Dalle frequenze di Radio Rai, ospite di Fiorello, Lorella Cuccarini, Luca Barbarossa, alle collaborazioni discografiche con Neri Marcorè, Simone Cristicchi, Tony Bungaro, Primiano Di Biase. Luigi Mariano si distingue dai primi passi artistici per un sound ricercato, caratterizzato dalla presenza dei musicisti della band di De Gregori, e una scrittura premiata nel tempo da importanti premi come il Ciampi, il Lunezia, il Bindi e il Daolio. Elementi che testimoniano l’universalità del suo messaggio e l’importanza del suo contributo al panorama musicale italiano.
La musica è sempre stata un’arte capace di toccare le corde più profonde dell’animo umano e di emozionare chi l’ascolta.
Ma quanto conta oggi il testo di una canzone? Quanto può influire sulla percezione che abbiamo di quella musica?
Quando parliamo di Luigi Mariano, oltre che di un fine musicista, compositore e interprete, parliamo innanzi tutto di un maestro della parola.
Dal suo esordio sulla scena musicale, Mariano ha dimostrato di avere un’attenzione particolare per i testi, ricerca che lo ha portato a diventare uno degli autori più interessanti e apprezzati della scena indipendente italiana.
Ha scritto canzoni importanti per il nostro patrimonio culturale. Immortalate nei suoi album “Asincrono”, “Canzoni all’Angolo” e “Mondo Acido”.
Brani come “Errori di Grammatica”, “Rifiorirai”, “L’ottimista triste”, “Il negazionista”, “Quello che non serve più”, “Questo tempo che ho”, “Canzoni all’angolo”, “Sotto sale”, “Il figlio perfetto” – solo per citarne alcuni della sua grande produzione – sono piccoli capolavori degni di lezioni universitarie sull’analisi dei testi canzone.
La sensazione che si ha ascoltando alcune opere di Luigi, è quella di essere di fronte ad un’opera letteraria.
Le sue canzoni -impreziosite da parole ricercate – riescono poi a conquistarci definitamente con il loro sound che sa amalgamarsi alla perfezione con i testi.
Questo aspetto è sempre stato curato attraverso la collaborazione con grandi musicisti, professionisti che collaborano con nomi ricercati del panorama musicale italiano.
Una tradizione cantautorale che riporta ai grandi maestri italiani come Giorgio Gaber, Luigi Tenco, Fabrizio De André, Guccini, De Gregori.
Su Masterclass, la rubrica di Zetatielle Magazine dedicata alle eccellenze della musica italiana, abbiamo il piacere di ospitare Luigi Mariano.


Luigi Mariano. Il pensiero di Gae Capitano
L’attuale mercato discografico ha relegato i testi delle canzoni a un ruolo secondario.
Ci sono artisti che hanno beneficiato della superficialità dei contenuti. Per questo motivo siamo circondati da canzoni i cui testi non trasmettono nient’altro che la loro funzione metrica. Nessuna storia, nessuna morale, nessuna piccola o grande rivelazione.
Un tempo le canzoni nascondevano idee profonde e rivoluzionare.
Da pensieri geniali e ingenui (“Il coccodrillo come fa? Non c’è nessuno che lo sa” – Avogadro & Massara) a fermi immagini di assoluta quotidianità e bellezza, (“Anna avrebbe voluto morire, Marco voleva andarsene lontano, qualcuno li ha visti tornare, tenendosi per mano” – Anna & Marco, Lucio Dalla”), a passaggi letterari immortali e forse irraggiungibili (“Femmine un giorno e poi madri per sempre” – Ave Maria, di De André).
Sono per fortuna molti gli esempi che potremmo citare per evidenziare l’importanza del messaggio intrinseco delle canzoni.
Di alcuni tipi di canzoni, naturalmente.
E per questo motivo la bellezza delle parole delle canzoni di Luigi Mariano diventa ancora più rara e preziosa.
Ho avuto il piacere di conoscere Luigi e la sua arte molto tempo fa. Complice il prestigioso palcoscenico del Premio Lunezia, uno dei più importanti premi italiani dedicati agli autori, dove entrambi siamo stati premiati, in edizioni diverse.
E sicuramente l’ammirazione per il suo mondo musicale ricercato è stato fondamentale per la reciproca stima e amicizia che ci lega da anni. Io e Luigi parliamo lo stesso linguaggio. Quello di molti degli artisti che amo e ho il piacere di ospitare in questa rubrica dedicata alla musica d’eccellenza.
Luigi Mariano è uno quelli. Un cantautore che attraverso la sua arte, riesce a coniugare l’intelligenza, la delicatezza e l’ironia in una sintesi perfetta.
