La violetta, fiore medioevale per eccellenza
La violetta, nel corso del Medioevo, fu molto amata in tutta Europa. Era dipinta in quadri e affreschi ed era riprodotta in ricami preziosi. Dalla sua essenza, si ricavavano profumi intensi e se mangiavano in insalata le corolle dai petali di velluto. Unita a miele o a zucchero, si trasformava in bonbon o in sciroppo per la tosse.
Spesso, nel tempo di Pasqua, se ne spargevano i mazzolini sul pavimento delle chiese, per profumarne l’ambiente durante le celebrazioni che richiamavano molti fedeli. In Francia, era il fiore delle spose che, dopo le nozze, lo coltivavano in vaso per rinnovare, primavera dopo primavera, la felicità dell’unione coniugale.


Era anche il fiore dei trovatori, che venivano premiati nelle gare poetiche con ghirlande di viole. In Germania, era la pianta che annunziava la primavera. Nei villaggi, i ragazzi si sfidavano a scovare la prima viola sbocciata, l’appendevano in cima a un palo e vi danzavano intorno. Secondo la santa erborista Ildergarda di Bingen (1098 – 1179), proclamata nel 2012 Dottore della Chiesa da Benedetto XVI, la violetta guariva persino i mali incurabili. Nel 1834, il poeta Pietro Magenta tradusse in italiano alcuni versi che la riguardano, tratti dal Flos medicinae della Scuola Salernitana:
Atta a vincere l’ebbrezza E del capo la gravezza Nonché il mal caduco, è detta La purpurea violetta.


Amore, morte e penitenza, tra Atene e Roma
A dire il vero, la violetta godette di molta fortuna anche nell’antichità. I greci la consacrarono ad Afrodite, dea dell’amore, e soprattutto ne fecero il simbolo della città di Atene. I romani invece la coltivavano sulle tombe, per onorare i defunti, al punto che i giorni in cui venivano commemorati i morti si chiamavano violaris dies. Questa tradizione ha fatto del colore viola il simbolo del lutto, che si è tramandato sino ai nostri giorni.
Tra i primi cristiani, sorse la leggenda che le violette fossero, in realtà, le lacrime di Adamo dopo la cacciata dal Paradiso Terrestre. Il loro fiorire a primavera divenne dunque una sorta di sigillo tra il pentimento dell’uomo e la grazia santificante di Dio.


L’emblema della Francia bonapartista
Ricordate? A marzo, sempre per l’almanacco medioevale, vi abbiamo spiegato come l’iris gialla divenne il simbolo della monarchia francese. Molti secoli dopo, fu la violetta a rappresentare Napoleone Bonaparte e, dopo la sua caduta a Waterloo, tutti i nostalgici del suo impero. D’altronde, prima di partire per l’esilio all’Isola d’Elba, egli promise ai suoi sostenitori: «Ritornerò in primavera, all’epoca delle violette».


Pare che Napoleone si fosse innamorato delle viole nel giorno in cui incontrò per la prima volta Joséphine de Beauharnais, il grande amore della sua vita. La futura imperatrice Giuseppina ne portava allora un mazzetto infilato nella cintura. Dopo il loro matrimonio, Napoleone le mandava spesso mazzi di viole, quando la guerra lo tratteneva lontano dalla Francia. Purtroppo, nonostante il grande amore che li legava, fu costretto a ripudiarla, perché troppo anziana per dargli un erede. Ma la violetta non passò di moda perché era il fiore preferito anche di Maria Luigia d’Austria, seconda moglie di Napoleone. Dopo la Restaurazione, quando divenne duchessa di Parma, si dedicò alla sua coltivazione nei giardini della residenza di Colorno, per ricavarne un profumo assai pregiato.


An Fanaigse, secondo gli irlandesi
L’Irlanda cristiana ha sempre associato il viola di questi fiori al lutto. I contadini, inoltre avevano la convinzione che la violetta, chiamata in gaelico An Fanaigse, fosse nociva per i polli. Sognare violette anticipava, tuttavia, un improvviso colpo di fortuna, purché gli irlandesi non le sognassero in autunno. In questo caso, essendo viole fuori stagione, avrebbero predetto la morte di un familiare o una guerra imprevista.
In alcune contee, non se ne portavano in casa i mazzolini perché si temeva che attirassero addirittura le pulci! Servivano piuttosto per calmare i cavalli bizzosi, che non si facevano montare. Nell’Isola di Smeraldo, le violette si disponevano nelle scuderie affinché la loro essenza ammansisse i cavalli da domare.


Il linguaggio dei fiori e la bellezza secondo Goethe
Nel linguaggio dei fiori, la viola mammola indica l’innocenza, l’umiltà e la modestia. Spesso rappresenta anche la bellezza, in ogni sua accezione. E questo ci fa ricordare un’abitudine del poeta tedesco Johann Wolfgang von Goethe (1749 – 1832). Quando passeggiava, infatti, aveva sempre semi di viola in tasca, che camminando spargeva qui e là, per diffondere bellezza ovunque.


Un piccolo ritratto botanico della viola
Essa è stata catalogata come Viola odorata L. e appartiene all’omonima famiglia delle Violacee. Diffusa in tutta Europa, specie nelle aree temperate, come habitat predilige le radure nei boschi, i cespugli, i terreni umidi e i margini dei sentieri. È una pianta erbacea perenne, alta al massimo 15 centimetri, con stoloni striscianti che s’irradiano dalla rosetta basale delle foglie e che radicano in superficie.
Le foglie hanno la caratteristica forma a cuore, hanno solchi evidenti e un lungo peduncolo. Anche gli steli che recano un singolo fiore partono dalla rosetta basale. Le corolle sono a 5 petali, di cui 2 rivolti in alto, 2 rivolti ai lati e uno in basso, con un tipico sperone lilla. Sbocciano da marzo ad aprile e possono presentare varie tonalità di viola ma, a volte, possono pure essere bianche. I frutti sono capsule trilobate pelose, che cadono ancora chiuse sul terreno.


Proprietà terapeutiche e principi attivi
La droga è rappresentata da tutta la pianta. Anche le radici, che contengono violina, sono curative: hanno funzione espettorante ma, siccome sono pure un potente emetico, vanno usate solo sotto stretto controllo medico. Le foglie sono un blando lassativo (contengono viola-quercitina) e hanno un interessante uso esterno: tritate e applicate in cataplasma, leniscono emicranie, piaghe, ragadi e scottature.
Ma sono i fiori a concentrare i principi attivi più interessanti. Troviamo olio essenziale, acido salicilico (quello dell’aspirina), mucillagini, un glucoside ricco di salicicato di metile e un colorante che diventa rosso con gli acidi e verde con gli alcalini. L’infuso dei fiori è emolliente, sudorifero ed espettorante, indicato in caso di tosse, bronchite, stati febbrili e influenzali e infiammazioni del tubo digerente e delle vie urinarie.


Senza sospendere mai i trattamenti medici in corso, affianca cure importanti, come quelle che riguardano le ulcere gastriche o duodenali. Si prepara ponendo in mezzo litro d’acqua fredda due cucchiai rasi di fiori di viola. Si porta a bollore, si spegne e si lascia riposare sotto coperchio per una decina di minuti. Quindi si filtra e si dolcifica a piacere. Si beve come un tè lungo la giornata, gustando la bellezza e il profumo della primavera.
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