Il lepidio, pepe insolito per la povera gente, in Irlanda

Il lepidio, a dire il vero, non è tra le erbe più conosciute, nell’ambito della famiglia botanica delle Crucifere. Eppure, nel corso della storia, ha avuto una sua rilevanza come verdura, condimento e rimedio fitoterapico. Il genere Lepidium trae il suo nome da un sostantivo greco, lepidion, che significa “piccola scaglia”. Questo perché i suoi frutti, che sono silique, sono in effetti simili a scaglie contenenti un unico seme per loggia.

Fra le varie specie di tale genere, abbiamo scelto di presentarvi il Lepidium heterophyllum Benth. in quanto autoctono europeo. Il Lepidium sativum L., ad esempio, è al contrario originario di Mesopotamia e Africa settentrionale, è coltivato e raramente selvatico. L’aggettivo heterophyllum, che determina la specie, si riferisce al fatto che presenta un notevole dimorfismo nelle foglie. In inglese, fu chiamato Smith’s pepperwort dal botanico sir William Hooker (1785 – 1865), in onore del suo illustre collega sir James Edward Smith (1759 – 1828). E qui pepperwort si riferisce al fatto che… sa di pepe!

Terreno arido con steli fioriti e pochi ciuffi d'erba.
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Il pepe dei poveri, in Irlanda

In modo analogo, il lepidio in gaelico d’Irlanda ha il curioso nome di Piobar an duine bhoicht, che possiamo tradurre come “ pepe della povera gente”. Tale definizione ci fa pensare alla povertà dell’Irlanda, nei secoli di sottomissione al Regno Unito di Gran Bretagna.

Il popolo non avrebbe potuto acquistare le spezie care e preziose che s’importavano dall’Oriente e che erano riservate a nobili o a ricchi borghesi. Di conseguenza, s’ingegnava a inventare possibili surrogati. I semi del lepidio erano dunque usati al posto dei grani di pepe e le sue foglie piccanti servivano da contorno per patate e carne. Del resto, anche in alcune regioni italiane ha il nome popolare di peperella.

Cespo di lepidio con frutti a siliqua.
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Antichi usi curiosi

L’impiego dei semi di lepidio al posto del pepe risale all’epoca romana, insieme con quello di usarne le foglie per allontanare pulci e zanzare. Il loro odore, infatti, è sgradito a molti insetti.

Ma l’utilizzo più particolare va attribuito addirittura a Plinio. Il grande botanico del I secolo ne ricavava il succo da pianta fresca e poi lo versava nell’orecchio dei pazienti. Era convinto che, in questo modo, avrebbe guarito persino i mal di denti più feroci.

Pinte con molte foglie, prima della fioritura.
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Per riconoscere il lepidio in natura

Si tratta di una pianta erbacea perenne, che non è particolarmente appariscente. Come habitat, predilige i terreni acidi e ghiaiosi, lungo i corsi d’acqua e i sentieri, a volte anche i prati in pendio. Raggiunge l’altezza massima di 90 centimetri, con steli pelosi e lanuginosi che ramificano già alla base. Tali steli sono abbracciati da foglie grigiastre e diverse a seconda del punto in cui si posizionano. Quelle basali hanno lunghi piccioli, sono ovato-ellittiche e presentano da 1 a 3 lobi piccoli ma larghi. Quelle del fusto, invece, sono lunghe fino a 5 centimetri e hanno la tipica forma a punta di freccia.

I piccoli fiori, che sbocciano tra maggio e agosto, sono riuniti in fitte spighe e presentano i 4 petali disposti a croce che caratterizzano le Crucifere. Ma in questo caso i petali bianchi, dalla forma a cucchiaio, sono piuttosto distanziati gli uni dagli altri, mettendo in evidenza le antere viola. I frutti sono silique oblunghe con un’ala piatta e un beccuccio all’apice. Il seme ovoidale è bruno scuro. Per riconoscere il lepidio in natura occorre utilizzare lo strumento indispensabile delle chiavi botaniche. Semplici fotografie artistiche, infatti, potrebbero creare pericolose confusioni.

Infiorescenza a spiga di lepidio, con piccoli fiori bianchi.
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La medicina popolare e la fitoterapia

Per il lepidio, non possiamo vantare una lunga e documentata tradizione medicinale. Tuttavia, i principi attivi giustificano l’uso secolare quale rimedio familiare. Essi sono il glicoside glucotropeolina, diversi composti organici solforati e vitamine, soprattutto vitamina C. C’è anche l’isotiocianato di benzile che, con studi clinici più approfonditi, potrebbe giustificare l’effetto antibiotico.

La droga è costituita dalla pianta fresca, mangiata in insalata o bevuta come centrifugato, perché nella tisana da erba essiccata si perdono le vitamine. Come ci hanno insegnato le nostre nonne, giova nelle affezioni alle vie aeree, soprattutto per la tosse, per prevenire lo scorbuto e quale digestivo. È una specie insolita, simpatica, che vi dedichiamo con gioia, anche per porgervi i nostri migliori auguri, nelle festività natalizie e nell’imminenza del nuovo anno.

Molte piante fiorite su un  declivio assolato.
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Maura Maffei
Maura Maffei
Maura Maffei è da trent’anni autrice di romanzi storici ambientati in Irlanda, con 17 pubblicazioni all’attivo, in Italia e all’estero: è tra i pochi autori italiani a essere tradotti in gaelico d’Irlanda (“An Fealltóir”, Coisceim, Dublino, 1999). Ha vinto numerosi premi a livello nazionale e internazionale, tra i quali ci tiene a ricordare il primo premio assoluto al 56° Concorso Letterario Internazionale San Domenichino – Città di Massa, con il romanzo “La Sinfonia del Vento” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2017) e il primo premio Sezione Romanzo Storico al Rotary Bormio Contea2019, con il romanzo “Quel che abisso tace” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2019). È a sua volta attualmente membro della Giuria del Premio Letterario “Lorenzo Alessandri”. Il suo romanzo più recente è “Quel che onda divide” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza 2022) che, come il precedente “Quel che abisso tace”, narra ai lettori il dramma degli emigrati italiani nel Regno Unito, dopo la dichiarazione di Mussolini alla Gran Bretagna, e in particolare l’affondamento dell’Arandora Star, avvenuto il 2 luglio 1940, al largo delle coste irlandesi. In questa tragedia morirono da innocenti 446 nostri connazionali internati civili che, purtroppo, a distanza di più di ottant’anni, non sono ancora menzionati sui libri di storia. Ha frequentato il corso di Erboristeria presso la Facoltà di Farmacia di Urbino, conseguendo la massima votazione e la lode. È anche soprano lirico, con un diploma di compimento in Conservatorio. Ama dipingere, ha una vasta collezione di giochi di società e un’altrettanto vasta cineteca. È appassionata di vecchi film di Hollywood, quelli che si giravano tra gli Anni Trenta e gli Anni Sessanta del secolo scorso. Tra i registi di allora, adora Hawks, Leisen e Capra. Mette sempre la famiglia al primo posto, moglie di Paolo dal 1994 e madre di Maria Eloisa.
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