La guerra nella Strisci adi Gaza sta causando danni ambientali incalcolabili circoscritti non solo alla zona dei conflitti, ma che ormai si stanno estendendo a macchia d’olio in tutto il Medio Oriente e, piano piano, cominciano ad avere effetti a livello globale. Una devastazione dei quattro elementi naturali che stanno subendo trasformazioni che potrebbero rendere la Striscia di Gaza inabitabile in un futuro neanche troppo lontano.
Le organizzazioni internazionali che monitarano da vicino i danni ambientali pubblicano report e studi davvero allarmanti.
Fuoco
Quando pensiamo alla guerra di Gaza la mente associa immediatamente immagini di feriti, rifugiati e morti, in uno scenario di palazzi distrutti e macerie fumanti. Ma la guerra non uccide solo gli uomini e non distrugge solo edifici. La guerra, prima ancora di scoppiare, distrugge il pianeta. E lo fa inquinando mari, terra, macinando risorse energetiche e cibando eserciti, qualunque sia la loro bandiera.
Gli edifici bombardati sono macerie di amianti a cielo aperto, gli incendi causati dalle bombe e dai missili sprigionano una potenza di fuoco e di emissioni di gas nocivi. Nuvole di sostanze chimiche che non conoscono confini e che si liberano nell’aria trasportando con se le polveri tossiche della distruzione e le sostanze chimiche provenienti da armi, come il fosforo bianco.
Stiamo assistendo a un genocidio in atto che ha conseguenze disastrose anche per gli ecosistemi e viola il diritto di molte persone di godere e vivere in un ambiente sano.
Tratto dal Blog originale scritto da Farah Al Hattab – campaigner e ricercatrice legale di Greenpeace Medio Oriente e Nord Africa con sede a Beirut, nata e cresciuta nel sud del Libano
Aria
La guerra a Gaza ha causato enormi sofferenze umane, ma le conseguenze del conflitto si estendono ben oltre la sfera umana, colpendo gravemente anche l’ambiente. Gli effetti devastanti sull’aria, l’acqua e il suolo hanno ripercussioni su tutte le persone che vivono in queste aree.
Nei primi 120 giorni di guerra, le emissioni di carbonio hanno raggiunto circa 536.410 tonnellate di anidride carbonica. La maggior parte di queste emissioni, circa il 90%, è attribuibile ai bombardamenti aerei e all’invasione terrestre di Gaza da parte di Israele. Una quantità superiore all’impronta di carbonio annuale di molte nazioni vulnerabili al cambiamento climatico.
Questo enorme rilascio di CO2 contribuisce significativamente al cambiamento climatico non solo della regione interessata, ma ha ripercussioni anche sugli Stati vicini e, a lungo termine, anche sull’intero pianeta, aggravando una situazione ambientale già critica.
La regione del Medio Oriente e del Nord Africa si sta riscaldando a una velocità quasi doppia rispetto alla media globale. Come riporta Agupubs Advancing Earth andSpace Sciences “studi basati sull’osservazione e sulla modellazione hanno identificato la regione del Mediterraneo orientale e del Medio Oriente (EMME) come un importante hotspot del cambiamento climatico“. E non è finita: il Mediterraneo orientale e il Medio Oriente si stanno riscaldando quasi due volte più velocemente della media globale e di altre parti abitate del mondo (leggi il report integrale sul sito ufficiale di Agupubs)
Oltre alle emissioni di carbonio, l’aria di Gaza è contaminata da sostanze chimiche pericolose, tra cui il fosforo bianco utilizzato nelle armi. Queste sostanze hanno effetti dannosi sulla salute umana e sull’ecosistema. L’inquinamento dell’aria provoca problemi respiratori e altre malattie tra la popolazione, già provata da anni di conflitto.
Terra
Il conflitto ha devastato l’agricoltura a Gaza. La distruzione delle fattorie e dei terreni agricoli, pari al 57% nel maggio 2024, ha gravemente compromesso la produzione alimentare. Questo, unito ai 17 anni di blocco e alla distruzione del 70% dei pescherecci, ha creato una grave insicurezza alimentare nella Striscia.
La popolazione di Gaza dipende in gran parte dall’agricoltura e dalla pesca per il proprio sostentamento. La distruzione delle risorse agricole e ittiche ha quindi un impatto diretto sulla sicurezza alimentare. Le persone sono costrette a dipendere dagli aiuti umanitari, quei pochi che arrivano, e che non sono affatto sufficienti a soddisfare i bisogni di tutti.
