in insalata. L’importante è che fossero colte prima della precoce fioritura, perché dopo sarebbero diventate velenose. Se ne mangiavano anche i bulbilli, simili a piccoli fagioli. Che cosa sono? Questa pianta, all’ascella delle foglie, che si levano con lungo picciolo dalla rosetta basale, presenta spesso una radice rigonfia tuberizzata. Essa si stacca facilmente e, trasportata dalla pioggia o dai rigagnoli dei fossi, attecchisce l’anno seguente anche a grande distanza dalla pianta d’origine.

I bulbilli di favagello erano cibo abituale, sulle tavole dei contadini medioevali, quando era ancora sconosciuta la patata. Necessitavano di una lunga cottura per diventare teneri e farinosi. In Germania, soprattutto, davano origine a un vero e proprio prodigio. Durante le copiose piogge primaverili, che vessavano la campagna e che staccavano i bulbilli dalle piante, si rinvenivano consistenti ammassi di tubercoletti sul terreno. Come se si fosse trattato di manna discesa dal cielo insieme con la pioggia stessa. Nei manoscritti medioevali tedeschi, questo fenomeno veniva chiamato “biada dal cielo” o “pioggia di grano”.

bubilli di favagello
bubilli di favagello licenza CC

Le intuizioni fortuite della dottrina dei segni

Come già la polmonaria, che vi abbiamo illustrato a febbraio, anche il favagello, con i suoi bulbilli, era oggetto della cosiddetta dottrina dei segni. Ricordate? Secondo il pensiero medioevale, il simile curava il simile. E se c’era similitudine tra una pianta e un organo malato del corpo umano, quella era l’erba giusta per guarirlo. I bulbilli facevano senz’altro pensare a rigonfiamenti, come quelli che riguardano le vene emorroidali, strutture vascolari del canale anale, quando s’infiammano. Come conseguenza, venivano impiegati nella cura di questa patologia, tanto da assumere il nome tardo latino di hemorrodium herba.

piccoli bubilli di favagello su terriccio grigio
bubilli foto licenza CC

Tutti i nomi curiosi del Ranunculus ficaria L.

A dire il vero, il favagello si porta appresso un piccolo stuolo di nomi bizzarri. Essi fanno quasi sempre riferimento ai bulbilli: si chiama appunto favagello perché assomigliano a favette. Secondo altri, sembrano piccoli fichi: da qui il nome scientifico di Ranunculus ficaria L., con cui Linneo lo catalogò quale specie della famiglia delle Ranuncolacee.

Ma bisogna tornare all’almanacco medioevale, questa volta in Francia, per trovare l’epiteto più scandaloso. Era conosciuto, infatti, come testicolos sacerdoti, creando un legame tra i bulbilli e le parti intime dei preti. Per fortuna, in francese, il favagello fu poi definito come bouton d’or, ossia bottone d’oro. L’oro dei fiori ricorre anche nei nomi medioevali inglesi, ossia golden guineas e goldy knob. In lingua irlandese, il favagello è tuttora chiamato An grán arcáin, che significa “il grano del porcellino”. Ma siccome la parola grán vuol dire tanto chicco di grano quanto palla, evidentemente anche qui c’è un doppio senso…

pagina di almanacco con disegnato favagello dai fiori gialli
immagine licenza CC

Piccolo ritratto botanico del favagello

È un’erba perenne propria dell’Europa, dell’Africa settentrionale e dell’Asia occidentale. Predilige come habitat i boschi e i campi collinari o pianeggianti. Le radici sono fibrose e, in più, ci sono i bulbilli di cui vi abbiamo già parlato. Il fusto è prostrato e a volte non sporge nemmeno dal terreno, creando una sorta di rosetta basale di foglie. Esse hanno un lungo picciolo e sono carnose e cuoriformi, più grandi quelle radicali, più piccole e dentate quelle caulinari.

fogie in primo piano forma tondeggiante

I fiori sbocciano da marzo a maggio, quando la pianta secca, per emettere nuove gemme l’anno successivo. Hanno un diametro compreso tra i 2 e i 5 centimetri, sono quindi abbastanza grandi. Hanno la particolarità di chiudersi con la pioggia e di riaprirsi, quando torna a splendere il sole. La corolla, sorretta da 3 piccoli sepali verdi, è formata da 8-10 petali color giallo oro e assai lucidi. I semi sono acheni piuttosto pelosi, in contrasto con la pianta che è glabra.

fiori di favagello in primo piano

Con il favagello, in fitoterapia la prudenza è d’obbligo

Ve lo abbiamo anticipato: il favagello è una Ranuncolacea e, come tutte le altre specie di questa famiglia, va usato con estrema prudenza. Contiene infatti il ranunculolo o canfora di ranuncolo, che è tossico, sebbene sia qui presente in piccole quantità. Per l’estratto e l’alcolaturo d’uso orale, conviene ricorrere a un medico che ne fornirà la giusta prescrizione come decongestionante e analgesico.

È di impiego comune invece la pomata, molto efficace per lenire le emorroidi che sanguinano e le ragadi del seno. Perché i principi attivi (in questo caso acido ficarico e ficarina) hanno confermato le estemporanee intuizioni della dottrina dei segni, come già per la polmonaria. Quanto alle insalate, alle minestre primaverili e alle scorpacciate di bulbilli, le lasciamo volentieri agli uomini medioevali, che ne ignoravano purtroppo la pericolosità. 

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Maura Maffei
Maura Maffei
Maura Maffei è da trent’anni autrice di romanzi storici ambientati in Irlanda, con 17 pubblicazioni all’attivo, in Italia e all’estero: è tra i pochi autori italiani a essere tradotti in gaelico d’Irlanda (“An Fealltóir”, Coisceim, Dublino, 1999). Ha vinto numerosi premi a livello nazionale e internazionale, tra i quali ci tiene a ricordare il primo premio assoluto al 56° Concorso Letterario Internazionale San Domenichino – Città di Massa, con il romanzo “La Sinfonia del Vento” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2017) e il primo premio Sezione Romanzo Storico al Rotary Bormio Contea2019, con il romanzo “Quel che abisso tace” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2019). È a sua volta attualmente membro della Giuria del Premio Letterario “Lorenzo Alessandri”. Il suo romanzo più recente è “Quel che onda divide” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza 2022) che, come il precedente “Quel che abisso tace”, narra ai lettori il dramma degli emigrati italiani nel Regno Unito, dopo la dichiarazione di Mussolini alla Gran Bretagna, e in particolare l’affondamento dell’Arandora Star, avvenuto il 2 luglio 1940, al largo delle coste irlandesi. In questa tragedia morirono da innocenti 446 nostri connazionali internati civili che, purtroppo, a distanza di più di ottant’anni, non sono ancora menzionati sui libri di storia. Ha frequentato il corso di Erboristeria presso la Facoltà di Farmacia di Urbino, conseguendo la massima votazione e la lode. È anche soprano lirico, con un diploma di compimento in Conservatorio. Ama dipingere, ha una vasta collezione di giochi di società e un’altrettanto vasta cineteca. È appassionata di vecchi film di Hollywood, quelli che si giravano tra gli Anni Trenta e gli Anni Sessanta del secolo scorso. Tra i registi di allora, adora Hawks, Leisen e Capra. Mette sempre la famiglia al primo posto, moglie di Paolo dal 1994 e madre di Maria Eloisa.