Due cose colpiscono dell’arte di Ron Mueck, la solitudine attuale e fragile delle sue sculture e le dimensioni. Ron Mueck rende le sue sculture solitarie, e le dimensioni ne accentuano ancora di più la solitudine. Un iperrealismo attuale, un senso di tristezza che invade chi le guarda. Perché i soggetti, le sculture di Ron Mueck sono vulnerabili, e sono soli. Un situazione che conosciamo molto bene in questi giorni difficili di emergenza coronavirus.
Pose intime quotidiane
Per paradosso la solitudine delle sue sculture risalta ancora di più anche se alcuni personaggi sono stati realizzati in coppia. Ma restano come isolati dal pubblico intorno, come se vivessero in un mondo proprio. Persi in una dimensione dove possono essere osservati ma non possono osservare. L’artista entra nelle pose intime della vita quotidiana, una scelta che conduce quasi lo spettatore a provare imbarazzo per aver violato la privacy dei soggetti rappresentati . Persi in ilun loro tempo sospeso.


Da spettatori assistiamo alla perfezione di ogni centimetro che stiamo guardando, di quanto sia vero e tangibile. Ma qualcosa ci ricorda sempre che quello che stiamo osservando non è assolutamente reale.
Dead dad
Ron Mueck classe 1958, l’esordio come artista è del 1997. Con una scultura “Dead Dad” Papà morto, nelle sale di Sensation: Young British Artists from the Saatchi Collection a Londra. Realizzata con silicone crudo, imita alla perfezione la superficie del corpo umano, riscuotendo da subito un enorme successo.


Abbiamo di fronte noi stessi: la nostra fragilità, il decadimento del tempo sul nostro corpo. Abbiamo addosso le emozioni dell’imperfetto. Che forse non è mai stato così bello. L’imperfezione regna sovrana. La materia diventa racconto: ogni ruga, ogni segno del tempo, ogni momento vissuto è vulnerabile. Un iperrealismo attuale oltre ogni immaginazione.
Da quel momento non smette di esportare la sua incredibile arte in giro per il mondo. Dalla Biennale di Venezia a Andy Warhol di Pittsburgh. A membro associato della National Gallery di Londra.
Il gigante addormentato


Un gigante addormentato? È “Maschera II”, da molti ritenuto un Autoritratto di Ron Mueck. L’artista crea un’armatura in metallo, poi modella la figura con fibra di vetro, resine, schiuma di poliuretano. Dipinge i dettagli della pelle, aggiunge a uno a uno i filamenti per peli, capelli sopracciglia. Svanisce il bello, lo stereotipo, l’illusione. Ti travolge il quotidiano, la vita, la nascita e la morte.
Perché non parli?


Uomini addormentati, turisti in vacanza, bagnanti. Sembrano vivi, invece sono le sculture dell’artista Ron Mueck. Può piacere o non piacere, ma l’arte dell’artista australiano non lascia indifferenti. E come potrebbe, dal momento che Ron Mueck è sempre stato un artista lontano da ogni schema, una delle leggende viventi della corrente iperrealista mondiale che ostenta la volontà di lasciare vivere le sue opere. In un concetto di iperrealismo attuale più esasperato che mai.
E chissà che come un novello Michelangelo, contemplando qualche scultura al termine delle ultime rifiniture, stupito egli stesso dal realismo delle sue forme, non abbia esclamato «Perché non parli?» Percuotendone il ginocchio .
Meraviglia e stupore di fronte alle creazioni


Un prestigio meritatissimo per un artista considerato da tutti un genio per la cura maniacale e la precisione del dettaglio che ripone nei suoi lavori.Ogni sua rappresentazione è realizzata in tempi quasi biblici: mesi e mesi di lavoro a per le sue statue gigantesche, tutte costruite con diversi ingredienti come i materiali polivinilici, l’intonaco e la resina.Sono le dimensioni delle sculture a colpire il pubblico, meraviglia e stupore invadono i sensi di colui che le ammira ma subito dopo, lo stesso, viene investito da una terribile sensazione di tristezza.
Nascita, maternità, amore e morte sono raccontati in tutte le sue forme dall’artista. Ma senza illusionismo. Solo iperrealismo. Un attuale Demiurgo.