In uscita il 4 luglio “Cuore in bara“, l’ultimo singolo di TØMK€Y. Il brano segna un momento chiave nel percorso artistico e personale dell’autore, un giovane talento che sceglie la musica come strumento di verità, memoria e rinascita.
Ne parliamo direttamente con lui, in un’intervista che parte da questo nuovo singolo per esplorare ispirazioni, visioni e futuro.
Come mai hai scelto questo titolo TØMK€Y?
Ho scelto il titolo “Cuore in Bara” perché rappresenta perfettamente lo stato emotivo in cui mi trovavo quando ho scritto il pezzo. È come se una parte di me fosse morta dentro a causa di tutto quello che ho vissuto: il rapporto complicato con mio padre, la perdita di mio nonno e tutte le cicatrici che mi porto dietro. La “bara” simboleggia il dolore sepolto, il peso del passato che porto nel cuore. Ma allo stesso tempo, è anche un modo per esorcizzarlo, per tirarlo fuori e trasformarlo in musica. È un titolo crudo, ma vero.
Di cosa parla il testo?
Parlo sicuramente di uno sfogo, ma non è solo quello. “Cuore in Bara” è anche una presa di coscienza, un messaggio e una ferita che ho deciso di mostrare senza filtri. È la mia verità messa in musica. Quando vivi certe esperienze — come crescere con un padre assente o fare i conti con la perdita di chi ti ha fatto da guida — non puoi far finta di niente. Questa canzone è uno sfogo, sì, ma anche una dichiarazione: “guardate cosa mi porto dentro”. È qualcosa di più profondo, è il mio modo per elaborare il dolore e, magari, far sentire meno solo chi vive situazioni simili.
Nel testo citi tuo nonno, è un caso o ti manca?
Mi manca tutto di lui, davvero. Ma più di ogni cosa mi manca la sua presenza silenziosa ma forte, quel modo che aveva di farmi sentire al sicuro anche quando fuori c’era il caos. Era come un faro, uno di quelli che non parlano tanto ma ti guidano lo stesso. Mi manca il suo sguardo, i suoi consigli detti con poche parole ma pesanti come macigni, e anche le cose semplici: un caffè insieme, una risata, il suo modo di mettermi al mio posto senza mai giudicarmi. Era il mio punto di riferimento, e ora che non c’è più, sento un vuoto che non si colma… però provo a riempirlo con la musica, perché è anche grazie a lui se oggi sono quello che sono.


Cosa intendi con l’espressione “quadrifoglio spezzato” e “mamma stanca”?
Il “quadrifoglio spezzato” non includeva mio padre, perché lui non è mai stato davvero una presenza nella mia vita. Quel quadrifoglio era formato da me, mia madre, mio nonno e simbolicamente la forza che ci univa: l’amore vero, quello che tiene in piedi una famiglia anche nei momenti peggiori. Quando mio nonno se n’è andato, è come se una foglia si fosse staccata… e da lì tutto ha perso un po’ di equilibrio. Lo chiamo “spezzato” perché rappresenta proprio quella frattura, quel dolore che mi porto dentro. Nonostante tutto, però, le altre foglie resistono — e in particolare mia madre è quella che continua a tenermi in piedi.
Quando dico “mamma stanca”, non mi riferisco a un solo episodio, ma a tanti momenti messi insieme. È l’immagine di una donna che ha sempre lottato da sola, che ha tenuto in piedi la casa mentre tutto crollava intorno. Stanca non solo fisicamente, ma nell’anima. L’ho vista piangere in silenzio, andare a lavorare senza mai lamentarsi, fare da madre e da padre allo stesso tempo. Quella frase racchiude anni di sacrifici, delusioni, notti insonni… ma anche una forza incredibile. È una stanchezza che però non l’ha mai fermata. E oggi, quella forza, cerco di portarla con me.
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