Greenwashing: come trasformare lo sporco in green

Se sentiamo parlare greenwashing, immediatamente associamo la parola a qualcosa di buono e di pulito. In realtà non è così. Ma è proprio questo il bello della comunicazione: far appare buono qualcosa che non lo è affatto.

Il Greenwashing è una strategia di marketing molto in uso negli ultimi tempi ed è anche molto efficace. Invade tutti gli spazi pubblicitari televisivi e riempie i social, contenitori di post visualizzati da milioni e milioni di persone in tutto il mondo.

Che bella cosa la pubblicità progresso. Un settore che impiega fior fior di laureati in comunicazione per gestire al meglio il marketing più efficace per promuovere le attività e i prodotti di una azienda. Ed ora, con il libero mercato per l’energia elettrica e il gas, le aziende produttrici fanno a spallate per aggiudicarsi lo spot più “catching” per “intortare” gli utenti. Ma non sono certamente le sole. Nel calderone delle aziende che ricorrono al greenwashing per apparire ecosostenibili, ci sono anche importanti case automobilistiche e compagnie aeree.

Cos’è il greenwashing?

Il termine “greenwashing” è stato coniato nel 1986 dall’ambientalista Jay Westerveld. In pratica, è un ingannevole espediente di marketing inteso a fuorviare i consumatori che preferiscono acquistare beni e servizi da marchi attenti all’ambiente.

Quando un’azienda, un’organizzazione o un’ente spende più tempo e denaro per dichiararsi rispettosa dell’ambiente piuttosto che per ridurre al minimo il proprio impatto ambientale, sta facendo del greenwashing.

Con l’aggravarsi dei problemi ambientali. dell’inquinamento atmosferico e della necessità impellente di trovare soluzioni ecosostenibili, molte aziende che producono prodotti e materiali inquinanti, sono entrate nel mirino delle varie organizzazioni di difesa dell’environement. L’impegno dei governi nell’attuare piani di recupero della salute del pianeta ha fatto si che i grandi fornitori di energia, le aziende che producono beni inquinanti, e le compagnie che forniscono servizi di trasporto debbano obbligatoriamente avviarsi verso uno sviluppo di produzioni compatibili con la sostenibilità.

L’aggravarsi dei problemi ambientali ha portato, quindi, le aziende ad avere una consapevolezza diversa e una considerazione ambientale tale da impegnarsi nello sviluppo e nella commercializzazione di prodotti green. Ma molto, anzi, troppo spesso, gli interessi superano di gran lunga la coscienza e piuttosto che investire in ricerca, gli investimenti prendono la direzione più facile: far sembrare pulito ciò che non lo è attraverso imponenti azioni di marketing.

Tre sfumature di greenwashing

Non è una boutade, ma un vero e proprio studio commissionato da Greenpeace,diretto dal Dr. Geoffrey Supran dell’Università di Miami ed eseguito da Algorithmic Transparency Institute (ATI). “Three Shades of Green(washing)” è il rapporto pubblicato durante la Settimana del clima di New York.

Lo studio ha eseguito un’analisi del contenuto testuale e visivo di 2.325 post organici sui social media generati da 22 principali produttori di combustibili fossili, produttori di automobili e compagnie aeree con sede nell’Unione Europea su Facebook, Instagram, TikTok, Twitter e YouTube durante l’estate del 2022.

Il risultato di questo studio è un report agghiacciante. I due terzi dei post sui social media delle compagnie petrolifere e del gas (72%), auto (60%) e compagnie aeree (60%) dipingono uno splendore narrativo di “Innovazione verde” sulle loro operazioni “Business as usual”, a cui viene concesso meno tempo d’aria.

Questo rapporto tra “verde e sporco” nelle comunicazioni pubbliche di ciascun settore rappresenta in modo errato i loro impegni contemporanei alla decarbonizzazione, il che implica che almeno alcuni dei il loro contenuto sui social media costituisce il greenwashing. Interpretiamo il greenwashing da parte dell’industria dei combustibili fossili come il più palese, mentre quello delle compagnie aeree è particolarmente sottile.

