Sanremo 2024: Gae Capitano tra pensieri e parole

Come ogni anno, il Maestro Gae Capitano commenta le canzoni in gara a Sanremo 2024, tra pensieri e parole, in rigoroso ordine alfabetico.

“Fino a qui ” Alessandra Amoroso

Roma, i miracoli, le piazze, i bar. L’incipit letterario ha il leggero deja-vù de “La sera dei miracoli” di Dalla, subito spezzato dall’immagine moderna e sgraziata delle “Caramelle anti-panico“. Ma subito dopo il testo prende vita attraverso un sapiente mix di fermo immagine quotidiani (“Prendo la borsa”, “Fa un freddo cane”, “Una formica che si perde tra i vicoli”, “Fuori il temporale“) e citazioni non celate al testo di “Sally“ di Vasco Rossi (“Sentirmi come Sally, senza più voglia di fare la guerra“). Il risultato, non scontato, è un testo introspettivo, confidenziale ed elegante. Che ben si lega alle atmosfere melodiche e alla bella interpretazione di Alessandra. Speciale quando rallenta per recitare la frase “Ad occhi chiusi sopra la follia“.

“Vai” Alfa

Aforismi e ironia che non sembrano artefatte, nel testo sanremese di questo giovane artista che utilizza un linguaggio diretto, intarsiato da piccoli attenzioni che risulteranno colte e a tratti poetiche per il pubblico a cui si rivolge ( “Punta al sole ma non come Icaro”, “Se morirò da giovane qualcosa avrò da scrivere” “Se stai via dalla strada e via dai guai” “Il cielo sarà il limite“). Il testo ha una morale di fondo che acquista valore per la sua immagine e la sua età.

“La noia” Angelina Mango

Le parole sono protagoniste secondarie di questo brano, dove il sound moderno e il carisma indiscusso di Angelina fanno la sostanziale differenza. Il testo ha una scrittura a tratti arcaica (“Perle di saggezza”, “Non c’è croce più grande”, “Una corona di spine”, “Queste notti bruciate“), disseminata di riferimenti dal lessico molto moderno (“Dress-code”, “Total”, “Business”, “Princess”) e il tocco di una spartanità letteraria da strada che rendono il linguaggio confidenziale (“Campare”, “Scrivi canzoni? si le canzoni d’amore”). Il risultato letterario è un -bizzarro- stile Frankeinstein.

“Sinceramente” Annalisa

Le poche immagini ricercate del testo sono cinematografiche e irrequiete ( “Otto lune nere, tu la nona, “, “Spegni sigarette sul velluto blu”, ” Mi lasci sprofondare”, “Tagliarmi le vene”, “Morire di sete”, “Sto tremando“) e trasmettono quel senso di inquietudine che dà uno spessore noir al pezzo. Il resto della parte letteraria ha passaggi più scontati e hook commerciali, come la ripetizione ipnotica del titolo. D’altronde lei è una delle regine del pop, ed è a Sanremo per puntare al podio. E il brano, per quanto diverso da altre sue produzioni, si rivolge al pubblico che l’ha ammirata e premiata per prodotti meno cervellotici.

“La rabbia non ti basta” Big Mama

Con i pugni stretti e i pensieri fragili” -una citazione del testo- Marianna, in arte Big Mama, ci teletrasporta nello scenario di vite ai margini. Un susseguirsi di frame che sono pugni nello stomaco, descrivono una storia difficile (“Ti darei una casa vera in cui dormire”, “Anche se fossi solo vetro di coprirei per strada e mi farei colpire”, “Facile distruggere i più fragili”, “Un colpo d’arma da fuoco”, “Il buio che ti mangia e non ti fa dormire” “Copri le lacrime, non ti fare scoprire“). Il testo, a partire dal titolo, lascia una nota di speranza finale e alcune immagini più leggere (“Se ti perdi segui me”, “Se vuoi ballare, balla”,”Guarda me, adesso sono un’altra“). Il brano è, da un punto di vista letterario, uno dei più belli e impegnati del festival. 3° posto nella mia personale classifica dei testi migliori.

