Esiste a Torino una casa che si chiama Palazzo Fetta di Polenta, perché non solo è del colore giallo uguale a quello della polenta, ma è anche fatta esattamente così: larga e nello stesso tempo stretta, sottile, ma non troppo. La differenza? Di angoli ne ha solo tre ed è stata la Casa dell’architetto Alessandro Antonelli e di sua moglie Francesca Scaccabarozzi da cui Casa Scaccabarozzi.
In pratica questa casa è una sfida architettonica, un vero rompicapo spaziale di forma trapezoidale, in via Giulia di Barolo numero 9, angolo Corso San Maurizio. Uno stile definito neoclassico, ma con influenze “eclettiche“. Presa in carico da Antonelli dopo il “fiasco” del progetto della sinagoga commissionatogli dalla comunità ebraica agli inizi degli anni 60 del 1800. “Fiasco” che in realtà diede vita alla Mole Antonelliana, simbolo indiscusso di Torino.


Una fetta di Polenta a 7 piani, o forse 8
Casa Scaccabarozzi o Fetta di Polenta, come affettuosamente la chiamano i Torinesi nasce nel 1840. In quell’anno vengono realizzati quattro piani, poi altri due e nel 1881, l’architetto Antonelli per ulteriore dimostrazione di saper superare qualsiasi limite architettonico, ne fa aggiungere un altro.
Questo palazzo che sembra spuntato dalla favola di Alice nel Paese delle meraviglie, per le sue continue illusioni, crea problemi anche a contare i piani. Ci sono dati discordanti in più testi. Secondo qualche fonte ne ha otto, qualche altra ne menziona sette.La cosa certa? Un lato di casa misura 54 cm. No, non è un errore. Esattamente 54 centimetri.


Solenne a cinque piani o abusiva a sette?
“L’interno densamente stipato si adatta superbamente all’esterno. Per esempio, due piani di finestre sono schiacciati in quella che dall’esterno sembra un’unica lunga finestra. La casa sembra dunque solenne con i suoi cinque piani, piuttosto che abusiva con sette“. Così la descrive in Description of Casa Scaccabarozzi Pablo Bronstein.
L’idea di percorrere tutte quelle scale, circa 84 gradini senza ascensore, fino al 5 piano, o forse è il sesto, fa desistere anche Antonelli, che a circa 80 anni lascia la Fetta di Polenta per trasferirsi circa un poco più in là sempre in via Giulia di Barolo.
Resiste a guerre e terremoti


Casa Scaccabarozzi, dall’alto della sua fragilità sfida e annulla qualsiasi dubbio o diceria sul suo essere precaria che faceva pensare, a molti torinesi, che sarebbe crollata in men che non si dica. Per cui, in sfregio all’opinione pubblica, resiste all’esplosione della regia polveriera di Borgo Dora, del 24 aprile 1852. Diventa sede del Caffè del Progresso, storico ritrovo torinese di carbonari e rivoluzionari.
Resiste al terremoto del 23 febbraio 1887, che danneggia buona parte del quartiere. E, infine, resiste anche ai bombardamenti della Seconda guerra mondiale che colpiscono pesantemente gli isolati circostanti. Diventa sede di una trattoria, di un negozio di orologi fino a diventare, per opera dello scenografo milanese Renzo Mongiardino, una casa opera d’arte.
Le suggestioni scenografiche di Mongiardino
Mongiardino, inseguendo suggestioni che gli arrivano dalla cinematografia, inserisce un bagno turco, effetti trompe-l’oeil, damaschi, finto marmo, una sala da tè in stile ottocentesco e anche una vasca da bagno praticamente nella mansarda, subito sopra la stanza da letto. Una vasca inserita nella nicchia ad angolo acuto, con muri e soffitti blu notte.


Quasi come se Mongiardino avesse voluto sfidare Antonelli portando una vasca nel punto più alto e stretto possibile per fare il bagno. E d’altra parte è proprio Mongiardino stesso a sostenere nel suo libro Roomscapes che “i difetti accentuati possono condurre a soluzioni gradevoli“.
La galleria d’arte di Noero
E probabilmente sono state tutte queste illusioni, magie, insiemi di architetture sorprendenti e sospese a spingere Franco Noero a voler aprire, proprio dentro la Fetta di Polenta, la sua galleria d’arte. Perché, per ritornare a Bronstein, “la casa è in grado di focalizzare la visione delle persone in uno studio meticoloso di ogni oggetto.
Non si riesce a passare accanto a qualcosa. Si deve entrare in una stanza, uno sguardo d’insieme non è possibile. Non si può andare di stanza in stanza, si deve salire e scendere a un piano separato“.
Le esposizioni di Noero
Dal 2008 al 2013 si susseguono circa venti esposizioni personali di artisti. Ognuno di loro, soggiogato, dalla malia della Fetta di Polenta ha inventato la sua arte dentro quegli spazi dando vita a installazioni che prendono vita dalla casa e diventano parte integrante di essa.
Così ecco Jason Dodge che allestisce le sue opere andando a cogliere i piani identici della casa attraverso il simultaneo, presenti che accadono nello stesso momento. “L’ho pensata come un accordo musicale, come ruotare la casa di alto e ogni stanza era una nota su un piano“. Dirà Doge nel 2012.
Da Olsen a Bader
Olsen qui installerà le sue opere dal linguaggio minimale:coreografie di buchi, cavi elettrici, viti avvitate in fila su pezzi di pannello secondo il criterio che “non si capisce mai davvero dove ci si trova“. Una sinuosa foglia d’oro sul soffitto del primo piano sarà invece il contributo di Herrera, insieme a un percorso di feltro di 8 metri all’ultimo. Un albero che cresce attraverso i piani, A tree with Roots, fu l’illusione di Hakansson, come se la casa ci fosse cresciuta intorno.


Campbell andò a creare losanghe di colore, illusioni tra le illusioni di casa Scaccabarozzi. Costa Vece e Martino Gamper usarono invece gli arredi per le loro installazioni. Gamper recuperandoli dai mercatini dell’usato di zonaper creare prototipi di cucina e altre stanze e Costa per un diario quotidiano fatto di sculture in nicotina masticata. A chiudere l’epoca delle esposizioni d’arte alla fetta di Polenta fu Darren Bader nel 2013, con la mostra #I am just living to be dying by your side


Ognuno di questi artisti ha portato un’esperienza intensa e interessante in Casa Scaccabarozzi, una fonte di ispirazione che trae le sue origini nel vivere in limiti fisici sfidando logica e razionalità. Perché l’irrazionale fa sognare.
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