Il salice, pianta da cipria e da arpe, nel quinto mese del calendario arboreo irlandese

Il salice e il mese irlandese di Sail

Secondo l’antico calendario arboreo irlandese, del quale siamo giunti al quinto mese, il salice simboleggiava il periodo compreso tra il 15 aprile e il 12 maggio. Era preceduto infatti dall’ontano e seguito dal biancospino. Il suo mese era chiamato Sail e l’iniziale del nome irlandese del salice era la consonante S dell’alfabeto, anch’esso di derivazione arborea. L’attuale termine gaelico che designa il salice conserva in parte questa denominazione arcaica, perché è saileach. La scelta del salice per il mese lunare primaverile, tra gli attuali aprile e maggio, è legata al fatto che esso fiorisce in questi giorni. I celti ne legavano la sacralità all’acqua, alla luna e alla poesia, di più facile ispirazione, sotto le fronde dei salici. E la impiegavano come erba tinctoria, ricavando un singolare rosso porporino dalle radici e il giallo dalle foglie.

un uccellino posato su un ramo di salice

Le arpe irlandesi e le cetre ebraiche

Proprio perché tradizionalmente legato alla poesia, con il legno del salice in Irlanda si cominciarono a costruire le famose arpe celtiche. Anche la più vetusta arpa d’Irlanda, la cosiddetta “Arpa di Brian Boru”, custodita al Trinity College di Dublino, è stata intagliata in legno di salice e reca 29 corde d’ottone. Essa è attribuita al più celebre Gran Re d’Irlanda, l’Ard-Rí Brian Boru, che fu pure un abile arpista, ma in realtà risale al XV secolo. È considerata il simbolo dell’Irlanda, insieme con il trifoglio di san Patrizio. D’altronde il legame tra poesia, musica e salice è ben presente anche in altre culture. Pensiamo ad esempio al Salmo 137 della Sacra Scrittura, nel quale il popolo ebraico prigioniero, esiliato a Babilonia, appende ai salici le proprie cetre. Il gesto rappresenta la muta ribellione di chi è stato strappato alla patria e non ha più voce per cantare. La potenza di tale immagine fu ripresa dal Premio Nobel Salvatore Quasimodo nella poesia “Alle fronde dei salici” (1946), ricordano l’atrocità dell’occupazione nazifascista. 

il monumento all'arpista ocarolan famoso musico irlandese
il monumento all’arpista OCarolan

Mazze da cricket, pane e cipria

In realtà, il legno di salice non viene lavorato spesso, perché è tenero, fragile e poco duraturo. Le poche eccezioni, oltre alle arpe, riguardano i giocattoli, i particolari minuti di ebanisteria e falegnameria e le botti. Gli inglesi ci costruiscono da secoli le loro pregiate mazze da cricket. Quando c’erano ancora i forni a legna, si bruciavano ciocchi di salice per cuocere il pane. Le ceneri di legno di salice, inoltre, erano assai ricercate dai laboratori cosmetici, perché diventavano la base finissima e impalpabile per preparare le ciprie.

L’arte di intrecciar rametti di salice e di produrre propoli

Si contano circa una trentina di specie di salice, il cui numero aumenta per la moltitudine di ibridi che, nel tempo, da esse sono derivati. In Italia, è sicuramente il genere più esteso di tutta la flora arborea. Sin dal tempo degli antichi romani, fra i salici si prediligevano le varietà cosiddette “da vimini”, i cui rami flessibili si prestavano alla legatura. Servivano per tenere insieme le capanne, per intrecciare tetti, per fissare le piante di vite ai pali e per cesti a profusione. Si usavano grezzi o scorticati e si tenevano a bagno in acqua, per renderli più facilmente lavorabili. Già Columella, nel I secolo, indicava quali tipi di salice erano più adatti a questi usi. Virgilio, invece, consigliava di piantar salici vicino agli alveari, perché le api ricavassero dalle foglie una preziosa cera, che oggi conosciamo come propoli.

rami secchi di salice con cui fare vimini

Il salice che sostituisce la palma e l’olivo, nelle Isole Britanniche

Tornando all’Irlanda, qui, come in alcune contee della vicina Gran Bretagna (Dorset, ad esempio) è la pianta della Domenica delle Palme. Mancando alberi più mediterranei, come la palma e l’olivo, nelle chiese irlandesi si benedicono altre specie. Abbiamo già anticipato il bosso, nelle settimane passate, ma è proprio il salice quella preferita. Viene intrecciato e, una volta benedetto, conservato nelle case sino all’anno successivo, a protezione della famiglia. Nelle chiese stesse sono presenti decorazioni e ghirlande di salice per tutto il periodo pasquale. Secondo tradizione, porta sfortuna tagliarne i rami, con cui alcuni sostengono che sia stato flagellato Gesù: è possibile farlo solo la Domenica delle Palme. Questo perché la benedizione trasforma il salice in simbolo di pace, di salvezza e di redenzione. Sempre in memoria della flagellazione di Cristo, in Irlanda i bambini monelli non erano mai percossi con rami di salice. Si era convinti che una punizione del genere avrebbe reso sventurato il loro futuro. Non per le botte subìte, ma per l’impiego del salice: per fortuna, sono storie d’altri tempi!

rami di salice colpiti da raggi di sole

Ancora in Irlanda: credenze profane

Uno dei motivi per cui non ci si metteva in viaggio di notte, sulle strade d’Irlanda, era la paura di essere inseguiti da un salice. Si temeva, infatti, che con il buio i salici si mettessero a vagare per la campagna e se la prendessero con i malcapitati viandanti. Un detto ricorrente recita che “il salice cammina, se tu viaggi tardi”:

Willow do walk,
If you travel late.

