«Sì, ho le tasche col doppiofondo e assi nella manica… ma non sono un prestigiatore. Piuttosto, sono il contrario: lui vi vende illusioni che hanno l’aspetto di cose reali; io vi dono verità dietro la piacevole maschera dell’illusione.»
Il dramma di Tennesse Williams, grazie all’allestimento di Sandro Calabrò e della sua compagnia, ha davvero conquistato il teatro Gobetti di Torino.
Ci sono diversi modi di intendere il teatro, ci sono diversi modi di fare teatro.
Non mi sono mai piaciute le etichette, ma chi si siede su una poltrona davanti a un palcoscenico, sa che può aspettarsi diversi tipi di rappresentazioni, a seconda naturalmente di ciò che uno cerca, sedendosi su quella poltrona.
Commedia, commedia brillante, commedia dell’arte, musical, teatro dell’assurdo, tragedia, piuttosto che opera lirica.
Aggiungerei anche il dramma, poiché è proprio di un’opera del genere di cui voglio raccontarvi.
Più nel particolare di “Lo zoo di vetro”, celeberrima piece scritta da Tennessee Williams.
“E’ il mio autore preferito ed ho portato in scena quasi tutto il suo repertorio. Mancava lo zoo di vetro“, dichiara Sandro Calabrò.
Un’opera composta negli anni ’50 dal drammaturgo di Columbus, ambientata negli anni ’30, ma quanto mai attuale: disillusione, rimpianto, rabbia, risentimento, delusione, timidezza, voglia di scappare e di dare un giro alla propria vita.
Emarginazione dovuta alla disabilità, un tema che purtroppo, ripeto, è quanto mai attuale, trattato nel testo con molto rispetto e molta delicatezza.
Un mix a prima vista esasperato, ma alzi la mano chi, almeno per una volta nella vita, non ha provato simili sentimenti.
Un testo difficile, “tosto” se mi passate il termine, sicuramente impegnativo per chi decide di portarlo su un palcoscenico.
La compagnia diretta da Sandro Calabrò, ci è riuscita perfettamente, attraverso una rappresentazione ricca di pathos, condita da una drammaticità molto “umana”, anche qui passatemi il termine. Nonostante, ripeto, la difficoltà del testo, la compagnia è riuscita a sdrammatizzare le parti più drammatiche, rendendo il dramma fruibile anche al pubblico meno “colto”.
Non è un gioco di parole, ma un giusto riconoscimento ad un grande quartetto di attori.
Sandro Calabrò (Tom Wingfield)
Regista e attore protagonista: perfetto nel ruolo del figlio stanco di una vita monotona e senza prospettive, quasi costretto a seguire le orme del padre fedifrago. Regia azzeccata, allestimento eccellente, che porta gli altri attori ad identificarsi nel concetto di dramma voluto dall’autore.


Fulvia Roggero (Amanda Wingfield)
Assolutamente a proprio agio nel ruolo di madre petulante, disillusa, prigioniera dei ricordi di gioventù, la cui unica preoccupazione, escludendo la gestione del magro bilancio famigliare, è quella di trovare un marito alla figlia minore, afflitta da problemi fisici e di carattere. Presenza continua e fondamentale sul palco.


Linda Borello (Laura Wingfield)
Altrettanto perfetta nel ruolo della figlia timida ed introversa, afflitta da un handicap fisico che potrebbe essere superato, ma che diventa un alibi per giustificare una vita vuota e senza speranza, dove l’unico rifugio diventa una collezione di animali di vetro.


Paolo Calabrese (Jim O’Connor)
Bravo nel ruolo di chi, suo malgrado ed a sua insaputa, diventa il pretesto per giustificare delle scelte e causarne delle altre. Un ruolo assolutamente non minore, ma fondamentale per l’evolversi degli eventi, interpretato con grande attenzione.


Applausi
Come avete potuto notare, non vi ho svelato tutta la trama. Lascio a voi futuri spettatori il piacere di scoprirla e di apprezzarne l’interpretazione.
Vi posso però anticipare che la scena a lume di candela è da antologia del teatro.
Teatro come si faceva una volta. Applausi.