Pareidolia, il termine è un po’ strano, quasi astruso, in realtà è un’illusione subcosciente che abbiamo tutti. Cioè la tendenza a vedere facce, volti o anche forme note ovunque. Spieghiamo meglio, quante volte vediamo, o crediamo di vedere, nelle nuvole, negli oggetti, in macchie, anche in cortecce d’albero, dei volti o delle forme di animali? O anche a riconoscere in un suono, o in un verso di animale, una parola?
Sono tutti esempi di pareidolia. Cioè l’orientamento a riconoscere qualcosa di noto, certo e concreto in forme ambigue. Questo perché il nostro cervello è strutturato per dare un senso e un significato a tutto ciò che un significato non ce l’ha. È predisposto per cercare schemi, creare correlazioni anche se sono illusorie. Tutti possediamo questa capacità, o meglio attitudine, e la utilizziamo quotidianamente, anche senza rendercene conto.


Pareidolia, una questione di sopravvivenza
Questo ha una spiegazione nella psicologia evoluzionistica. Quando nasciamo abbiamo un istinto innato a riconoscere i volti perché rappresentano un potenziale molto alto di salvezza per un neonato. Da più grandi, saper riconoscere l’espressione di un volto, quindi saper intuire subito in quella faccia rabbia, allegria, tensione o disappunto, aiuta molto nei rapporti interpersonali e salva anche molte situazioni.
Ma questa capacità innata, molto probabilmente, ha origini decisamente ancestrali. Pare derivi dalla necessità vitale che i nostri antenati preistorici avevano di riconoscere un predatore. Predatore che poteva eserre perfettamente mimetizzato tra la natura. Riuscire a cogliere e riconoscere in pochi secondi delle facce, di umani aggressivi o di animali feroci era una questione di sopravvivenza!
La pareidolia e il marketing
Ma la nostra tendenza a vedere facce ovunque viene usata anche nel marketing. Facciamo un esperimento banale. Andiamo su Google immagini e cerchiamo la voce: orologi. Compariranno per il novanta per cento o forse anche più tutti orologi con le lancette sulle dieci e dieci. Ma perché proprio le dieci e dieci?


Perché se guardiamo bene quelle due lancette posizionate verso l’alto rappresentano un sorriso. Quindi quando noi le guardiamo, per l’imprinting della nostra pareidolia che riconosce facce ovunque, siamo ben disposti verso quell’immagine “sorridente”, quindi verso quell’orologio. L’ esperimento dell’orologio funziona anche in qualsiasi negozio o immagine pubblicitaria. Provate!
La pareidolia nell’arte. Facce nascoste ovunque
Anche nell’arte molti artisti si sono divertiti a nascondere facce e personaggi all’interno di fitte vegetazioni o dentro le nuvole . Uno degli esempi più noti ed eclatanti è costituito dal gruppo di volti visibili tra le nubi del Mantegna nel dipinto “Trionfo della virtù”. Ma potremmo anche citare il profilo di un dèmone nell’affresco di Giotto dedicato a San Francesco o le illusioni ottiche di Salvador Dalí, il maestro della pareidolia.


Leonardo da Vinci nel suo trattato sulla pittura parla di quella che oggi conosciamo come il fenomeno della pareidolia. “E questo è: se tu riguarderai in alcuni muri imbrattati di varie macchie o pietre di vari misti, se arai a inventionare qualche sito, potrai lì vedere similitudine de’ diversi paesi, ornati di montagnie, fiumi, sassi, albori, pianure, grandi valli e colli in diversi modi;
ancora vi potrai vedere diverse battaglie e atti pronti di figure, strane arie di volti e abiti e infinite cose, le quali tu potrai ridurre in integra e bona forma. E interviene in simili muri e misti come del sono di campane, che ne’ loro tocchi vi troverai ogni nome e vocabulo che tu imaginerai”.
L’ antitesi dell’Arcimboldo
L’Arcimboldo, dall’alto della sua arte, ci ha dimostrato che se gli elementi che caratterizzano un viso sono presenti in modo capovolto ecco che la pareidolia non si manifesta.
Nella sua “natura morta reversibile” dal titolo “Ortolano” (1590), Arcimboldo ci espone proprio questo caso. Se il suo volto composto da verdure viene capovolto, cioè ruotato di 180°, non riusciamo più a riconoscere i tratti umani. Vediamo solo dei semplici vegetali raggruppati in una ciotola.


Il test di Rorschach
È proprio sulla base della pareidolia che lo psichiatra svizzero Hermann Rorschach ha definito un test, più conosciuto come il test delle macchie. Chi si sottopone al test deve indicare e quali immagini riconosce in dieci macchie di inchiostro simmetriche. Il Rorschach viene usato dagli psicologi per esaminare le caratteristiche della personalità. Ma è molto spesso anche utilizzato per rilevare le disposizioni psicotiche da quelle non psicotiche nel modo di pensare di un soggetto. O anche per valutare il livello generale di adattamento alla società di un individuo.
Insomma attenti alle macchie!