“Governo Punk” BNKR44

Della forza dissacrante del punk c’è solo il titolo. Il testo è un frattale non lineare di immagini e rime improvvisate. Il passaggio ” Stamattina io mi lavo i denti col gin, metto i soliti jeans, sono un nomade in un attico chic, ma non abitavi a Beverly Hills?” potrà sembrare musicale -mascherato dall’allegria e energia della canzone- ma anche se pochi ormai ascoltano i testi, è davvero di bassa lega. Esistono filoni musicali dove l’energia è la componente musicale principale, vedi le colonne sonore spensierate di “American Pie“, ma qui si vola davvero troppo basso. A meno che gli ascoltatori, rimanendo in tema cinematografico, non siano gli erranti di “Walking Dead“.

“Diamanti grezzi” Clara

Il titolo nasconde già un concetto interessante: “Siamo tutti diamanti grezzi“. Il testo non è fortissimo alla sola lettura ma funziona e lascia la sensazione di essere di fronte a qualcosa di più profondo. Complici passaggi come “Parole che quando si schiantano lasciano il segno“, “Quel bacio con la lingua, che fa paura“, “Cosa siamo noi? solo diamanti grezzi, cadono in mille pezzi“. La voce cristallina, un’ immagine accattivante e una popolarità già guadagnata con la serie “Mare Fuori“, fanno di Clara e del suo brano una delle proposte interessanti di questa edizione.

“Onda alta” Dargen D’Amico

Premetto che “Patatine” di Dargen è una delle mie canzoni preferite degli ultimi anni. Un piccolo capolavoro di songwriting lineare. Quindi sulla bravura dell’artista non si discute. Il testo che porta a Sanremo si gioca subito la carta d’effetto (“C’è chi mi chiama figlio di puttana“) e poi tenta di districarsi tra immagini nebulose ( “La contraerea sopra un palloncino“, “Anche così, un giovedì senza sì“, “Non lo conosci Noè? No, eh?”). Il tentativo di affrontare con leggerezza un tema serissimo, l’immigrazione, rimane solo ambizioso. Perché il brano è da serata di Capodanno. A mezzanotte.

Alcune immagini sono così belle e forti (” Siamo più dei salvagente sulla barca“,”Sono già promesso sposo ad una altra“,” Ti mando quello che mi avanza, se ci arrivo“,”Mamma ti ho sognata che eri bimba, figlia ti ho sognata che eri incinta“) che sembrano semplicemente appartenere ad un altro film, un’altra storia, un’altra canzone. Mi spiace non metterlo tra i testi migliori di quest’anno, perché alcuni passaggi sono meritevoli. Ma se viene istituito il premio “Peggior abbinamento tema e musica” non ci sono rivali.

“Ti muovi” Diodato

Le canzoni di Diodato, pur moderne, hanno una musicalità ariosa d’altri tempi. E testi che, nella loro semplicità, arrivano sottopelle. “Ti muovi” ha poche parole, che disegnano la struttura confidenziale di una conversazione sospesa tra passato e presente. Immagini trasparenti dal sapore Battistiano (“Cosa ci fai qui? non vorrai mica deludermi”,”Me lo ricordo bene il nostro tempo insieme“) danno vita a un quadretto di vita sentimentale facile da immaginare. Anche se il testo è troppo semplice per ambire a particolari riconoscimenti, siamo di fronte a una scrittura raffinata. Se “Fai rumore” nascondeva un concetto bellissimo, qui Antonio riesce a bissare la magia con una frase apparentemente banale (“Tu ancora ti muovi, qui dentro ti muovi“). Di cui l’immensa forza emozionale potrà essere compresa da chiunque sia stato innamorato almeno una volta nella sua vita.