Tuttavia, nella notte di Pasqua, in alcune contee le ragazze hanno il coraggio di lanciare una scarpa contro un salice, senza temere d’essere rincorse. Se questa rimane impigliava tra i rami, vuol dire che si sposeranno entro l’anno, ma sono ammessi solo nove tiri di scarpa.

filari con salici a lato

Breve descrizione botanica del salice

Tra le numerose specie, tutte appartenenti alla famiglia delle Salicacee, vi proponiamo il Salix alba L., il più interessante dal punto di vista fitoterapico. Si tratta di un albero dioico, che reca su individui separati fiori femminili e maschili. Gli amenti maschili sono gialli, quelli femminili, verdini, quando maturano formano semi piumosi, per essere dispersi dal vento. Raggiunge anche i 18 metri d’altezza, ha una corteccia grigiastra e un’ampia chioma con rami flessibili e sottili, che divaricano. Le foglie, con corti piccioli, sono alterne, sottili, allungate e acuminate. Presentano una fine dentellatura, hanno tinta pallida e aspetto argenteo per la peluria setosa, più fitta sulla pagina inferiore. È diffuso in tutta Europa, in Africa settentrionale e in Asia Minore, soprattutto lungo i corsi d’acqua e nelle brughiere.

inforescenze

Studi clinici sul salice

Le proprietà terapeutiche del salice sono note sin dall’antichità. Nel I secolo Dioscoride attribuiva alle sue foglie un potere emostatico e, nel II secolo, Galeno prescriveva cataplasmi di foglie tritate sulle piaghe. Durante il Medioevo e in epoca rinascimentale, l’infuso degli amenti si proponeva a chi era troppo focoso in amore. Ma solo verso il finire del XVII secolo si iniziò a intuire il suo specifico potere febbrifugo, con gli studi di Etner nel 1694. Seguiranno nel XVIII secolo quelli di Coste, Gilbert, Koning, Willemet e Wilkinson. Nel 1850 Cazin affermò che il salice era un febbrifugo pari alla china: contiene infatti nella corteccia salicina che, per idrolisi, dà acido salicilico. Pure le virtù emostatiche furono confermate dagli esperimenti di Alexander del 1751, nella cura delle emorragie nasali. E nel 1781 Hartmann concluse che aveva un drastico effetto vermifugo.

fiori di salice gialli

Principi attivi e tisane salutari

La droga è rappresentata sia dalle foglie e dagli amenti sia dalla corteccia. I principali costituenti sono la già citata salicina (corteccia), una sostanza simil-estrogenica (amenti femminili), una sostanza simile all’ormone maschile (amenti maschili). Ci sono poi tannino, gomma e cera. L’infuso di amenti e foglie ha funzione ipnotica, digestiva e antispasmodica. Ciò significa che giova come calmante nervoso, nelle nevralgie reumatiche, nelle forme artritiche, negli stati ansiosi, per insonnia, problemi gastrici e dolori mestruali. Si prepara e si beve lungo la giornata come un tè, ponendo due cucchiai rasi di droga in mezzo litro d’acqua fredda. Si porta a bollore, si spegne e si lascia riposare sotto coperchio per una decina di minuti, prima di filtrare e dolcificare a piacere. Invece, il decotto di corteccia si ottiene ponendo sempre due cucchiai rasi di droga in mezzo litro d’acqua. Ma, in questo caso, si fa bollire per 5-10 minuti e si tiene poi in infusione come sopra. Si beve come febbrifugo e come tonico.

piccoli fiori su ramo con fondo lacustre

Insalata di salice

Per i golosi consigliamo infine di raccogliere i giovani germogli, di bollirli per pochi minuti e di unirli alle insalate primaverili. Sono anche prelibati e insoliti, se aggiunti a minestre, risotti o frittate.

Maura Maffei
Maura Maffei
Maura Maffei è da trent’anni autrice di romanzi storici ambientati in Irlanda, con 17 pubblicazioni all’attivo, in Italia e all’estero: è tra i pochi autori italiani a essere tradotti in gaelico d’Irlanda (“An Fealltóir”, Coisceim, Dublino, 1999). Ha vinto numerosi premi a livello nazionale e internazionale, tra i quali ci tiene a ricordare il primo premio assoluto al 56° Concorso Letterario Internazionale San Domenichino – Città di Massa, con il romanzo “La Sinfonia del Vento” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2017) e il primo premio Sezione Romanzo Storico al Rotary Bormio Contea2019, con il romanzo “Quel che abisso tace” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2019). È a sua volta attualmente membro della Giuria del Premio Letterario “Lorenzo Alessandri”. Il suo romanzo più recente è “Quel che onda divide” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza 2022) che, come il precedente “Quel che abisso tace”, narra ai lettori il dramma degli emigrati italiani nel Regno Unito, dopo la dichiarazione di Mussolini alla Gran Bretagna, e in particolare l’affondamento dell’Arandora Star, avvenuto il 2 luglio 1940, al largo delle coste irlandesi. In questa tragedia morirono da innocenti 446 nostri connazionali internati civili che, purtroppo, a distanza di più di ottant’anni, non sono ancora menzionati sui libri di storia. Ha frequentato il corso di Erboristeria presso la Facoltà di Farmacia di Urbino, conseguendo la massima votazione e la lode. È anche soprano lirico, con un diploma di compimento in Conservatorio. Ama dipingere, ha una vasta collezione di giochi di società e un’altrettanto vasta cineteca. È appassionata di vecchi film di Hollywood, quelli che si giravano tra gli Anni Trenta e gli Anni Sessanta del secolo scorso. Tra i registi di allora, adora Hawks, Leisen e Capra. Mette sempre la famiglia al primo posto, moglie di Paolo dal 1994 e madre di Maria Eloisa.