Nuovo appuntamento con i “33 giri di ricordi”, meglio se in vinile, in versione doppio live: “Made in Japan” dei Deep Purple del 1972.
1972
Bill Gates e Paul Allen fondano la Traf-O-Data, azienda che dopo poco si sarebbe trasformata nella Microsoft.
Irlanda del Nord, 30 gennaio: a Londonderry i paracadutisti britannici aprono il fuoco sui manifestanti cattolici che protestano contro la reclusione preventiva senza termini temporali per il processo. È il Bloody Sunday, le vittime sono 13.
Segrate (MI), 15 marzo: viene trovato il corpo dell’editore Giangiacomo Feltrinelli, fondatore dei Gruppi d’azione Partigiana, morto il giorno precedente a causa dell’esplosione dell’ordigno con il quale cercava di minare un traliccio dell’alta tensione.
USA: la campagna elettorale per le presidenziali già in corso, viene sventato un tentativo di spionaggio politico ai danni del Partito Democratico. Cinque ignoti stavano piazzando microfoni-spia nella sede del Comitato nazionale del partito, all’Hotel Watergate di Washington. È l’inizio del più grosso scandalo che colpisce la Casa Bianca e che porterà, due anni dopo, alle dimissioni del Presidente in carica, il repubblicano Richard Nixon.
Riace (RC): Stefano Mariottini, giovane sub romano, ritrova casualmente nelle acque di Riace due statue in bronzo del V secolo a.C. ottimamente conservate. Diventeranno famose in tutto il mondo come i Bronzi di Riace.
La Juventus vince il suo quattordicesimo scudetto. Capocannoniere del torneo, per la seconda volta consecutiva, Roberto Boninsegna (Inter) con 22 reti.
Nicola Di Bari vince il ventiduesimo Festival di Sanremo con “I giorni dell’arcobaleno”
Shades of Deep Purple
Nell’ambito della musica rock, “Made in Japan” dei Deep Purple rappresenta una pietra miliare che trascende le epoche. Pubblicato nel dicembre del 1972, questo doppio live ha conquistato il suo posto nella storia come uno dei più importanti album dal vivo di tutti i tempi. Un’esibizione esplosiva e senza freni che cattura l’essenza della band nel loro periodo d’oro.
E sebbene su questo disco siano già stati scritti fiumi di parole, l’inclusione di “Made in Japan” in questa rubrica, dedicata agli album che hanno fatto la storia, è non solo giustificata, ma persino doverosa.
Con questo doppio live i Deep Purple scolpiscono nella pietra la loro legacy, lasciando un’eredità sonora che ancora oggi risuona tra le mura di ogni vero appassionato di hard rock.
Mark II
Per comprendere l’importanza di “Made in Japan”, è necessario fare un passo indietro e inquadrare i Deep Purple in un momento storico cruciale.
Negli anni ‘70, il rock è un fiume in piena, e i Deep Purple si trovano all’apice del successo grazie a una formazione leggendaria, conosciuta dai fan come la Mark II. Ian Gillan alla voce, Ritchie Blackmore alla chitarra, Jon Lord all’organo e tastiere, Roger Glover al basso e Ian Paice alla batteria. Questa formazione è considerata da molti la più iconica, capace di trasformare ogni canzone in un’esperienza potente e ipnotica.
È proprio questa line-up a forgiare il suono per cui i Deep Purple diventano celebri, mescolando il virtuosismo tecnico a una forza quasi selvaggia. Nel 1972, hanno già all’attivo album rivoluzionari come “Deep Purple in Rock”, l’album che contiene l’intramontabile “Smoke on the Water” con il suo riff leggendario, simbolo stesso dell’hard rock, “Fireball” e “Machine Head”.
E proprio in questo periodo, la band sta vivendo un momento di straordinaria creatività ed energia. I Deep Purple sono un fenomeno dal vivo, una band che non si limita a eseguire le canzoni: le reinventa, le espande, le trasforma in veri e propri viaggi sonori.
Made in Japan
Il progetto di registrare un live album nasce in risposta alla straordinaria popolarità dei Deep Purple in Giappone. Durante il tour di “Machine Head”, la band si esibisce in tre concerti memorabili: Osaka il 15 e 16 agosto 1972, e Tokyo il 17 agosto. I fan giapponesi sono già in delirio per la band, e per questo motivo la casa discografica locale propone l’idea di un album dal vivo, un’idea che inizialmente non entusiasma i membri della band.
Blackmore e soci, infatti, non sono certi che un live album possa catturare davvero la potenza e la complessità delle loro esibizioni. Ma fortunatamente, decidono di provarci.
La registrazione è un vero esperimento: i Deep Purple non apportano cambiamenti significativi alla loro esibizione, non si lasciano tentare da sovraincisioni o effetti sonori in studio.
“Made in Japan” cattura i Deep Purple nella loro forma più autentica, lasciando spazio agli errori, alle improvvisazioni, ai momenti di pura estasi musicale. E, come risultato, l’album non è solo una registrazione di concerti, ma un’opera viva, che pulsa dell’energia dei Deep Purple e dell’entusiasmo del pubblico.