“Apnea” Emma

L’attacco “Ci incontriamo qui nei corridoi di un albergo” è un portale che, più di mille parole, ci trascina in un istante direttamente all’interno di una storia. Interessanti alcuni passaggi come “Nelle onde del televisore o del mare, se avessi un telecomando non ti cambierai mai” “Lasciami stare nel tuo temporale se grandini”. Il titolo anticipa la dinamica il senso di insofferenza che il brano trasmette, attraverso la velocità sostenuta dell’arrangiamento e la voce graffiante di Emma. L’effetto è enfatizzato da termini come “Tagliami il cuore”, “Non ho capito un cazzo di te”,“Hai gli occhi che mi uccidono”.Un testo autoralmente onesto, ben abbinato alla parte musicale, che assolve il compito di raccontare storie di vita comuni e stati d’animo complessi.

“Come dirsi addio” Fred De Palma

Il testo ha una buona immagine di apertura, anche se un po’ retorica e sentita “Una storia finisce se non c’è nessuno che la racconta“. E ben vengano gli incipit colti se portano a qualcosa di interessante. Ma l’evoluzione letteraria continua con frasi deboli (“Vorrei cancellare quello che scrivo”, “Rincorrere ancora quel brivido“) e cadute di tono stilistico (“Il cielo non ci vuole, pieni di rimpianti fino all’overdose“, “Questo amore è una sparatoria“, “Sarà fantastico morire ancora per te“). Un passaggio (“Sparami adesso, sparami ora“) mi ha ricordato “Spaccacuore” di Bersani e per questo, lo confesso, mi sono un po’ vergognato. “Come dirsi addio” è un brano radiofonico che funziona. In cui, semplicemente, non cercare raffinatezze letterarie.

“Mariposa” Fiorella Mannoia

Mi chiamano con tutti i nomi, tutti i nomi che mi hanno dato”. Il testo della canzone che quest’anno Fiorella Mannoia porta sul palco di Sanremo affascina dalla prima all’ultima parola, ricordando la rara ombra stilistica di De Andrè. Scomodare Faber – lo so – è sempre camminare su un terreno pericoloso. Perché la sua capacità di legare rime e dare vita contemporaneamente a miracolose storie, intuizioni e morali, è indubbiamente unica e inarrivabile. In effetti a quest’opera manca unicamente quel filo misterioso capace di legare le singole inquadrature, attualmente tenute insieme solo dallo spessore della storia che esiste dietro le parole.

Ma io credo queste righe, sospese tra poesia e pensiero, (“Una farfalla che imbraccia il fucile”, “Una fiamma tra le onde del mare”, “Sono la sposa sopra l’altare”,” Ho amato in un bordello e mentito sai quanto”, “Sono negazione e orgasmo”, “Sono stata tua, di tutti, e di nessun altro”) a Fabrizio sarebbero piaciute. L’interpretazione elegante della Mannoia renderebbe nobile anche un testo meno ricercato, ma da un punto di vista letterario è il brano migliore di questo Sanremo.

“Tutto qui” Gazzelle

Tutto qui” meriterebbe un punto interrogativo finale. Va bene che stiamo parlando di una delicata storia d’amore ambientata a Roma nord. E che il brano ha una dolcezza adolescenziale e popolare che non sfigurerebbe come colonna sonora di un film di Gabrielle Muccino. Ma il linguaggio è proprio basic (“Lo so che sei stanca, lo sono anche io, sembriamo due panda amore mio”, “Boh chissà com’è che oggi tutte a me”). Gazzelle è bravo, ha un suo stile personale, e anche questa canzone -diversamente romantica- piacerà molto al pubblico che ama le ballad semplici, in bilico tra pop e indie. L’orchestra ci mette del suo per creare le giuste suggestioni. A pensarci bene le atmosfere cinematografiche perfette per questo brano, sarebbero quelle di un falò in riva al mare. Con Paola Cortellesi e Antonio Albanese. A “Coccia di Morto”. 

