L’agrimonia, la favorita di Mitridate, re del Ponto

L’agrimonia è una delle erbe medicinali d’uso più antico. Ne sono stati trovati i semi persino in insediamenti neolitici (resti di villaggi di palafitte), in più parti d’Europa.


Mitridate, il re erborista


Il merito di averne scoperto le virtù terapeutiche è attribuito da Plinio il Vecchio al re del Ponto Mitridate IV Eupator (132-63 a.C.). Questo sovrano è noto, soprattutto, per aver costretto i romani a tre guerre: li combatté per quarant’anni, sfidando generali quali Silla, Lucullo e Pompeo Magno. Ma fu anche uomo di grande cultura, in grado di parlare una ventina di lingue diverse.

Studiava con passione le piante, per comprenderne le proprietà curative e gli eventuali veleni contenuti. La leggenda vuole che fosse immune a qualsiasi veleno, perché ne assumeva tutti i giorni minime quantità. Al punto che, quando volle uccidersi per non cadere in mano al nemico, fu costretto a farsi trafiggere dalla spada del mercenario gallo Bituito.

agrimonia fusto fiorito in un prato con erba alta


La prediletta del re, che soffriva di ulcera


Si tramanda che, fra tutte le erbe, Mitridate prediligesse l’agrimonia, che utilizzava per curare sé stesso dall’ulcera. Così questa specie è stata catalogata come Agrimonia
eupatoria L.
, proprio in ricordo del soprannome di Eupator, attribuito allo stesso Mitridate. Il termine agrimonia deriva invece da argemon, con cui i greci designavano la cataratta degli occhi, perché le attribuivano il potere di guarirla. Anche i medici egizi, assai rigorosi nella ricerca scientifica, la prescrivevano per lenire le infiammazioni oculari.


Altri amanti dell’agrimonia


Sull’esempio di Mitridate, numerosi furono gli estimatori antichi di questa pianta. Dioscoride la magnifica come lassativo e Cicerone, che pare fosse un po’ stitico, riferisce di averla impiegata con successo. Plinio e Galeno, invece, la consigliavano per i disturbi di fegato. Nel Medioevo cominciò a essere usata non solo come farmaco ma anche come erba tinctoria. I fusti e le foglie bolliti insieme con la lana le conferiscono infatti un vivace colore dorato, che dura nel tempo. I cosacchi, al contrario, la facevano mangiare al bestiame, specie ai loro celebri cavalli, per eliminare i vermi intestinali.


In Irlanda: il fascino sinistro degli “spini della morte”


Nell’Isola di Smeraldo, l’agrimonia è da sempre un’erba ambigua. Per le sue spighe che svettano alte verso il cielo, è detta church steeple, ossia “campanile della chiesa”. E le vengono attributi grandi poteri nella cura del fegato e delle lesioni cutanee provocate da rovi e altri rami spinosi. Tuttavia, sono guardati con sospetto i suoi semi. Piccini, graziosi, a dieci scanalature, sono comunque incoronati da spini uncinati, che si attaccano al pelo degli animali o ai vestiti di chi ne sfiora le sommità. Questo è utile per la dispersione della semenza stessa, che attecchisce così su più vasto terreno.

Ma gli irlandesi considerano tutto ciò una sorta di diavoleria. E in gaelico chiamano l’agrimonia con un nome lunghissimo, an marbhdhraighean, che significa “spini di morte”. Sì, perché se i suoi semini portati a casa, dopo una passeggiata nei prati, si attaccano sotto il guanciale del letto, sono guai seri. Sembra che il malcapitato che dorme lì non si sveglierà più e non aprirà più gli occhi finché i malefici semini non saranno rimossi. A questo proposito, è illuminante una strofa di versi in inglese arcaico:

If it be leyd under mann’s head,
He shall sleepyn as he were dead,
He shall never drede ne wakyn
Till for under his head it be takyn.

Un sortilegio che sarebbe senz’altro piaciuto alle rispettive streghe di Biancaneve e della Bella Addormentata nel Bosco!

agrimonia con piccoli spini


Le romantiche fanciulle di Guernesey


Sull’isola di Guernesey, invece, c’era un tempo una tradizione assai più simpatica. Le ragazze in età da marito andavano per la campagna alla ricerca di due foglie rare
di agrimonia
. Queste sono pennatosette e, di solito, sono suddivise in sette parti. Ma possono anche comprendere nove foglioline. Ebbene, ecco che cosa facevano le ragazze di Guernesey! Trovate un paio di queste ultime, le ponevano sotto il cuscino ed erano certe che, nella notte, avrebbero sognato il volto del loro futuro sposo.