Con una lucidità che affascina. Nelle sue canzoni, infatti, i dettagli vengono descritti con una precisione quasi cinematografica, ma sempre filtrati attraverso uno sguardo acuto e un’ironia sottile.
Perché ogni suo brano, oltre ad essere scritto magistralmente, nasconde quelle morali, quelle allusioni, metafore di cui prima accennavo. Storie che appartengono alla grande scrittura italiana, non solo musicale, ma anche letteraria.
Nel sedimento di parole e musica sono proprio loro che – come schegge d’oro- rimangono nel tempo per emozionarci e stupirci. Come sapevano fare i grande cantautore del passato.
È qui che si manifesta la sua vera grandezza: nella capacità di restituire l’essenza delle cose senza mai appesantire il racconto, ma anzi arricchendolo di sfumature. Con analisi tagliente, sensibilità e ironia.
Come Gaber, anche Mariano sa che quest’ultima, l’ironia, non è mai fine a se stessa, ma è uno strumento per capire la realtà e smontarne i luoghi comuni.
Ma in fondo a tutti questi talenti, la chiave di lettura delle opere di Mariano è una sintesi letteraria e musicale moderna e immediata.
Fattore, che rende la sua arte cantautorale adatta ai nostri tempi veloci. Pur permettendo la rara esperienza di potersi ancora lasciare affascinare da tutta la potenza e il fascino della canzone d’autore.
In un’epoca in cui il successo è spesso legato alla spettacolarizzazione e alla superficialità, Luigi Mariano si distingue come uno dei pochi a portare avanti una visione artistica autentica.
Fatta di musica ricercata e parole che contano.


Luigi Mariano. La biografia
Luigi Mariano è un cantautore di Galatone (Le), romano d’adozione.
Scrive canzoni e suona dal 1992. Vive di musica, coi suoi spettacoli, dal 2007. Abita a Roma da trent’anni, dove suona davanti a un pubblico affezionatissimo e dove si è formato artisticamente.
Ha inciso due dischi molto apprezzati dalla critica e da grandi nomi dello spettacolo: “Asincrono” del 2010 e “Canzoni all’angolo” – disco prodotto dalla Esordisco di Pierre Ruiz, opere che hanno vinto una decina di premi nazionali d’autore: Bindi, Daolio, Ciampi, Lunezia.
Nel giugno 2022 è uscito il suo terzo disco, “Mondo acido”, sempre targato Esordisco, suonato con la band di De Gregori e arrangiato da Primiano Di Biase.
Sempre molto attivo nei concerti, sia da solo in acustico che coi suoi musicisti, da diciotto anni affronta regolarmente piccoli tour nazionali, a partire da Roma e dal Salento, per poi arrivare al centro nord.
Ha collaborato varie volte, in studio e dal vivo, con Neri Marcorè, Simone Cristicchi e Tony Bungaro. È molto legato ad alcuni cantautori “storici” romani, come Ernesto Bassignano ed Edoardo De Angelis, sui palchi dei quali è stato spesso invitato ad esibirsi. Da vent’anni è anche legatissimo al cantautore Pippo Pollina.
È stato spesso apprezzato ospite, in studio, a Radio RAI: da Fiorello, Luca Barbarossa, Lorella Cuccarini. È stato intervistato dal TG1 e da Rai News 24, ma anche da moltissime radio regionali e estere in Argentina, Australia, Germania, Lussemburgo.
Il suo brano “Non ti chiamerò” commenta la scena clou finale di “Fallo per papà.
La sua versione, registrata in quartetto dal vivo, al teatro di Livorno, di “Più di così no” di Piero Ciampi, vincitrice della “Targa Speciale” Premio Ciampi 2013, entra in “Piero Litaliano – 50 anni dopo”, un disco-compilation ufficiale prodotto dal Premio Ciampi e dedicato al tormentato cantautore livornese.
Dal 2003 in poi, sulla falsariga del lavoro eseguito da De Gregori per Dylan, ha adattato in italiano circa sessanta brani di Bruce Springsteen, facendo poi confluire il tutto nello spettacolo acustico “The Italian side of Springsteen”.
Dal 2006 rappresenta nei piccoli teatri italiani, con grandi consensi e apprezzamenti, il suo spettacolo “Chiedo scusa se parlo di Giorgio”, un appassionato omaggio a Gaber, tra i suoi maestri più amati.
Apprezzato fin dal 2008 dalla Fondazione Gaber, Luigi Mariano è stimato fin dal 2010 anche da divulgatori come Andrea Scanzi: quest’ultimo, per il suo ultimo libro “E pensare che c’era Giorgio Gaber” (del 2022), ha chiesto e ottenuto da grandi artisti come Fossati, Guccini, Finardi, Baglioni, Cristiano De André (e molti altri) un pensiero sul signor G, comprendendo in questa lista di pareri anche il suo parere.


