Continua il viaggio della spedizione di Greenpeace, nell’ambito del progetto “MARE CALDO”, atto a monitarare lo stato di salute dei fondali marini italiani: oggi andiamo a Capo Milazzo, in provincia di MEssina, dove un numero sempre maggiore di specie termofile, adattate a un mare sempre più caldo, sia native sia aliene.
Organismi con segni evidenti ed estesi di necrosi. Alti tassi di mortalità per diversi esemplari che popolano fondali tanto stupefacenti quanto fragili, esposti alle minacce delle attività antropiche e agli effetti della crisi climatica. Sono questi i primi risultati dei nuovi monitoraggi effettuati a inizio giugno da Greenpeace Italia e dal Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e della Vita (DISTAV) dell’Università di Genova nell’Area Marina Protetta Capo Milazzo: i rilevamenti sono stati effettuati nell’ambito del progetto “Mare Caldo” di Greenpeace per valutare gli impatti dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi marini costieri.
Indice
Il monitoraggio nell’area marina protetta siciliana ha riguardato fondali di grande interesse scientifico: tra gli organismi più colpiti dall’innalzamento delle temperature vi sono le gorgonie, spesso ricoperte da mucillagine che in alcuni casi arriva a rivestirne il 40% della superficie, e con segni evidenti di necrosi che a seconda delle specie coinvolgono il 30-40% delle colonie; ancora, alghe corallinacee incrostanti che presentano segni di sbiancamento nel 20-40% dei casi; il madreporario Astroides calycularis, che in tre siti sui quattro monitorati registra un tasso di mortalità del 5-10%.
«La mucillagine, in particolare – osserva Monica Montefalcone, ecologa marina del DISTAV – solitamente si sviluppa a inizio estate, ma i primi dati del monitoraggio mostrano che quest’anno il fenomeno è anticipato e potrebbe quindi durare più a lungo nel tempo, con gravi impatti sulle specie che vivono sui fondali».
Specie aliene sui fondali marini di Capo Milazzo
A Capo Milazzo compaiono anche molte specie termofile, native e aliene. Un generale incremento delle temperature potrebbe avere favorito il proliferare di specie ittiche termofile native come la cernia dorata (Epinephelus costae), la cernia rossa (Mycteroperca rubra), il pesce pappagallo del Mediterraneo (Sparisoma cretense) e il barracuda del Mediterraneo (Sphyraena viridensis). Tra le specie aliene, invece, di particolare rilievo è la presenza di alghe quali Caulerpa cylindracea, Caulerpa taxifolia, e Asparagopsis armata.
«Questi risultati preliminari – commenta Alessandro Giannì, direttore delle Campagne di Greenpeace Italia – confermano ancora una volta come gli effetti del cambiamento climatico e delle anomalie termiche siano evidenti anche in un’area come quella di Capo Milazzo, con fondali mozzafiato che necessitano di essere difesi».
La stazione di monitoraggio delle temperature marine di Capo Milazzo è soltanto l’ultima base che Greenpeace ha installato nell’ambito del progetto “Mare Caldo”, di cui a giugno sono stati presentati i risultati riguardanti le rilevazioni delle temperature e i monitoraggi biologici effettuati negli ultimi tre anni in diverse aree marine protette italiane. Il report di “Mare Caldo” ha confermato un aumento generalizzato delle temperature, con conseguenze evidenti sulla flora e sulla fauna del Mediterraneo e un’intensificazione degli eventi climatici estremi. Dal 2020 al 2022 sono oltre un milione i dati di temperatura analizzati in nove aree di studio e sono vari i segnali osservati riconducibili agli effetti del riscaldamento globale, con cambiamenti – con ogni probabilità irreversibili – in tutte le comunità di scogliera indagate.


Isola d’Elba e Portofino
Tra giugno e settembre 2022 all’Isola d’Elba e nell’area marina protetta di Portofino, le prime due aree entrate nel progetto e per le quali si dispone di dati di temperatura triennali, a 10-15 metri di profondità sono state registrate anomalie termiche fino a 2°C in più rispetto alle medie mensili degli anni precedenti. In tutte le aree monitorate si osservano segni di sbiancamento e necrosi in varie specie, attribuibili al riscaldamento delle acque. L’area marina protetta di Capo Carbonara e l’Isola d’Elba sono le aree dove si sono osservati i maggiori impatti sulle gorgonie. A Capo Carbonara, in particolare, il 50% delle colonie di gorgonie rosse ha mostrato segni di necrosi. All’Isola d’Elba è aumentata la frequenza di mortalità della madrepora Cladocora caespitosa. Infine, nelle aree marine protette di Capo Carbonara e Torre Guaceto i segni di sbancamento delle alghe corallinacee incrostanti hanno raggiunto rispettivamente il 65% e il 45%.