Breve descrizione botanica dell’agrimonia


L’agrimonia, pur essendo pianta erbacea perenne, appartiene alla famiglia delle Rosacee, che comprende le rose e molti alberi da frutto. Tipico delle Rosacee è il fiore a cinque petali (o multipli di cinque, per le rose coltivate). Nel caso dell’agrimonia, è giallo, con diametro di circa mezzo centimetro, posto su una lunga infiorescenza a pannocchia. Sboccia da aprile a ottobre.

Il fusto è eretto, ramificato, e può raggiungere gli 80 centimetri d’altezza. Le foglie sono imparipennate, direttamente attaccate al fusto, senza picciolo. Diffusa in tutta Europa, come habitat predilige i prati asciutti e i boschi soleggiati.

agrimonia fiore


Principi attivi e impieghi fitoterapici


La droga è costituita dalla pianta intera, che contiene tannini (5%), fitosterine, olio essenziale, glicoside eupatorina, vitamine C e K, acido citrico e acido ursolico. Quest’ultimo è molto interessante, perché ha un’azione analoga a quella del cortisone e giova in caso di orticarie, dermatiti, eczemi e foruncolosi. Henry Leclerc ne
i ndicava l’uso per curare ulcere varicose e piaghe varie. Jean Valnet ne ipotizzava addirittura l’azione anticancerosa, che dovrebbe essere approfondita da seri studi
clinici.

È comunque un’erba decongestionante dei processi infiammatori, è un buon diuretico, cicatrizzante e antidiabetico. Offre particolare sollievo a chi soffre di disturbi del fegato e dei reni.


Lo splendido tè di agrimonia


In uso esterno, l’infuso di agrimonia si può applicare in compresse e sostituisce l’impacco di pianta fresca tritata, ugualmente valido. Ma quest’erba è soprattutto buona da bere come un tè, indipendentemente dall’impiego terapeutico, perché profuma d’albicocche mature. La tisana, dall’ottimo sapore, si prepara ponendo due cucchiai rasi di droga in mezzo litro d’acqua fredda. Si porta a bollore, si spegne e si lascia riposare per una decina di minuti; quindi si filtra e si dolcifica. È davvero la bevanda perfetta: vi piacerà sorseggiarla per il suo gusto fruttato e vi farà anche molto bene alla salute.

Maura Maffei
Maura Maffei
Maura Maffei è da trent’anni autrice di romanzi storici ambientati in Irlanda, con 17 pubblicazioni all’attivo, in Italia e all’estero: è tra i pochi autori italiani a essere tradotti in gaelico d’Irlanda (“An Fealltóir”, Coisceim, Dublino, 1999). Ha vinto numerosi premi a livello nazionale e internazionale, tra i quali ci tiene a ricordare il primo premio assoluto al 56° Concorso Letterario Internazionale San Domenichino – Città di Massa, con il romanzo “La Sinfonia del Vento” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2017) e il primo premio Sezione Romanzo Storico al Rotary Bormio Contea2019, con il romanzo “Quel che abisso tace” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2019). È a sua volta attualmente membro della Giuria del Premio Letterario “Lorenzo Alessandri”. Il suo romanzo più recente è “Quel che onda divide” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza 2022) che, come il precedente “Quel che abisso tace”, narra ai lettori il dramma degli emigrati italiani nel Regno Unito, dopo la dichiarazione di Mussolini alla Gran Bretagna, e in particolare l’affondamento dell’Arandora Star, avvenuto il 2 luglio 1940, al largo delle coste irlandesi. In questa tragedia morirono da innocenti 446 nostri connazionali internati civili che, purtroppo, a distanza di più di ottant’anni, non sono ancora menzionati sui libri di storia. Ha frequentato il corso di Erboristeria presso la Facoltà di Farmacia di Urbino, conseguendo la massima votazione e la lode. È anche soprano lirico, con un diploma di compimento in Conservatorio. Ama dipingere, ha una vasta collezione di giochi di società e un’altrettanto vasta cineteca. È appassionata di vecchi film di Hollywood, quelli che si giravano tra gli Anni Trenta e gli Anni Sessanta del secolo scorso. Tra i registi di allora, adora Hawks, Leisen e Capra. Mette sempre la famiglia al primo posto, moglie di Paolo dal 1994 e madre di Maria Eloisa.