Un doppio album che include sette tracce selezionate dai tre concerti, per un totale di oltre 70 minuti di musica. Ogni brano è una dimostrazione di puro virtuosismo e improvvisazione, dove ogni membro della band dà il massimo.
La scaletta è costituita dai brani più amati del repertorio dei Deep Purple, nell’ordine: “Highway Star,” “Child in Time,” “Smoke on the Water,” “The Mule,” “Strange Kind of Woman,” “Lazy,” e “Space Truckin’.”
Il disco si apre con “Highway Star,” una corsa mozzafiato che cattura immediatamente l’energia della band. E dà un’idea di cosa ci riservino i cinque moschettieri nelle tracce successive.
Ritchie Blackmore, con la sua Fender Stratocaster letteralmente impazzita, incanta il pubblico con assoli che mescolano tecnica e creatività.
Ian Gillan modula la sua voce in grida esplosive che si alternano a toni più melodici. Un “Jesus Christ Superstar” caduto sulla terra.
Jon Lord, con il suo Hammond distorto, diventa la vera e propria mente musicale della band. Nonché il collante fra gli ego smisurati dei compagni d’avventura.
Ian Paice, batterista mai abbastanza acclamato ed apprezzato, soprattutto dalla critica, costruisce un muro sonoro possente. Una macchina da guerra.
Roger Glover, un martello pneumatico che gira a mille, che con la sua ritmica rischia di sgretolare le assi del palcoscenico.
Ogni canzone è trasformata in un’esperienza unica, con improvvisazioni lunghe e intense.
Un esempio lampante è “Child in Time”, dove Gillan dà prova di una vocalità straordinaria, muovendosi tra registri diversi e mantenendo sempre un’intensità drammatica.
“Smoke on the Water” arriva con il suo riff iconico, conosciuto da qualsiasi appassionato di rock, e diventa una versione espansa e potente. La conclusione è affidata a “Space Truckin’,” una performance che dura oltre 20 minuti e che rappresenta il punto culminante dell’album. Qui, i Deep Purple spingono le loro capacità al limite, trasformando il pezzo in una sorta di suite psichedelica, con ogni strumento che esplora possibilità sonore inedite.
The Book of Taliesyn
Quando “Made in Japan” arriva nei negozi, il successo è immediato. I fan riconoscono immediatamente la portata storica di questo album, mentre la critica si divide tra chi lo considera un capolavoro assoluto e chi rimane scettico sulla scelta di pubblicare un doppio live. Ma, col passare del tempo, l’album viene riconosciuto universalmente come un capolavoro. Un masterpiece che definisce l’essenza dei Deep Purple e, più in generale, del rock dal vivo.
In Inghilterra e negli Stati Uniti, il disco raggiunge le vette delle classifiche, e nei decenni successivi continua a vendere copie su copie, diventando un punto di riferimento per tutte le band che si cimentano nei live.
È evidente che i Deep Purple, con questo album, hanno fissato un nuovo standard per le esibizioni dal vivo, mostrando a tutti che un live non deve limitarsi a una riproduzione fedele delle canzoni da studio, ma può e deve trasformarsi in un’esperienza inedita.
Burn
“Made in Japan” non è solo un disco: è un documento storico, un esempio di come il rock possa elevarsi a forma d’arte pura. Dopo la pubblicazione dell’album, i Deep Purple continuano a cavalcare l’onda del successo, ma iniziano anche ad affrontare tensioni interne.
La pressione del successo, unita alle diverse personalità e ambizioni dei membri, porta a una prima separazione. Ian Gillan e Roger Glover lasciano la band nel 1973, portando alla creazione di una nuova formazione. La cosiddetta Mark III, che includerà David Coverdale alla voce e Glenn Hughes al basso. Questo cambiamento rappresenta una svolta, poiché i Deep Purple, pur rimanendo fedeli alle loro radici rock, sperimentano nuove sonorità e influenze funk e soul.
Tuttavia, nessuna formazione successiva, e ce ne saranno tante, forse troppe, compresa una “reunion Mark II” nel 1984, riesce a eguagliare la magia della Mark II originale, e “Made in Japan” rimane l’opera più celebrata della band. Il disco è fonte di ispirazione per generazioni di musicisti e rappresenta un testamento all’energia e all’intensità del rock dal vivo.
Perfect strangers
Raccontare di “Made in Japan” significa raccontare la storia stessa del rock.
I Deep Purple, con questo album, riescono a catturare un momento irripetibile della loro carriera. Un periodo dove ogni membro della band è al culmine delle proprie capacità creative e tecniche. Ed è proprio questo che rende “Made in Japan” un album eterno, capace di trasportare l’ascoltatore nel cuore pulsante di un’esibizione senza pari. La sua inclusione in una rubrica dedicata ai dischi che hanno fatto la storia non è solo un omaggio, ma un atto dovuto.
A distanza di decenni, “Made in Japan” continua a vivere, a ispirare e a emozionare, dimostrando che la musica, quando raggiunge vette così alte, può davvero diventare immortale.
Potrebbero interessarti:
“Vai Rrouge”: Enrico Ruggeri tra palco e vita
“Seconds Out: il live dei Genesis tra tradizione e rinnovamento
Le vibrazioni: il rock senza confini di “En Vivo”
Led Zeppelin: l’energia inarrestabile di “The Song Remains the Same”