Gli ulivi, fondamentali in Palestina per il loro profondo significato culturale e per la loro importanza economica, in quanto forniscono sostentamento a molte famiglie attraverso la produzione di olio d’oliva, sono stati spesso deliberatamente presi di mira dai soldati israeliani o dai coloni
Greenpeace Italia
Le ostilità, tra cui bombardamenti, operazioni terrestri e l’assedio dell’intera popolazione, hanno causato livelli catastrofici di insicurezza alimentare acuta in tutta la Striscia di Gaza, generando un’impressionante emergenza fame.
Circa l’85% della popolazione (1,9 milioni di persone) è sfollata, con molte persone che si sono trasferite più volte, attualmente concentrate in un’area geografica sempre più piccola. Secondo il rapporto FAO, tra il 24 novembre e il 7 dicembre, oltre il 90% della popolazione nella Striscia di Gaza (circa 2,08 milioni di persone) è stato stimato ad affrontare livelli elevati di insicurezza alimentare acuta, classificati nella Fase 3 o superiore del IPC (Crisi o peggio). Tra questi, oltre il 40% della popolazione (939.000 persone) si trovava in Emergenza Fame (Fase 4 del IPC) e oltre il 15% (378.000 persone) si trovava in Catastrofe (Fase 5 del IPC).
Tutto questo mentre i sistemi e le strutture di gestione delle fognature, delle acque reflue e dei rifiuti solidi sono collassati, con un costante rischio di epidemie.
Acqua
Uno dei danni ambientali più gravi della guerra è la compromissione delle risorse idriche. Circa 60.000 metri cubi di liquami e acque reflue non trattate si riversano quotidianamente nel Mar Mediterraneo: circa 60 mila metri cubi di liquami e acque reflue non trattate confluiscono quotidianamente nel Mar Mediterraneo.
Questo non solo inquina l’acqua, ma danneggia anche la fauna marina e compromette le attività di pesca, una delle principali fonti di sostentamento per la popolazione locale.
Le infrastrutture per la gestione dell’acqua e delle fognature sono state gravemente danneggiate o distrutte. Senza un adeguato sistema di gestione delle acque reflue, il rischio di epidemie è in costante aumento. La mancanza di acqua potabile e le condizioni igienico-sanitarie precarie aggravano ulteriormente la crisi umanitaria.
Una carenza idrica che oltre a essere importante per il fabbisogno di acqua potabile per le persone diventa fondamentale per l’igiene e la salute.
Macerie e rifiuti
A danneggiare seriamente i quattro elementi fondamentali della Terra, si aggiunge un’altra problematica: la gestione dei rifiuti.
I sistemi di gestione dei rifiuti solidi sono collassati a causa del conflitto. La mancanza di un’adeguata gestione dei rifiuti crea condizioni insalubri, con accumuli di spazzatura che aumentano il rischio di epidemie.
La salute pubblica è a rischio a causa del collasso delle infrastrutture di gestione dei rifiuti. Le malattie infettive possono proliferare in queste condizioni, mettendo ulteriormente a dura prova un sistema sanitario che ormai è fuori controllo. L’accesso limitato ai servizi sanitari complica la situazione, rendendo difficile il trattamento delle malattie.
Le strutture sanitarie di Gaza, già indebolite da anni di embargo, stanno cedendo a causa della guerra. I sistemi per la gestione delle fognature, delle acque reflue e dei rifiuti solidi sono collassati, portando all’accumulo di rifiuti in discariche improvvisate e allo scarico delle acque reflue direttamente nel mare. Questa situazione ha provocato un aumento delle malattie come infezioni della pelle, epatite A e diarrea, con un rischio crescente di epidemie.
Gli attacchi agli ospedali e il blocco delle forniture mediche hanno paralizzato il sistema sanitario, lasciando milioni di persone senza accesso alle cure necessarie. Inoltre, la presenza di corpi in decomposizione aumenta il pericolo di epidemie di colera. I bambini, con un sistema immunitario debole e una grave carenza di cibo, sono particolarmente vulnerabili.


Danni ambientali: non solo Gaza
La Striscia di Gaza è una regione già vulnerabile alla crisi climatica. Le proiezioni indicano che le temperature potrebbero aumentare di 4°C entro la fine del secolo. Questo aumento della temperatura avrebbe conseguenze devastanti per l’ambiente e la popolazione, aggravando ulteriormente la situazione.
Il cambiamento climatico aumenta la frequenza e l’intensità degli eventi meteorologici estremi, come ondate di calore e siccità. Questi eventi mettono a rischio le risorse idriche e alimentari, aggravando la crisi umanitaria. La popolazione di Gaza deve affrontare non solo gli effetti immediati della guerra, ma anche le conseguenze a lungo termine del cambiamento climatico.
E non solo la popolazione di Gaza.
L’impatto ambientale si estende anche ai Paesi vicini come Egitto, Giordania e Libano (fonte Greenpeace Italia).