L’intervista “Masterclass”
Ormai da alcuni anni lo scambio di pensieri sul mondo della musica e della scrittura di canzoni sono diventati per me e Luigi un appuntamento, che quando il tempo permette, ci concediamo come un regalo.
Perché Luigi è uno di quegli artisti che quando incontri lascia il segno. Con la sua profondità di pensiero, con la sua bravura, con le sue canzoni. Anche con la sua voce. Un dettaglio che nell’insieme di talenti che gli appartengono può sembrare passare in secondo piano Una voce profonda, ricca di sfumature, che ha contribuito a fare di lui il migliore esecutore delle cose straordinarie che scrive.
Per l’occasione di questa intervista mi sono limitato a chiedere a Luigi alcuni aspetti più introspettivi del suo mondo cantautoriale. La location è la sua nuova casa, immersa nel verde e nel silenzio. Un luogo magico per un artista della sua levatura. Che segna per lui l’inizio di un nuovo periodo di vita e di scrittura.
La tua musica ha spesso un filo conduttore di riflessione sociale e politica, come nei lavori di Guccini, Gaber e De André. Quali pensi siano oggi i temi sociali che un cantautore non può ignorare? In che modo li affronti senza cadere nella retorica?
«Per me il tema sociale più delicato e cruciale, oggi come ieri, non prevede necessariamente l’immersione in forme esplicite di denuncia o di invettiva, utili certo come sfogo o pungolo, ma comunque secondarie. La mia attenzione al sociale parte piuttosto dal singolo individuo alla ricerca della propria identità nel mondo.
Risolvere in modo sano questo snodo ostico e decisivo della crescita personale dovrebbe essere, da parte di tutti, il presupposto indispensabile per costruire un nucleo sociale con sempre meno problematiche, in cui interagiscano tra loro persone risolte e soddisfatte della propria vita.
Sono loro quelle capaci di costruire una società degna, dal carpentiere fino al presidente. Come sappiamo, questo è raro. La nostra società è malata di frustrazione e ingiustizie sociali.
Uno dei compiti che, da autore, mi sono dunque prefisso di esprimere artisticamente è sempre stato quello di incoraggiare, attraverso il racconto della mia esperienza personale, il passaggio dal disagio/dolore individuale a una forma di speranza /guarigione salvifica. E che questa guarigione possa poi, entrando in circolo, contaminare gli individui e diventare collettiva.
Quasi ogni mia canzone descrive questo sforzo ambizioso. E quando intravedo il rischio-retorica, cerco al massimo di virare verso l’ironia o su strade meno battute».
Abbiamo parlato di luoghi. Prima della tua casa, c’è stato un angolo o un luogo di Roma che senti particolarmente tuo, che ti ha ispirato delle canzoni?
«Credo che per gli artisti l’immaginazione la faccia sempre da padrona, come accadeva a Verne, Salgari o Morricone.
Perciò la maggior parte dei brani che ho scritto negli ultimi trent’anni sono nati viaggiando banalmente in macchina o seduto nel mio studio di notte, quindi senza guardare neanche fuori dalla finestra e al massimo osservando quadri anonimi e foto appesi alle pareti, se non proprio muri bianchi.
Tra la minoranza di brani invece composti in un’atmosfera più poetica, ricordo “Se ne vanno”, scritta su una veranda salentina, davanti a un mare turchese, immerso in un crepuscolo rosso fuoco da commuoversi.
In generale ciò che invece mi ha ispirato di Roma sono stati i luoghi più naturali o affascinanti e certo più lontani dal traffico giornaliero, quindi i parchi e le ville antiche, le terrazze del Pincio, il Tempio di Esculapio quando scende sera».
Gaber diceva: ‘La libertà non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone, la libertà è partecipazione’. Quanto è importante, per te, il concetto di partecipazione nel tuo percorso artistico? Come lo declini nelle tue canzoni?
«La “partecipazione” di cui parlavano Gaber e Luporini era in effetti molto più legata allo “spazio di incidenza” di ogni cittadino all’interno del proprio tessuto storico e sociale.
I materialisti e i disincantati credono che lo spazio di incidenza per antonomasia sia solo quello dato dal denaro, ma di potenziali spazi di incidenza ce ne sono tantissimi altri, legati all’intelligenza, al nostro modo di stare al mondo, di comunicare, al nostro interagire quotidiano. Tutti possono dare il loro contributo. Da parte mia sono estremamente orgoglioso di farlo all’interno del mio delicato ruolo di cantautore, in cui ho l’onore e la possibilità di esprimere emozioni, idee, visioni attraverso le canzoni nei dischi, o mediante un microfono durante i concerti oppure ancora nelle interviste.
