Mare caldo: scomparsa delle Gorgonie e arrivo di specie aliene

Greenpeace Italia pubblica oggi il terzo rapporto del progetto Mare caldo, condotto dalle ricercatrici del Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e della Vita (DISTAV) dell’Università di Genova, per monitorare gli impatti della crisi climatica sui mari italiani. Il rapporto conferma un aumento generalizzato delle temperature con conseguenze evidenti sulla flora e la fauna del Mediterraneo e un’intensificazione degli eventi climatici estremi. 

Nei primi tre anni del progetto Mare caldo sono stati analizzati oltre un milione di dati di temperatura in nove aree di studio, dove sono stati osservati diversi periodi particolarmente caldi. Le analisi dei dati relativi ai monitoraggi biologici, condotti in sette aree di studio, hanno evidenziato vari segnali riconducibili agli effetti del riscaldamento globale e cambiamenti, con ogni probabilità irreversibili, in tutte le comunità di scogliera indagate. 

«L’aumento delle temperature sta causando drammatici cambiamenti nella biodiversità marina, dalla scomparsa delle specie più sensibili caratteristiche del nostro mare all’invasione di altre, spesso aliene, che meglio si adattano a un mare sempre più caldo», dichiara Monica Montefalcone, ricercatrice del Seascape Ecology Lab del DISTAV. 

Mare caldo: un sub sott'acqua tiene in mano un cartello, indossa una tuta da sub, un boccaglio e maschera ed è vicino ad una catena incrostata dalle alghe

Le anomalie termiche

Nei mesi tra giugno e settembre 2022 all’Isola d’Elba e nell’area marina protetta di Portofino, le due aree per le quali si dispone di tre anni di dati, le anomalie termiche arrivano fino a 2°C in più a 10-15 m di profondità rispetto alle medie mensili degli anni precedenti. In tutte le aree monitorate sono stati osservati segni di sbiancamento e necrosi in varie specie come le gorgonie, la madrepora Cladocora caespitosa e le alghe corallinacee incrostanti, attribuibili al riscaldamento delle acque.

L’area marina protetta di Capo Carbonara e l’Isola d’Elba sono le aree dove si sono osservati i maggiori impatti sulle gorgonie. A Capo Carbonara, in particolare, il 50% delle colonie di gorgonie rosse hanno mostrato segni di necrosi. All’Isola d’Elba è inoltre aumentata la frequenza di mortalità della madrepora Cladocora caespitosa. Infine, nelle aree marine protette di Capo Carbonara e Torre Guaceto i segni di sbancamento delle alghe corallinacee incrostanti hanno raggiunto rispettivamente percentuali preoccupanti del 65% e del 45%. 

Sul versante Adriatico, nell’area marina protetta di Miramare, a Trieste, la più a nord della rete del progetto Mare caldo, tanti sono gli eventi di moria di massa del mollusco bivalve Pinna nobilis, che ha coinvolto tutte le popolazioni mediterranee di questa specie a partire dal 2018. Ma è nelle aree marine protette più meridionali che si registra il maggior numero di specie termofile (adattate ad acque calde), il cui potenziale aumento, unito alla diffusione di specie aliene, potrebbe portare a un impoverimento delle comunità autoctone. 

crisi climatica - nwella foto un corallo rosso della specie gorgonia

Il Mediterraneo che cambia

«Il nostro mare sta pagando un prezzo elevato: diventa sempre più povero ma anche sempre più pericoloso, perché il calore che si accumula in mare contribuisce ad alimentare fenomeni climatici sempre più estremi». Ha dichiarato Alessandro Giannì, responsabile delle Campagne di Greenpeace Italia. «Gli effetti della crisi climatica e delle anomalie termiche sono evidenti in tutte le aree di monitoraggio, indipendentemente dalla localizzazione geografica o dal livello di conservazione dei siti». 

La mitigazione e la corretta gestione delle attività umane (pesca, turismo, urbanizzazione, sviluppo costiero, ecc.) che possono avere un impatto locale, anche grazie all’istituzione di aree marine protette, sono le migliori strategie per aumentare la resilienza degli ecosistemi marini. Ma questi interventi devono essere accompagnati da politiche climatiche ed energetiche in grado di abbattere velocemente le emissioni di gas serra perché anche le aree protette subiscono gli effetti della crisi climatica.

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