Da pochi giorni si è svolto a Torino il primo Death Cafè della regione, un progetto portato avanti dall’Ordine degli Psicologi del Piemonte. Ma, prima di tutto cerchiamo di rispondere a una domanda. Che cos’è un Death Cafè? Prima di tutto non è un bar, è un incontro. Un luogo che può essere una casa privata, un giardino, una sala, un luogo pubblico. In un Death Cafè poche persone (massimo una dozzina), spesso sconosciute, si riuniscono per discutere della morte accanto a una tazza di caffè, the e qualche dolce. E’ una discussione di gruppo senza agenda, obiettivi o temi. È un gruppo di discussione piuttosto che una sessione di supporto al dolore o di consulenza.
La nascita dei Death Cafè
L’idea nasce in Inghilterra, nel settembre 2011, da Jon Underwood e Sue Barsky Reid, sulla base delle idee di Bernard Crettaz. Il primo Death Cafè è stato offerto nella casa di Jon a Hackney, East London. Facilitato dalla psicoterapeuta Sue Barsky Reid, la mamma di Jon. Da allora ci sono stati 15717 Death Cafe in 83 paesi diversi nel mondo: dall’Europa all’America all’Australia. L’obiettivo è, come si legge sul sito dei fondatori, aumentare la consapevolezza della morte al fine di aiutare le persone a trarre il massimo dalla loro vita.
Il fondatore Jon Underwood
I Death Cafè sono sempre offerti su base no profit, in uno spazio accessibile, rispettoso e riservato. Senza alcuna intenzione di portare le persone a conclusioni, prodotti o linee d’azione. Accanto a bevande rinfrescanti e cibo nutriente. Jon è morto improvvisamente il 27 giugno 2017, ma ormai il Death Cafè aveva preso il volo. Sono stati organizzati death cafè in case popolari, cimiteri, in cafè funky, in una yurta e alla Royal Festival Hall.
“Nel corso della sua vita– scrive sua moglie Donna sul sito del deathcafè-, ha aiutato decine di migliaia di persone in tutto il mondo a riunirsi regolarmente, bere il tè, mangiare deliziose torte e prendersi del tempo per ricordare ciò che conta davvero. Non penso che sia un’affermazione eccessiva affermare che ha iniziato da solo a cambiare le culture intorno alla morte e alla consapevolezza della fine della vita, non solo nel Regno Unito, ma in tutto il mondo.”


Death Cafè a Torino
il 30 marzo, quindi, si è svolto, nella sede dell’Ordine degli Psicologi Piemonte, in via San Quintino 44, a Torino, il primo Death cafè del Piemonte. Sebbene aperto a tutti, i primi incontri in calendario, sono rivolti principalmente a chi è coinvolto dalla morte quotidianamente e professionalmente. Psicologi, operatori sanitari e volontari, educatori e formatori. L’intento, in prospettiva, è quello di promuovere il modello anche fra la cittadinanza.
Al primo incontro ha partecipato la dr.ssa Marina Sozzi, filosofa, esperta in tanatologia e cure palliative, autrice del blog “Si può dire morte” con una sua relazione


L’obiettivo, si legge sul portale dell’ordine del Piemonte è quello di creare un gruppo ristretto di dialogo e di riflessione su un tema fondamentale per il senso del nostro vivere, quello della morte, in un momento di condivisione emotiva, intellettuale e filosofica. In ambito psicologico, questo tema riveste un ruolo significativo nella terapia, quale esplorazione profonda ed esaustiva del percorso e del significato della vita, all’interno della quale la morte ricopre un ruolo centrale.
In Germania il cimitero è luogo sociale
La nostra cultura ci porta a rifuggire e allontanare la morte. Ma in altre culture, non poi così distanti, la morte entra nel quotidiano. In Germania, ad esempio, precisamente a Berlino all’interno delle strutture cimiteriali è normale svolgere attività sociali, come ben documentato dal reportage “Il Girotondo” della regista Alice Palchetti prodotto dalla Film University Babelsberg KONRAD WOLF. 15 minuti in cui la regista mette in luce l’abitudine germanica di fare dei cimiteri un punto di ritrovo di ritrovo per leggere, fare jogging o pausa pranzo. In mezzo alle tombe troviamo bambini intenti a giocare e a rincorrersi come se fossero all’interno di un qualsiasi parco cittadino, mentre gli adulti svolgono le attività più disparate come concerti, conferenze, spettacoli teatrali. Attività che si integrano armonicamente con le processioni funebri.
“Vita e morte non sono due estremi lontani l’uno dall’altro. Sono come due gambe che camminano insieme, ed entrambe ti appartengono. In questo stesso istante stai vivendo e morendo allo stesso tempo.” (osho)


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