“I p’me, tu p’te” Geolier

Nello special di Zetatielle Magazine ho osservato quanto sia sempre rischioso portare un brano in dialetto sul palco di Sanremo. Ma Geolier è bravo. E ha già collaudato il suo stile vincente in un album molto bello “Il coraggio dei bambini” dove, oltre la musicalità della lingua, ci sono riflessioni e spunti notevoli. Anche in questo brano le immagini sono ricercate “Siamo due stelle che stanno precipitando, ti stai vestendo consapevole che ti devo spogliare”, “E stavo pensando a tutte le cose che ho fatto, e tutto quello che ho perso, non posso fare nient’altro”. La forza della lingua napoletana si fonde con la musica per tutta la canzone e diventa ipnotica nel ripetersi musicale del titolo.

“Casa mia” Ghali

Uno dei pochi tentativi di non parlare d’amore di questo festival, affrontando tematiche complesse.” Benvenuti nel Truman show, ai miei figli cosa dirò?”,” La strada non porta a casa se la tua casa non sai dov’è”, “Ma come fate a dire che è tutto normale, per tracciare un confine con linee immaginarie bombardate un ospedale” , “Per un pezzo di terra o per un pezzo di pane”. Le immagini sono forti e dirette. Utilizzano il linguaggio più attuale solo in piccolissimi punti (“C’è una sparatoria, baby scappa via dal dancefloor”), sfiorando la poesia in altri ( “Sogni che si perdono in mare, figli di un deserto lontano”. E lasciano pensieri su cui riflettere. Molto dispersivo nella sua totalità, ma quarto nella mia classifica personale dei testi migliori di questo festival.

“Fragili” Il tre

Sento la tempesta sotto le palpebre” è la frase migliore di un testo che non convince con la sua miscellanea di immagini frastagliate (“Le tue pupille sembrano pallottole”, “ Odio convivere con i demoni fissi nella mia testa”, “ Ricordi che sono vipere”) che hanno però una direzione precisa. Trasmettere nervosa inquietudine. Una scelta concettuale utilizzata quest’anno anche da BigMama, Annalisa, Emma, Irama. Come se gli artisti percepissero contemporaneamente quei fattori d’ombra (La guerra, il post covid, le incertezze) che pesano come Spade di Damocle, oggi, sulle nostre vite. Per fortuna ci sono piccoli spiragli di luce poetica e leggera “E siamo fragili come la neve, come due crepe”, “Gli occhi che indosso non sono mai stati più tristi”, “Sei un’isola, nessuno ti abita”, “Da un cielo nero lacrime di vetro”. 

“Capolavoro” Il volo

La modestia traspare già dal titolo. In realtà “Il capolavoro” è la vita vissuta insieme dei protagonisti della canzone. Il testo è tecnicamente impeccabile nell’incipit (“Io che sto seduto dentro a un cinema, a sognare un po’ d’America e un po’ di casa tua”, “Questo amore infinito che infinito non è”) poi si dissolve in immagini più scontate. Corrette da un punto di vista autorale ma poco originali e scolastiche. Il testo si allinea al prodotto musicale, che vuole avere canoni perfetti e nessuna pretesa innovativa. Se non quella di trasportare il trio da un terreno strettamente lirico a quello più leggero e non ancora sfruttato commercialmente, del pop.

“Tu no” Irama

Cado ma in fondo me lo merito, il fondo è così gelido”. L’inquietudine è la parola d’ordine di questo festival. Irama, a differenza di altri artisti, seppur giovanissimo, ha la voce adatta per mettere in scena tutte quelle sfumature tese dell’anima e gli abissi dell’introspezione che il brano cerca di descrivere. “Cercavi un modo per proteggermi, ma non c’eri” “E mi innamorerò di lei e tu non saprai chi è”. Il brano forse non è musicalmente all’altezza dell’artista. Ma lui è sicuramente credibile e si conferma una voce elegante fuori dal coro.

