Vengo da un’epoca ormai lontana, ma non troppo. Sono una space music traveller, viaggiatrice spazio temporale che non ha una casa base e il mio veicolo è sempre stata la musica. Ho esplorato tanti mondi, fatti di note e di suoni. Ho incontrato strani esseri e strane atmosfere.
On the road again…
Ricordo che nella dimensione 70 ho conosciuto degli strani umanoidi robotizzati, completamenti calvi, con il corpo completamente ricoperto d’argento ed indossavano tute spaziali fluorescenti. Dicevano di arrivare da Galactica e si esprimevano in una lingua metallica, suonando space rock.
In questa dimensione, la musica si riproduceva attraverso dei dischi neri, piatti, fatti con un materiale chiamato vinile, un derivato della plastica. Ma c’erano anche delle strane scatolette di plastica rettangolari, che custodivano all’interno una bobina di nastro marrone. Si infilavano in una macchina che girando, riavvolgeva il nastro su un’altra bobina, e leggeva la musica.


The dark side of the Moon
Sul mio cammino, poi incontrai un altro strano essere, tra l’umano e il trascendentale, il suo nome è Alan Parson. Si cimentava insieme ad alcuni amici, che abitavano il the dark side of the moon, il lato oscuro della luna, nella sperimentazione di una nuova sonorità, fatta di monetine e slotmachine, di orologi che ticchettano contemporaneamente a sveglie che suonano. Un mix di oggetti che generavano suoni psicadelici.
Oltre agli strumenti classici, entrarono nell’uso comune del music maker, delle tastiere collegate a strani apparecchi, pieni di manopole. Nasceva così la registrazione multitracking, che prevede nel registrare sonorità separate ed unirle insieme in un’unica traccia, un’altra tecnica usata consisteva nell’aggiungere suoni della vita di tutti i giorni e unirle alle strumentazioni elettroniche.


Oxygene
La meraviglia più grande è arrivata da un cosmonauta, che si serviva di un macchina strana, da cui uscivano tutti i suoni degli strumenti musicali senza contenerne neanche uno.


Aveva assunto un’identità umana sotto il nome di Jean Michel Jarre. La sua creatività ha sfiorato davvero l’impossibile
Creava dei suoni eterei, mi dissero che si trattava di campionamenti, ma io giuro di averlo visto suonare con la luce. Le sue mani si posavano su fasci di luce e ne uscivano melodie meravigliose.


A night at the Opera
In quei tempi, si pensava che tutto fosse racchiuso in box musicali diverse e distinte tra loro. Nessuna interazione tra le varie dimensioni, classificate per generi. C’era un universo musicale con pianeti ben distinti. Il pianeta rock, il pianeta progressive, quello melodico, quello jazz. Poi c’erano pianeti che avevano uno scudo spaziale invisibile che li rendevano impenetrabili. Quello della musica classica e quello dell’opera. Tra loro comunicavano, ma erano vietati ai non residenti. Ma ci fu chi ruppe questo divieto. Un diamante che riuscì ad incrinare il vetro che li proteggeva, e a spaziare in quella dimensione, facendola propria e riuscì a creare una falla che non si è mai più richiusa.
Come si direbbe oggi, una crack nel sistema. Un virus indebellabile. Il mondo Mercury irrompe nell’universo musicale, insieme a tre amici, unendo in un solo disco tutto quello che esisteva nello spazio intorno e Bohemian Rhapsody diventa il capolavoro assoluto della musica. Mercury si consacra Re, anzi…Queen e conclude il suo viaggio con un altro grande capolavoro legato alla lirica. Dopo di lui, niente fu più lo stesso.


Rock’n roll Robot
Attraversando il tempo, nella dimensione 80, mi sono imbattuta in un rock ‘n roll robot, un’esplosione di suoni creati con l’impiego di strumentazioni elettroniche, campionamenti e tastiere. Una evoluzione di quanto sperimentato da Zio Pink e cugino Floyd.
Alcuni invece viaggiano sull’onda della new wave. E lo space music travel continua.
Sempre in quell’epoca poi ho incontrato Max Headroom, un entità virtuale dall’aspetto umano, che viveva in un televisore. Forse il primo della stirpe degli Avatar.
Con gli Art of Noise diventa un messaggero mondiale di un nuovo genere che compone melodici collages sonori, basati sulla tecnologia del campionamento che sarà imitato e che diventerà uso e costume degli anni 90.


In the mind of Madness
Questo è stato il viaggio più brutto, per una space music traveller come me. La space dimension 90 è stata la più pericolosa.
Un’avventura angosciosa perché ho camminato in mezzo agli zombie, il periodo più buio e carente di novità, o meglio, con il peggio che si potesse inventare.
Scimmie ciondolanti danzavano al ritmo cupo di una EDM che si è mal evoluta in una House, diventata Techno e poi non si capisce bene cos’altro. Una cozzaglia di bassi che pompavano al ritmo di loop, bpm e chetamina, che sfalsavano le percezioni e le rallentavano, un universo cupo, chiuso in una notte senza fine. Un rave trasformato in un incubo, per quelli del mio pianeta e della mia generazione. La house e la thecno, si evolsero in hardcore, il numero dei bpm aumentò da 150 fino a 200, i bassi erano pesantentemente bassi e i ritmi pesantemente sincopati. L’apocalisse si raggiunse con la trance music e l’epic thecno trance. La pietra tombale sulla dance music.
Ma arriviamo al presente. Attualmente sono nel nuovo millennio e vedo che molti attingono dal passato per creare nuova musica.
Siamo nell’era del web. Un mondo che ha tante porte di accesso, il problema è trovare l’uscita…
In questo tempo, non tutti sono umani. Qualcuno è riuscito a trovare il tunnel spazio tempo e viaggia tra le dimensioni. Forse.
…dimenticavo…la foto copertina è mia…