In Egitto, si registra un inquinamento crescente nel Sinai settentrionale e lungo la costa mediterranea, che potrebbe danneggiare le riserve ittiche, la vita marina e le falde acquifere. Anche la qualità dell’aria è peggiorata, con effetti negativi sulla salute pubblica. La Giordania, a causa della sua vicinanza a Gaza, sta affrontando un aumento dell’inquinamento atmosferico.
In Libano, specialmente nelle aree di confine meridionali, si osservano danni agricoli, inquinamento chimico e contaminazione da residui di esplosivi. Una valutazione preliminare ha rilevato che i bombardamenti al fosforo bianco hanno causato danni ambientali significativi, influenzando negativamente gli ecosistemi naturali, la qualità dell’acqua e rappresentando una minaccia per la salute umana e il bestiame.
Obblighi del Diritto Internazionale
Greenpeace ricorda che il diritto internazionale richiede che Israele sostenga i costi della ricostruzione di Gaza, dato il suo ruolo di potenza occupante. La responsabilità di riparare i danni causati dal conflitto è fondamentale per il ripristino dell’ambiente e delle infrastrutture. Tuttavia, l’attuazione di queste misure richiede un impegno concreto da parte della comunità internazionale.
La ricostruzione della Striscia di Gaza deve essere affrontata con un approccio sostenibile. È essenziale investire in infrastrutture resilienti e rispettose dell’ambiente per garantire un futuro migliore alla popolazione. La comunità internazionale deve collaborare per fornire le risorse necessarie e supportare gli sforzi di ricostruzione in modo equo e sostenibile.
«Di fronte a una situazione ormai quasi irreversibile, chiediamo un cessate il fuoco immediato e permanente, un embargo globale su tutte le vendite e i trasferimenti di armi, la fine dell’occupazione illegale della Palestina, un passaggio costante e sicuro dei camion degli aiuti e l’accesso di investigatori e specialisti ambientali per condurre indagini sul campo», dichiara Sofia Basso, campagna Pace e Disarmo di Greenpeace Italia.
«Nel lungo termine chiediamo invece il sostegno di donatori internazionali e regionali per lo sviluppo delle infrastrutture idriche, valutazioni ambientali complete per il dopoguerra, una ricostruzione sostenibile incentrata sulla mitigazione del clima, sulle politiche di resilienza e sul coinvolgimento delle comunità. Inoltre sono necessarie misure per riconoscere le responsabilità di Israele per i danni inflitti a Gaza in violazione dei suoi obblighi internazionali»
Giornata internazionale per la prevenzione dello sfruttamento dell’ambiente in situazioni di guerra e conflitto armato
Ebbene si. Esiste una giornata internazionale per la prevenzione dello sfruttamento dell’ambiente in situazioni di guerra e conflitto armato.
Nel 2001, l’Assemblea delle Nazioni Unite per l’ambiente ha deciso che la Giornata Internazionale per la Prevenzione dello Sfruttamento dell’Ambiente in Guerra e Conflitti Armati si sarebbe svolta d’ora in poi ogni anno alla data del 6 novembre. La risoluzione “riconosce il ruolo di ecosistemi sani e gestione sostenibile delle risorse nella riduzione del rischio di conflitti armati. Sottolinea inoltre la necessità di una maggiore consapevolezza da parte della comunità internazionale del problema dei danni causati all’ambiente durante i conflitti armati e ricorda la necessità di un’adeguata protezione dell’ambiente contro gli effetti di tali conflitti“. (A/RES/56/4)
L’ UNEP riferisce che quasi la metà dei conflitti interni derivano dal tentativo di appropriarsi di risorse naturali, siano esse acqua, terra fertile, legno, diamanti o petrolio. Il lato grottesco è che per le strategie belliche sono per la maggior parte basate proprio sulla distruzione delle stesse risorse in territorio nemico. Per ottenere un vantaggio militare, infatti, è sistematico inquinare pozzi d’acqua potabile, bruciare raccolti, abbattere alberi o uccidere animali.
I danni ambientali causati dai conflitti armati sconvolgono gli ecosistemi e compromettono le risorse naturali molto tempo dopo la fine delle ostilità. Hanno anche effetti che si estendono e si estendono ben oltre i limiti dei territori nazionali e che avranno conseguenze per le generazioni future.
Sebbene l’umanità abbia sempre contato le sue vittime di guerra in termini di soldati e civili morti e feriti, città distrutte e mezzi di sussistenza, l’ambiente è spesso rimasto la vittima non pubblicizzata della guerra. Non può esserci pace duratura se le risorse naturali e gli ecosistemi da cui le persone dipendono vengono distrutti
UNEP


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