“Autodistruttivo” La Sad

Le storie evocate dal testo sanno di realtà perché raccontate da loro. L’intervento di Zanotti dei Pinguini Tattici Nucleari non è decisivo per innalzare la fruibilità o la qualità del testo, che comunque ha un suo perché stilistico. “Prendo a pugni lo specchio, io non ci riesco a cambiare chi vedo riflesso”, “L’amore spacca il cuore a metà, ti lascia in coma dentro al solito bar”, “Ha imparato come si sopravvive là fuori, più dagli errori che dai professori”. “Il tuo cuore è di plastica e starti vicino è autodistruttivo”, “Nessuno resta per sempre a parte i tatoo sulla pelle”. Fiks Plant e Theo, al di là del titolo della canzone, delle creste colorate e i tatuaggi, sembrano simpatici e romantici Romeo alternativi. Metropolitani e innamorati.

“Pazza” Loredana Bertè

Non ho bisogno di chi mi perdona, io faccio da sola”, “Sono odiata abbastanza”, “Prima ti dicono pazza, poi ti fanno santa” In queste tre frasi c’è il messaggio cucito intorno ad una delle nostre artiste più grandi. Una delle poche capaci di indossare la personalità ribelle di un testo così sfacciato e di cavalcare il sound potente del brano con la sua voce unica. “Sono sempre la ragazza che per poco già s’incazza”, “Amarmi non è facile, purtroppo io mi conosco”. Una bellissima confessione. Credibile quanto “Vita spericolata” per Vasco.

“Tuta gold” Mahmood

Il titolo richiama una icona del lusso. E’ un’idea indovinata. Il testo in realtà è un copia-incolla di tutte quelle immagini super sfruttate e rime forzate che appartengono al mondo del rap e del trap. Pochissimi i punti in cui il livello si innalza dai luoghi comuni del genere per assumere forme più ricercate o confidenziali “Dove la fiducia diventa arida, come l’aria del Sahara”, “ Mi fanno bene le offese, come quando fuori dalle medie le ho prese e ho pianto”. Ettorre, Alessandro e soci sanno scrivere. Quindi il target di pubblico a cui si rivolgono sarà sicuramente affascinato dal mix stilistico del racconto, impreziosito da una scrittura musicali tra le più moderne di questa edizione.

“Spettacolare” Maninni

Sul podio dei testi più belli del festival. Anche se l’apertura del brano è deliziosa (“ Ho imparato a cadere con stile come fanno i campioni di muay thai”) il testo, molto lungo, abbraccia, alla fine, sia luoghi comuni (“ E ci saranno le giornate bastarde, quelle in cui non ce la fai più”), momenti di spessore (“Tutto il mondo è una gabbia di specchi, una partita a scacchi con la verità”) e una serie di immagini romantiche (“Come l’amore il primo giorno d’estate, come i dischi belli che non scordi più, come l’istante che ti cambia per sempre”), che non ne fanno un capolavoro, ma sicuramente una canzone riuscita.

La voce e la faccia di Mannini, la melodia orecchiabile e una certa originalità, sono il collante su cui questa miscellanea di fotogrammi diventa credibile e in qualche modo ricercata. 2° posto nella mia personale classifica dei testi migliori. Perché il brano lascia il raro retrogusto di una bella canzone pop. E oggi non ci siamo più abituati.

