«È un disco pieno di battaglie intime e soggettive che sono anche universali. È ricco di paesaggi interiori ed esteriori, di paesaggi che sono anche residui di una battaglia». Esce oggi, venerdì 7 maggio, “Paesaggio dopo la battaglia”, il nuovo album di Vasco Brondi.
Il senso dell’album
Il nuovo progetto del cantautore ferrarese, ex “Le Luci Della Centrale Elettrica”, arriva dopo quattro anni dall’ultimo album ed è il primo a portare il suo nome. Nelle dieci canzoni contenute all’interno Vasco Brondi analizza l’umanità fragile: quella che non è fatta di eroi ma di uomini semplici.
Come la Panda della cover del disco che esce da un paesaggio in tempesta e si lascia alle spalle delle nuvole nere. È la metafora della pandemia, ma non solo: è il simbolo di qualsiasi vicenda umana, in cui ognuno può trovare un pezzo di sé.
«È la capacità umana di risorgere – spiega Vasco Brondi –. Si dice che i gatti hanno sette vite, beh per me gli esseri umani possono averne anche settecento. La foto del pandino che esce dall’apocalisse riassume quello che contraddistingue l’umanità e l’Italia stessa: la capacità di uscire da situazioni spaventose scrollandosi la giacca e tirando dritto».
Presente, passato e futuro
Ciò che più stupisce è che l’attualità è anche il passato, e probabilmente sarà anche il futuro. “Ci abbracciamo” – secondo brano pubblicato per anticipare l’album, di cui è appena uscito il videoclip – parla di ciò che più ci manca in tempo di pandemia: gli abbracci. Ma Vasco Brondi l’ha scritta prima del periodo storico che stiamo vivendo, «quando gli abbracci non erano ancora considerati rischiosi e quasi illegali» spiega il cantautore.
Il videoclip di “Ci abbracciamo”
Da qui la volontà di inserirla nell’album. «Risuonava perfettamente col periodo – dice Vasco Brondi – e si abbinava agli altri brani, alcuni scritti durante la pandemia, altri no. Raccontano dell’Italia del 2020 ma non solo: anche di quella di Fenoglio che ha molto in comune col Paese dei rider del delivery».
Sono consapevolezze, queste, che Vasco Brondi ha maturato col tempo. Parlare del disco per presentarlo al pubblico l’ha aiutato ad analizzarlo e coglierne aspetti che prima non aveva notato. «Riesco sempre a capire meglio a posteriori, come fa il pubblico ascoltando i miei brani. È tanti anni che faccio musica e una cosa ora mi è chiara: l’unica regola davvero potente da seguire è che “quel che arriva arriva”. Non servono molte altre congetture».
Aprirsi al mondo
Dal percussionista brasiliano Mauro Refosco a quella con Moreno il Biondo degli Extraliscio, Vasco Brondi ha deciso di circondarsi di persone. Ci ha messo la faccia col nome e si è relazionato col mondo. “Siamo qui per rivelarci e non per nasconderci” canta nella prima traccia “26000 giorni” che è un po’ «il mantra di questo disco», ammette. “Chitarra nera”, invece, primo singolo estratto, è nato senza avere l’idea di creare l’album. «L’ho scritta – dice Vasco Brondi – dopo due anni di non scrittura e mi sono accorto che parlava di storie di ragazzi che dopo 15 anni sono sempre le stesse, nonostante tutto quello che c’è stato in mezzo».
Per Brondi la musica e la cultura sono l’antidoto al dolore. Per questo nel disco parla di amore, non solo quello verso gli uomini ma nei confronti dell’Italia e del cosmo. Parla di equilibrio col mondo che culmina nell’ultimo brano della tracklist, “Sentiero degli dei”.
«Una visione intima – spiega – che mette al centro il tema di tutto il disco: il voler ricollocare gli esseri umani nella giusta proporzione rispetto al resto dell’universo. Canto “siamo solo due forme di vita nel terzo pianeta del sistema solare”. È inutile che ci crediamo dominatori dell’universo: siamo qui da 300 mila anni contro i 5 milioni di anni di vita delle piante. Non penso arriveremo anche noi a un numero del genere, visto come stiamo interagendo col nostro ambiente. Lo stiamo rendendo sempre più inadatto alla vita umana e più accogliente per i virus. Non siamo una particolarmente intelligente, anche se ci crediamo tali».
La cover del disco