L’erica, con le sue sfumature di tramonto, è nel nostro immaginario la più celtica fra tutte le piante. Non poteva, quindi, mancare nell’antico calendario arboreo irlandese. Nella ricostruzione più famosa, quella di Robert Graves, essa viene fatta coincidere con una pianta chiamata Úr, simbolo del solstizio d’estate. Non solo: Úr prestava la sua iniziale all’alfabeto ogamico per costituire la vocale U. Ma tale, misteriosa Úr era proprio l’erica?
Non tutti gli studiosi sono concordi, perché si parla di calendario arboreo e l’erica non è che un piccolo arbusto. Altro che alberi di quercia o di tiglio! Così si è avanzata l’ipotesi del prugnolo. Noi abbiamo deciso di proporvi, sulle pagine di ZetaTiElle Magazine, l’erica questa settimana e il prugnolo la prossima, nell’imminenza del 21 giugno. Sarete voi lettori, a questo punto, a scegliere quale delle due specie vi sembra la più adatta per il giorno in cui principia l’estate.


Erica, api, miele, idromele e… birra!
In Irlanda, in epoca pagana, l’erica era molto apprezzata perché visitata spesso dalle api, che erano considerate simbolo d’immortalità e messaggere degli dei. Il miele d’erica, da esse elaborato, era l’ingrediente fondamentale dell’idromele: non bastava un miele qualsiasi, ci voleva proprio quello d’erica! Perché era la bevanda dei guerrieri e richiedeva l’uso sapiente dei prodotti migliori. In tempi più recenti, l’erica ha spesso sostituito il luppolo per aromatizzare la birra, conferendole un sapore di brughiera e di cieli d’Irlanda.


L’erica dai fiori di tramonto ma anche dai rari fiori bianchi
Proprio perché rara, la varietà selvatica a fiori bianchi è sempre stata la più apprezzata. Nel linguaggio dei fiori, simboleggia la gioia e diverse tradizioni irlandesi l’hanno scelta come protagonista. Per rendere il raccolto più abbondante, era frequente interrare piantine di erica bianca intorno ai tronchi dei meli. E le spose più fortunate erano certamente quelle che sceglievano i suoi ciuffi candidi per confezionare il bouquet di nozze.
Nella contea di Antrim, c’è la leggenda che le infiorescenze bianche nella brughiera siano le orme delle fate che, nottetempo, hanno danzato sul terreno. Il più comune fiore purpureo è, invece, nella convinzione popolare il sangue dei guerrieri che, attraverso i secoli, persero la vita per la libertà dell’Irlanda. Infine, siccome l’erica è un arbusto facilmente infiammabile, in molte contee c’è anche la diceria che un incendio in brughiera preceda sempre la pioggia. Infine, in lingua gaelica, il suo nome è An Fraoch.


L’eleganza incantata di pianta da brughiera
L’erica appartiene all’omonima famiglia botanica delle Ericacee ed è stata catalogata come Calluna vulgaris HULL. Il suo habitat ideale è quello paludoso e umido della brughiera: brugo è infatti un altro suo nome piuttosto diffuso. Raggiunge un’altezza massima di 60-80 centimetri: fa quindi parte degli arbusti nani. È sempreverde, piuttosto longevo (vive addirittura 40 anni!) e ha un aspetto assai ramificato. Le piccole foglie picciolate sono lineari e disposte su quattro file. L’infiorescenza è a grappolo, composta da numerose corolle purpuree o violette, che sono calici a 4 lobi. I fiori sbocciano tra luglio e ottobre.


Studi clinici e impiego fitoterapico
Fu Andrea Mattioli, nel XVI secolo, uno dei primi medici a lodare le proprietà medicinali dell’erica. Sosteneva che fosse in grado di spezzare i calcoli dei reni, guarendo il paziente. Sempre nel XVI secolo, Guillaume Rondelet, naturalista di Montpellier, preparava con l’erica un olio per lenire dermatosi e foruncoli. Il francese Joseph Roques, nel Nouveau traité des plantes usuelles del 1837, riportò esperimenti clinici con bagni di brugo nella cura di gotta, reumatismi e paralisi. Nel secolo scorso, Henri Leclerc ne scoprì le proprietà non solo diuretiche ma pure disinfettanti delle vie urinarie, superiori a quelle del corbezzolo.
La droga è costituita dalle sommità fiorite, i cui principi attivi sono: l’olio ericinolo, il glucoside ericina, la resina aricolina, l’antisettico arbutina, flavonoidi, idrochinone e tannini. Il decotto si prepara come se fosse un tè da bere lungo la giornata. Si pongono due cucchiai rasi di droga in mezzo litro d’acqua, si fa bollire per pochi minuti e si lascia in infusione per un quarto d’ora. Si filtra e si dolcifica a piacere. Giova a chi soffre di oliguria, essendo un potente diuretico, di cistite, di prostatite, di calcolosi dei reni, di diarrea e di reumatismi. In uso esterno, aggiungendo litri di decotto nell’acqua del bagno, sono stati confermati gli studi di Roques, nell’affiancare il trattamento medico di gotta, reumatismi e paralisi. Se si fa macerare al sole la pianta fresca in olio d’oliva, per due settimane, si ottiene un preparato da applicare sulle dermatosi squamose.


Economia dei paesi di brughiera
Non solo in Irlanda ma anche nel resto d’Europa, le popolazioni che vivevano presso le brughiere facevano dell’erica gli usi più singolari. Dai fusti nodosi si ricavano le pipe e dai fitti rametti le scope e le coperture per i tetti a fascina. Per l’alto contenuto di tannino, serviva per conciare le pelli e, come erba tinctoria, conferiva alle stoffe un persistente colore dorato. In Francia, i contadini la mettevano a disposizione dei bachi da seta. Vi si arrampicavano sopra e cominciavano a filare i loro preziosi bozzoli.
Che ne dite? La prossima settimana, il prugnolo avrà un arduo compito, nel raccogliere dall’erica il guanto di sfida per conquistare il solstizio d’estate!
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