“Due altalene” Mr Rain

Non mancano i tentativi di avvicinarsi maliziosamente al cuore degli ascoltatori (“L’ho imparato con te che un fiore cresce anche nelle lacrime”, “Griderò il tuo nome sotto la pioggia, sotto la neve”). Alcune immagini sono musicali ma sconnesse (“Abbiamo tutti i nostri lividi come due oceani indivisibili”) altre restano scontate (“Anche un alba diventa un tramonto a seconda di dove ti trovi nel mondo”). Il concetto del titolo (“Siamo sospesi come altalene”) è la parte più interessante della scrittura. Ma se l’intenzione era quella di dare voce a storie importanti (e “Alle cicatrici che non può guarire nemmeno l’inchiostro”) forse il messaggio è rimasto nascosto tra le righe. Bravi, comunque, Mr Rain & Vizzini. Se confermeranno di aver trovato la formula di un linguaggio, letterario e musicale, che -al di là delle considerazioni accademiche- riesce ad arrivare in qualche modo al pubblico.

“Ricominciamo tutto“ Negramaro

Vincono il “Premio Lunezia” come miglior testo dell’edizione. Personalmente io avrei premiato altre opere come la Mannoia, Mannini o BigMama, e nella mia personale classifica dei testi migliori sono 4° davanti a Ghali. Ma, indubbiamente, in questa canzone c’è una grande scrittura. Che mantiene livelli molto alti per tutta la durata del brano. Sono i piccoli sbandamenti stilistici a minare la qualità letteraria globale (“C’è sempre un pezzo che ci manca, anche sotto il tetto, non rifacciamo il letto”) che racchiude però deliziosi brevi guizzi autorali e di immediato coinvolgimento (“Eravamo una canzone di Battisti all’alba, anche senza bionde trecce”).

La sintassi non è da capolavoro, ma loro sono tra il meglio della canzone italiana. Uno dei nostri prodotti più internazionali. Un momento di grande energia e respiro musicale. In fondo, come recita il testo sul finale “E chi se ne fotte di una canzone o di uno stupido testo?!” e sulla loro leadership non si discute.

“Pazzo di te” Renga e Nek

Un testo onesto, che racchiude riflessioni sull’amore e piccoli lampi poetici. Alcune immagini, per quanto semplici, hanno una certa originalità (“L’amore è fatto di un metallo indistruttibile”, “Lo trovi in tasca ma non lo puoi spendere”). Il testo è costruito in modo da agevolare il canto aperto dei due interpreti. Che hanno come comune denominatore stilistico una certa potenza che può essere enfatizzata da un testo rarefatto. Il tema è utopico e romantico, ma perfettamente in tema con l’immagine di questi due big della canzone italiana.

“Ma non tutta la vita” Ricchi & Poveri

L’incipit “Che confusione” cantato da loro è molto simpatico (è l’attacco, conosciuto da tutti, di “Sarà perché ti amo”). Un piccolo cameo d’autore. Per un brano che compete con tutti i pezzi da Festivalbar presenti in gara, il testo è molto lungo e inaspettatamente a fuoco con il tema del titolo. Anche se la parte centrale è ripetuta all’infinito all’interno della canzone, i pochi altri frammenti disegnano il quadro, chiaro e preciso, di una relazione che è cosciente del tempo che fugge: “Le stelle stanno già cadendo”, “Anche la più bella rosa diventa appassita”, “Ti giri un momento la notte è finita”. Sono costruzioni letterarie semplici ma molto immediate, che nascondono una morale. Concetti di vita pratica che sarebbero piaciuti a Orazio, D’Annunzio, Boudelaire e Leopardi (“Carpe diem”).

“Click Boom!” Rose Villain

Il titolo moderno e d’effetto nasconde una metafora interessante sull’amore (“Per me l’amore è come un proiettile”). Lo stile musicale cosmopolita del brano – che fonde rap e urban con un tocco di eleganza da club- ha una grande dinamicità. Parte come una ballad e finisce come un brano ritmato, in linea con la verve di questo festival. E nel frattempo riesce a lasciare immagini letterarie non troppo banali. “Ti ho fatta entrare nel mio disordine”, “Perché sei la mia condanna e la cura”, “Non riesco più ad essere lucida, il cuore parla e dice stupida”).