La ritengo una responsabilità enorme, che mi impegna a soppesare le parole per meritarmi questo privilegio, e al contempo tiene lontano il rischio infantile di parlare come da un pulpito, sentendosi un guru».
Hai vinto molti premi nella tua carriera. Che valore dai a questi riconoscimenti?
«Il giusto valore: non li snobbo, ma ovviamente neanche li idealizzo.
Certo fanno piacere, ma non essendo mai stato io un competitivo, come sanno tutti quelli che mi conoscono, per fortuna ho vissuto le giornate in cui ricevevo questi riconoscimenti (una dozzina negli ultimi quattordici anni) nel modo più sano possibile. Ho colto l’occasione sia per conoscere nuovi bravissimi colleghi artisti o critici, confrontandomi con loro, e sia soprattutto per promozionare la mia musica, che poi è la cosa che mi interessa di più, non essendo ogni giorno in radio o tv.
Credo sia molto più utile quando un premio vinto ti permette, grazie alla visibilità, di lavorare di più in giro sui palchi, piuttosto che funzionare da mero e vuoto sobillatore momentaneo dell’autostima, di cui a me importa poco. Come tanti, infatti, neanch’io credo che vincere o non vincere un premio descriva o meno il valore generale di un artista.
Gli attestati di stima, ammirazione e gratitudine ricevuti alla fine dei concerti dal pubblico e che vedo negli occhi emozionati di chi mi saluta valgono molto molto più di un Oscar, per me. Chiunque suoni in giro, magari da anni, lo sa benissimo».


In un mondo musicale sempre più dominato dalla velocità e dall’immediatezza, la tua musica si distingue per la profondità e la riflessione. Quali sfide incontri nel mantenere questa autenticità e nello stesso tempo restare rilevante in un panorama in continua evoluzione?
«La sfida maggiore è sempre stata quella di individuare i luoghi più giusti per esprimermi. E per me restano gli spettacoli dal vivo.
Nei teatri e nelle sale d’ascolto, al chiuso, do il meglio di me. E sono molto più a mio agio negli ambienti legati alla poesia, al teatro e persino quelli dedicati alla musica classica, piuttosto che in quelli delegati ad accogliere il pop commerciale.
Sono sempre stato molto recalcitrante a snaturarmi per inseguire le mode. Non è per snobismo (mai stato snob), ma solo un onesto rigore con cui mi tengo alla larga da finzioni artistiche, troppe furbizie di mestiere o deroghe all’autenticità. Perciò amo restare me stesso, spesso avvolto da uno stile molto classico e in fondo coerente, ma almeno vero e mio.
Sono consapevole che l’attuale tendenza a sfornare musica veloce e “usa e getta” non possa valorizzare ciò che faccio, pur utilizzando anche io certi mezzi (vedi social e loro strumenti).
Molte canzoni oggi in voga non hanno però lunga vita, le chiamo “canzoni centometriste”: muscolari, ma durano lo spazio di uno scatto di appena dieci secondi. Assomigliano a quelle scorpacciate compulsive di veloci scrolli col dito che, ad esempio, a volte si fanno con le “storie” di Facebook o di Instagram, al termine delle quali però non ricordi più nulla.
Non sedimentano. Sono volatili.
Da parte mia inseguo invece le “canzoni maratonete”: partono lente, senza clamori, ma vanno lontano, restano per sempre e invecchiano bene come il vino. Scriverle è la mia ambizione artistica più grande».
Se potessi parlare al giovane te stesso, che si avvicinava per la prima volta alla musica, cosa gli diresti ora, guardando tutto ciò che hai realizzato e le persone con cui hai condiviso il cammino? C’è un consiglio che daresti a chi si ispira a te oggi?
«Al giovane Luigi di trent’anni fa confermerei ciò che lui, pur parecchio spaesato e a tratti barcollante e incerto, già allora intuiva: ossia che la vita è bellissima.
E che lo è a maggior ragione se si persegue ciò per cui si è nati e che si è sempre sognato, infischiandosene delle convenzioni, dei consigli di parenti e amici, delle paure del futuro, dei giudizi di chicchessia e persino dell’eventuale mancata popolarità.
Questo vale per il giovane Luigi e per chiunque volesse fare il mio percorso».


Luigi Mariano è un cantautore che incarna perfettamente la lezione dei grandi maestri italiani. Ma con uno stile personale, moderno e colto, che lo rende un artista attuale, necessario, inconfondibile.
Come diceva De André: “l’artista è colui che sa sempre riconoscere se stesso negli altri”.
Ed è proprio questo che rende Mariano così speciale. La sua musica preserva l’identità della parola. Svela quello che non abbiamo saputo vedere. E quello che non abbiamo il coraggio di guardare.
Potete seguire Luigi Mariano su: Facebook, Instagram, sul sito ufficiale e sul canale YouTube.
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