Sul versante Adriatico, nell’area marina protetta di Miramare, a Trieste, sono state registrate morie di massa del mollusco bivalve Pinna nobilis che hanno coinvolto tutte le popolazioni mediterranee di questa specie dal 2018. Nelle aree marine protette più meridionali è stato registrato il maggior numero di specie termofile, il cui potenziale aumento, unito alla diffusione di specie aliene, potrebbe portare a un impoverimento delle comunità autoctone.
La mitigazione e la corretta gestione delle attività umane (pesca, turismo, urbanizzazione, sviluppo costiero) che possono avere un impatto locale, anche grazie all’istituzione di aree marine protette, sono le migliori strategie per aumentare la resilienza degli ecosistemi marini. Ma questi interventi devono essere accompagnati da politiche climatiche ed energetiche in grado di abbattere velocemente le emissioni di gas serra, perché anche le aree protette subiscono gli effetti della crisi climatica.
I fondali di Ischia, come non li avete mai visti
Corallo, stelle marine e altre splendide creature popolano i fondali dei nostri mari, ma la loro presenza è disturbata dalle attività umane. Durante la spedizione “C’è di mezzo il mare” organizzata da Greenpeace, le ricercatrici del CNR-IAS di Roma hanno potuto ossevare specie marine meravigliose e, al contempo, hanno riscontrato la presenza di un gran numero di reti da pesca, lenze e rifiuti di plastica di diversi tipi.
Dalle reti a strascico agli imballaggi monouso, dai sacchi della spazzatura a quelle della spesa, i fondali marini intorno a Ischia accusano l’impatto delle attività degli umani.
Dense foreste di gorgonie e di corallo rosso, gamberi, pesci trombetta, castagnole rosse, coralli che vivono su fondali fangosi (le cosiddette “piume di mare”), stelle marine, crinoidei e briozoi:«I monitoraggi condotti in questi giorni ci hanno permesso di vedere degli ambienti mai esplorati finora, confermando come i nostri fondali, e in particolare i canyon sottomarini, rappresentino un vero e proprio hotspot di biodiversità ma, purtroppo, anche come siano estremamente vulnerabili agli impatti delle attività umane, sia legate alla pesca che alla dispersione dei rifiuti», dichiara Martina Pierdomenico, ricercatrice dell’Istituto per lo studio degli impatti Antropici e Sostenibilità in ambiente marino (IAS) del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Roma.
«È triste vedere che i segni del nostro impatto arrivino sui fondali marini profondi ancor prima che i nostri occhi abbiano la possibilità di esplorarli».
Il Mediterraneo che cambia
Il terzo rapporto del progetto Mare caldo pubblicato da Greenpeace, condotto dalle ricercatrici del Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e della Vita (DISTAV) dell’Università di Genova, ha monitorato gli impatti della crisi climatica sui mari italiani. Il rapporto conferma un aumento generalizzato delle temperature con conseguenze evidenti sulla flora e la fauna del Mediterraneo e un’intensificazione degli eventi climatici estremi.
«L’aumento delle temperature sta causando drammatici cambiamenti nella biodiversità marina, dalla scomparsa delle specie più sensibili caratteristiche del nostro mare all’invasione di altre, spesso aliene, che meglio si adattano a un mare sempre più caldo», dichiara Monica Montefalcone, ricercatrice del Seascape Ecology Lab del DISTAV.
«Il nostro mare sta pagando un prezzo elevato: diventa sempre più povero ma anche sempre più pericoloso, perché il calore che si accumula in mare contribuisce ad alimentare fenomeni climatici sempre più estremi». Ha dichiarato Alessandro Giannì, responsabile delle Campagne di Greenpeace Italia. «Gli effetti della crisi climatica e delle anomalie termiche sono evidenti in tutte le aree di monitoraggio, indipendentemente dalla localizzazione geografica o dal livello di conservazione dei siti».
La mitigazione e la corretta gestione delle attività umane (pesca, turismo, urbanizzazione, sviluppo costiero, ecc.) che possono avere un impatto locale, anche grazie all’istituzione di aree marine protette, sono le migliori strategie per aumentare la resilienza degli ecosistemi marini. Ma questi interventi devono essere accompagnati da politiche climatiche ed energetiche in grado di abbattere velocemente le emissioni di gas serra perché anche le aree protette subiscono gli effetti della crisi climatica.
Proteggiamo insieme il nostro mare
«Le indagini effettuate da Greenpeace e CNR confermano ancora una volta come, laddove esistono misure di protezione rigorose, il mare conserva straordinari tesori. Le aree marine protette sono uno strumento efficace per la tutela di questa straordinaria biodiversità», dichiara Antonio Miccio, direttore dell’Area Marina Protetta del Regno di Nettuno.
Proprio per difendere i nostri mari, Greenpeace Italia ha lanciato una nuova petizione: un appello ai ministri dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica e per la Protezione Civile e le Politiche del mare per chiedere un processo rapido di ratifica del Trattato globale sugli oceani. Anche diverse attrici e attori della celebre serie televisiva “Mare Fuori” hanno sostenuto con un video l’organizzazione ambientalista, unendosi all’appello per proteggere il Mediterraneo.
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