Non mancano costruzioni non aggraziate ma originali (“Ti seguirei sull’Everest con tutte le ossa rotte”) e qualche punta di poesia elementare (“Piove sopra una lacrima”, “Ho un mare nero che si illumina”). Completano il quadro letterario una serie di simpatici suoni onomatopeici da fumetti di Topolino (“Boom boom, Vroom vroom”) che piaceranno a tutti.

“Finiscimi” Sangiovanni

Un artista in crescita. Che, nella marea di collaborazioni presenti al festival, si affida ad un testo scritto solo da lui. E il risultato non è male. A partire dal riferimento alle ormai dimenticate lettere scritte a mano e al tono confidenziale con cui la struttura narrante è costruita, che ha il tono di una confessione. Credo che questo testo meriti una considerazione. Circondati dall’aggressività della società, dai fatti di cronaca, e dai molti testi dai riferimenti sessuali del mondo trap e rap, ai limiti del buon gusto, frasi come “Sono un coglione”, “Ti ho mancato di rispetto”, “Che cosa penserai”, “Ti chiederò scusa per riaverti con me” – al di là della forma semplice con cui sono espressi, che non gli frutteranno il premio della critica – diventano originali e benvenute, un bel modo di porsi. Un modo di ricominciare da qualche parte. Promosso.

“L’amore in bocca” Santi Francesi

Sono tra gli artisti più bravi e interessanti presenti al festival. Alessandro è uno di quei cantanti in grado di stupirti e di fare la differenza. Nel testo del brano sanremese però solo il titolo, e l’assonanza tra le parole “Amore” e “Amaro”, hanno un piccolo spessore autorale. Le immagini della canzone sono molto semplici e non moderne (“Scivoliamo sopra i i tetti prima di cadere a pezzi”, “Io non sarò mai un porto sicuro, un mare calmo”, “La tua luce sorge brucia la mia pelle a volte”) e la struttura letteraria, smontata dalle parti ripetute, lascia tra le dita solo una manciata di frasi oneste.

Il sound del gruppo rimane però sempre originale. Grazie anche ai grandi nomi che collaborano alla canzone, come il bravissimo Daniel Bestonzo. Fattore che potrebbe riservare sorprese. Perché, nella boria di brani rumorosi e invadenti, testo a parte, la canzone ha una sua ricercatezza.  

“Un ragazzo una ragazza” The Kolors

Il titolo è così banale da risultare originale. E anticipa il concetto che in questo brano – fortissimo, che replicherà il successo di “Italodisco” – le parole hanno il solo compito di poter muovere le labbra sulla base. La pletora di rime con cui la canzone è costruita (“Continentale-cane”, “Cellulare-giocare”,“Pane- ghiacciare”) e lo  Storytelling della storia (“Un ragazzo incontra una ragazza”), sono al limite dell’imbarazzante. Alcune immagini contenute nel testo, “ Cercarti è come aspettare ad un semaforo rotto”, “ Sei un proiettile nel cuore però avevo il giubbotto”, “ Ti comprerei la luna se c’avessi (!) money”, “La notte poi non passa, vedrai non finirà”, mettono in crisi anche il “Teorema delle scimmie infinite di Borel-Cantelli”.

Nella mia classifica dei testi sanremesi: 31°.

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Lele Boccardo
Lele Boccardo
(a.k.a. Giovanni Delbosco) Direttore Responsabile. Critico musicale, opinionista sportivo, pioniere delle radio “libere” torinesi. Autore del romanzo “Un futuro da scrivere insieme” e del thriller “Il rullante insanguinato”. Dice di sè: “Il mio cuore batte a tempo di musica, ma non è un battito normale, è un battito animale. Stare seduto dietro una Ludwig, o in sella alla mia Harley Davidson, non fa differenza, l’importante è che ci sia del ritmo: una cassa, dei piatti, un rullante o un bicilindrico, per me sono la stessa cosa. Un martello pneumatico in quattro: i tempi di un motore che diventano un beat costante. Naturalmente a tinte granata”.