È un tuffo nell’ “America che amiamo” quello andato in scena con Assemblea Teatro e la Rudi Trudi band all’ Auditorium Franca Rame di Rivalta sabato 23 novembre. È un tuffo dal trampolino più alto, un tuffo da 20 metri con triplo avvitamento. Un tuffo da far girare la testa e tenere il fiato sospeso per un’ora e cinquanta di spettacolo o meglio di “concerto teatrale” come ama definirlo il suo regista Renzo Sicco.


I trascinanti Rudi Trudi
“È uno spettacolo che nasce dall’ amicizia con i Rudi Trudi e dall’amore per la musica – spiega Sicco – Essenzialmente, noi di Assemblea Teatro, amiamo lavorare con ragazzi che credono nella musica, senza che necessariamente si debba diventare delle rockstar”. I Rudi Trudi sono bravi, sono implacabili, sono trascinanti, sono coinvolgenti e la voce di Dario Dell’ara ci proietta subito nell’universo di Bruce Springsteen.
Born to run, I’m on fire, Streets of Philadelphia e siamo in America. L’America di Marilyn, di James Dean, la terra delle grandi contraddizioni e dei grandi sogni. Ma non siamo nell’America patinata, siamo nelle terre delle praterie, siamo con la guerra del Vietnam, siamo con l’ assassino di John Lennon. È uno spettacolo incredibile, fatto di contaminazioni, tra musica e letteratura.


On the road di Kerouac
Gli scritti graffianti e crudi delle penne di Steinbeck e Kerouac irrompono come una furia tra le note con le voci dei due monologhisti Gisella Bein e Alberto Barbi.
«Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati» «Dove andiamo?» «Non lo so, ma dobbiamo andare»
E così, in America, quando il sole tramonta e me ne sto seduto sul vecchio molo diroccato del fiume a guardare i lunghi lunghi cieli sopra il New Jersey, e sento tutta quella terra nuda che si srotola in un’unica incredibile enorme massa fino alla costa occidentale, e a tutta quella strada che corre, e a tutta quella gente che sogna nella sua immensità, e so che a quell’ora nello Iowa i bambini stanno piangendo nella terra in cui si lasciano piangere i bambini, e che stanotte spunteranno le stelle, e non sapete che Dio è Winnie Pooh?
E che la stella della sera sta tramontando e spargendo le sue fioche scintille sulla prateria, proprio prima dell’arrivo della notte che benedice la terra, oscura tutti i fiumi, avvolge le vette e abbraccia le ultime spiagge, e che nessuno, nessuno sa cosa toccherà a nessun altro se non il desolato stillicidio della vecchiaia che avanza, allora penso a Dean Moriarty, penso perfino al vecchio Dean Moriarty padre che non abbiamo mai trovato, penso a Dean Moriarty.
Questo è Kerouac, questo è il suo libro “On the road”. Considerato il manifesto della Beat Generation, il suo romanzo autobiografico ci accompagna in una serie di viaggi attraverso gli Stati Uniti. In parte con il suo amico Neal Cassady, e in parte in autostop.








Il Nobel a Dylan
Ancora musica, ancora America. E siamo con Easy Rider e Born to be wild, siamo con Lou Reed, Marley, e Prince. “I temi sono forti – racconta ancora il regista – Tocchiamo la guerra, la solitudine, la crisi adolescenziale. Credo che il Nobel conferito a Bob Dylan abbia dimostrato ampiamente che la musica non è assolutamente una subcultura“. “We were born, born to be wild” canta Steppenwolf. E la band dei Rudi Trudi ci fa sentire così: wild, selvaggi. Con il basso che incanta di Gualtiero Marangoni, la batteria toccante di Renato Taibi, la chitarra incredibile di Maurizio Baldini, la voce coinvolgente di Dario Dell’ara, e le emozionanti tastiere di Marco Calegher.
Uno spettacolo di passione viscerale
Uno spettacolo che entra nell’ anima e che ti porti dietro, che le parole di Dario, voce di Rudi Trudi, definiscono in modo perfetto” “È la passione di Assemblea Teatro che ti porta a vivere tutto in modo così aperto e viscerale. Ogni volta un’ emozione diversa. È emozionante far rivivere questo spettacolo dopo molto tempo”. Già, perché i Rudi Trudi sono una band che sta insieme da trent’anni. Una band che, già dalle prove, si capisce che ha un affiatamento che trascinerà anche il pubblico. “Una band che è nata con un proprio repertorio – spiega Dall’Ara- Ci chiamavano a suonare proprio per questo, perché avevamo un repertorio italiano scritto da noi, vicino al genere beat. Non è detto che non torneremo a proporlo”. Uno spettacolo che possiamo definire con le parole di Purple Rain: “it’s time we all reach out for something new, that means you too”.