Silenzio climatico

La prima cosa denunciata dal report è il silenzio climatico.

Durante questa estate di temperature record e incendi in Europa, questi interessi sui combustibili fossili sono rimasti esplicitamente in silenzio sul tema del cambiamento climatico e, invece, si impegnano in quello che interpretiamo come posizionamento strategico del marchio

Geoffrey Supran – Università di Miami

Durante un’estate di ondate di calore, siccità e incendi senza precedenti in Europa, solo una manciata trascurabile di post ha fatto esplicito riferimento al cambiamento climatico o al riscaldamento globale.

Sport , moda e cause sociali: il trinomio vincente per fare colpo sull’immaginario collettivo

Un post su cinque di società petrolifere e del gas (23%), auto (22%) e compagnie aeree (15%) presenta articoli sportivi, cause sociali e/o moda. Il tema principale di questa narrativa di “Misdirection” è focalizzare l’attenzione del pubblico su argomenti coinvolgenti non correlati alle operazioni di core business delle aziende.

In diversi modi, ciò può legittimare la licenza sociale degli interessi dei combustibili fossili ad operare. Allo stesso tempo, distoglie l’attenzione dai ruoli, dalle responsabilità e dai contributi dell’attività principale delle imprese alla crisi climatica, Infine, mira a commercializzare i marchi come esclusivi, desiderabili e rilevanti.

Il verde che fa tendenza

Avete notato come quasi tutti i grandi fornitori di energia, gas o petrolio abbiano inserito il verde nel loro logo? Anche questo è un messaggio subliminale che riporta ad un’identità “green” che in realtà non hanno. L’analisi statistica rivela l’uso sistematico degli interessi dei combustibili fossili di immagini che evocano la natura per migliorare il “verde” dell’immagine del marchio sui social media. Questa sottile intenzionalità nei confronti del messaggio “verde” di interesse per i combustibili fossili non è mai stata così forte.

I test statistici mostrano che le aziende (in particolare le case automobilistiche) sfruttano in vario modo non solo l’immaginario della natura, ma anche di persone che presentano una presentazione femminile, persone che presentano una presentazione non binaria, persone che presentano una presentazione non caucasica, giovani, esperti, sportivi e celebrità per rafforzare i loro messaggi di “Innovazione verde” e/o “Misdirection“.

Mi ricordi montagne verdi…

Foto di un aereo commerciale alterato per avere la coda di uno squalo, hashtag che evocano ingannevolmente la sostenibilità, uso simbolico delle minoranze per distrarre e segnalare virtù. Un rapporto di Harvard pubblicato martedì mette in evidenza il dilagante greenwashing da parte di aziende leader sui social media.

L’indagine, commissionata da Greenpeace Paesi Bassi, ha coinvolto l’analisi del testo e delle immagini di 2.300 post di 22 delle più grandi case automobilistiche, produttori di combustibili fossili e compagnie aeree d’Europa nei mesi di giugno e luglio.

Durante la settimana del clima di New York, Three shades of Green(washing) ha rilevato che solo una pubblicità di auto “verdi” su cinque presenta effettivamente un prodotto in vendita, mentre il resto semplicemente promuove il marchio come green. Tra le case automobilisctiche segnalate, anche la FIAT.

Infine, ma non ultima per importanza, la strategia di marketing più in voga è quella di promuovere il proprio prodotto senza parlare del prodotto, ma focalizzando la pubblicità su tutt’altro argomento che rimandi rigorosamente alla natura. Un esempio? Guardate qui.

Tina Rossi
Tina Rossi
(a.k.a. Fulvia Andreatta) Editrice. Una, nessuna e centomila, il suo motto è “è meglio fingersi acrobati, che sentirsi dei nani” Dice di sé:” Per attimi rimango sospeso nel vuoto,giuro qualche volta mi sento perduto, io mi fido solo del mio strano istinto, non mi ha mai tradito, non mi sento vinto, volo sul trapezio rischiando ogni giorno, eroe per un minuto e poi...bestia ritorno...poi ancora sul trapezio ad inventare un amore magari...è solo invenzione, per non lasciarsi morire...”