Pino Mango: dieci anni senza il poeta delle emozioni

Era l’8 dicembre 2014, un giorno qualunque per tanti, ma non per chi amava Pino Mango. Quella sera, mentre cantava sul palco, la sua voce si è spenta all’improvviso, lasciando un vuoto che ancora oggi è difficile colmare. Sono passati dieci anni, eppure sembra ieri. Oggi ricordiamo un artista unico, ma soprattutto un uomo che ci ha regalato emozioni che non si dimenticano.

Un uomo e una voce venuti da un altro mondo

Mango non era solo un cantautore. Era un poeta, un sognatore, uno di quelli che vedevano la bellezza dove gli altri vedevano solo il quotidiano. Quando cantava, la sua voce sembrava venire da un altro mondo, un mondo dove tutto era più vero, più intenso, più puro. Le sue non erano solo canzoni: erano piccoli universi fatti di parole, note ed emozioni.

C’era qualcosa di magico nel suo modo di fare musica che rendeva ogni brano un’opera d’arte. Era come se il mondo intero fosse racchiuso in quella voce: il calore del Mediterraneo, il mistero delle terre lontane, il profumo della sua Basilicata.

Pino Mango non era solo un musicista: era un artigiano delle emozioni, capace di trasformare la realtà in poesia.

Nato a Lagonegro, in Basilicata, aveva radici profonde nella sua terra, una connessione che si avvertiva nei suoi testi, spesso intrisi di immagini evocative, e nella sua sensibilità musicale. La sua carriera ha rappresentato un viaggio attraverso generi e stili diversi che si incontravano in una fusione unica. La sua timbrica vocale, profonda e inconfondibile, era lo strumento con cui dipingeva paesaggi sonori ricchi di pathos e autenticità.

Mango era un innovatore. La sua musica rompeva i confini, esplorando nuove combinazioni di suoni e mescolando strumenti tradizionali con arrangiamenti moderni. Ma al centro di tutto c’era sempre la sua voce: calda, cristallina, capace di passare da toni profondi a falsetti che sembravano toccare il cielo.

Ricordi di concerti indimenticabili

Chi ha avuto la fortuna di vederlo dal vivo sa di cosa parlo. Mango sul palco non era solo un cantante; era un narratore di emozioni. Ricordo il primo concerto cui assistetti, nel lontano 1986. Eravamo in una discoteca di periferia a Torino, lui era nel pieno del tour di “Odissea”, e ancora non era esploso come il grande artista che sarebbe diventato. Ma quella voce era già qualcosa di indescrivibile. Limpida, potente, capace di far venire i brividi.

Di live ce ne sono stati tanti, ma quello che mi è rimasto nel cuore è il concerto del 2012, al Teatro Colosseo di Torino. Era il tour de “La terra degli aquiloni”, un concerto intimo, solo voce, chitarra e pianoforte.

In quell’occasione, Mango scelse una formula intima: voce, chitarra e tastiere. Il risultato fu un’atmosfera magica, dove ogni brano era riarrangiato, quasi stravolto, per mettere in risalto la sua incredibile vocalità.

Non c’erano luci abbaglianti o effetti speciali, non ce n’era bisogno. Bastava lui. La sua voce era tutto quello che serviva per riempire la sala, per toccare ogni angolo dell’anima.

Quelle canzoni che parlavano di noi, dei nostri sogni, delle nostre ferite, quando la musica diventava un ponte verso mondi immaginari.

L’ultimo addio, sul palco, come un poeta antico

L’8 dicembre 2014 è una data che molti ricordano con dolore.

Quella sera del 2014, a Policoro, Pino Mango ci ha lasciato nel modo che gli era più naturale: cantando “Oro”, la sua canzone forse più iconica. Poi un gesto, un respiro, e il silenzio. Un addio che ha il sapore amaro della perdita, ma anche la dolcezza di un artista che ha scelto di andarsene facendo ciò che amava di più.

Non era solo una voce; era un compagno di viaggio. Uno di quelli che sembrano camminarti accanto, estate e inverno, raccontandoti cose che senti tue, anche se non le hai mai vissute.

E proprio come in una delle sue canzoni, se ne è andato in punta di piedi, come l’acqua che scorre. Mango ci ha lasciato nel momento più puro e più vero: mentre stava donando la sua arte al pubblico, come aveva fatto per tutta la vita.

Un’eredità che vive nei cuori e nelle note

Dieci anni senza di lui sembrano un’eternità, eppure la sua musica è ancora qui, viva come allora. Ogni volta che ascolto “La rosa dell’inverno”, mi sembra di rivivere quel momento in cui il tempo si fermava e tutto si faceva silenzio per lasciargli spazio. C’è una bellezza eterna nelle sue canzoni, qualcosa che va oltre le mode e i tempi.

Nel 2019, quando uscì la raccolta “Tutto l’amore che conta davvero”, fu come riabbracciarlo. Il titolo non poteva essere più azzeccato: Mango è stato davvero questo, tutto l’amore che conta davvero. E non solo per la musica, ma per come viveva, per come parlava ai suoi fan, per l’umiltà e la grazia che metteva in ogni gesto. Sua moglie, Laura Valente, ha raccontato spesso quanto ci tenesse al suo pubblico. Non si risparmiava mai: una foto, un abbraccio, un sorriso. Era il suo modo di dire grazie.

Mango: la voce che ci manca

A dieci anni dalla sua morte, Pino Mango continua a vivere attraverso le sue canzoni. La sua musica è un viaggio senza fine, un ponte verso un universo dove emozioni e parole si fondono in un abbraccio eterno. Le sue canzoni restano testimonianze del suo straordinario talento, opere che parlano direttamente all’anima.

La mancanza di Mango si sente ancora, soprattutto in un panorama musicale che fatica a trovare voci altrettanto autentiche e originali. Il suo modo di vedere il mondo, la capacità di cogliere la poesia nascosta in un profumo, in una luce, o in un momento, rimangono un esempio per chiunque si avvicini alla musica con il cuore aperto.

Come diceva lui stesso, la musica è un’arte che unisce e guarisce, un linguaggio universale che non conosce confini. Mango ha saputo parlare a tutti, regalando emozioni che continueranno a riecheggiare nel tempo.

E ci manca. Ci manca la sua voce che sapeva essere delicata e potente allo stesso tempo, ci manca il suo sguardo che trovava poesia anche nelle cose più semplici. In un mondo dove tutto sembra correre troppo in fretta, lui ci ricordava di fermarci, di ascoltare, di lasciarci emozionare.

Ciao Pino, ovunque tu sia. Grazie per tutto quello che ci hai dato. Grazie per averci insegnato a sognare.

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Lele Boccardo
Lele Boccardo
(a.k.a. Giovanni Delbosco) Direttore Responsabile. Critico musicale, opinionista sportivo, pioniere delle radio “libere” torinesi. Autore del romanzo “Un futuro da scrivere insieme” e del thriller “Il rullante insanguinato”. Dice di sè: “Il mio cuore batte a tempo di musica, ma non è un battito normale, è un battito animale. Stare seduto dietro una Ludwig, o in sella alla mia Harley Davidson, non fa differenza, l’importante è che ci sia del ritmo: una cassa, dei piatti, un rullante o un bicilindrico, per me sono la stessa cosa. Un martello pneumatico in quattro: i tempi di un motore che diventano un beat costante. Naturalmente a tinte granata”.