Fair Play Finanziario: l’approfondimento dell’avvocato Pierluigi Marengo

Volevo condividere con i lettori di questo giornale un articolo già apparso in altri siti on line del mio grande amico l’Avvocato Pierluigi Marengo.

Pur non condividendo la stessa fede calcistica di Gigi, come si fa chiamare dagli amici e dai tifosi del Toro, sua squadra del cuore, mi sento comunque, vivendo a Torino, molto più vicino ai colori granata che non a quelli dell’altra squadra della città. Colori che in tutti questi anni mi ha fatto apprezzare, insegnandomi cosa  vuol dire essere un tifoso del Torino, passione che va ben al di là dei 90 minuti di una partita.

Non mi ha convinto a cambiare squadra, non ci sarebbe comunque riuscito, ma certamente mi ha fatto capire che tifare Toro è diverso che tifare per il Milan, per l’Inter, per il Napoli, perché il Torino è una fede ed è qualcosa che va oltre la vittoria o la sconfitta, è quasi una missione che si tramanda di padre in figlio, è una seconda pelle, è una costante lotta contro una certa classe sociale.

Pierluigi Marengo non è certo un tifoso qualunque: è stato il primo presidente del Torino FC, ma soprattutto è stato colui che dopo il fallimento del Torino Calcio nell’estate 2005, ha evitato la scomparsa di quella che forse è la società più gloriosa ed importante del nostro panorama calcistico.

Quando qualcuno già stava celebrando il funerale del Toro appropriandosi del nome Torino per far si che in città ci fosse solo una squadra, Gigi Marengo riuscì in un’operazione che nessuno aveva neppure pensato: far rinascere il Torino dalle ceneri e dai disastri dell’era Cimminelli.

L’articolo che segue questa breve presentazione riguarda il fair play finanziario, un’invenzione dell’altra sponda del Po che ha creato solo immensi disastri a tutto vantaggio di chi lo ha voluto.

Buona lettura.

Luciano Zagarrigo

 Il Fair Play Finanziario.

Nel dibattito sul Fair Play Finanziario, scatenatosi a seguito della giornalisticamente prospettata possibilità di nostro ripescaggio in El per violazione di tale istituto UEFA da parte dei rossoneri, avevo anticipato una mia riflessione sul cos’è veramente il Fair Play Finanziario, rinviandolo però al dopo ripescaggio o meno. Viste le ultime determinazioni UEFA, ritengo giunto il momento di procedervi.

Una riflessione che ho ritenuto opportuna vista le tante imprecisioni lette al riguardo nei commenti, imprecisioni che arrivavano sin’anche a equiparare la violazione del Fair Play Finanziario con un illecito sportivo quale l’alterazione del risultato di una partita…

Ebbene, non è così.

Il Fair Play Finanziario, che se sparisse sarebbe un bene per (quasi) tutte le squadre, lo leggo, infatti, solo quale impianto normativo del tutto strumentale, non certo finalizzato al “moralizzare” il calcio.

Iniziamo a porre l’attenzione sul momento di sua emanazione.

Nel 2009, con effetto dal 2011, l’UEFA, presieduta da Michel Platini poi radiato per corruzione, si inventò il Fair Play Finanziario, una misura di controllo centralistico sulla gestione economica interna alla società di calcio che accedono alle competizioni europee. Un controllo, quindi, portato solo sulle principali società dei vari campionati, mentre tutti sanno che i gravissimi problemi economici non son certo delle squadre di vertice, bensì di quelle di medio bassa classifica… Un controllo tutto suo, montato su criteri estranei alle norme interne dei vari campionati, che, avendo le squadre di vertice appetiti europeistici, ha anche condizionato le più importanti realtà calcistiche nazionali.

Percorriamone i vari passi dal suo sorgere.

Il campionato italiano 2010/2011 si chiude con la vittoria del Milan e l’Inter al secondo posto; i gobbi sono solo settimi a ben 24 punti dal vertice.

Il campionato 2011/2012, primo anno post Fair Play Finanziario, vede però i gobbi al primo posto, con contestuale inaugurazione del loro nuovo stadio. Il Milan arriva secondo con 4 punti di distacco, mentre l’Inter tracolla al sesto posto a ben 26 punti dai gobbi.

L’anno successivo entrambe le milanesi continuano nella discesa, con il Milan a 15 e l’Inter a 34 punti dai gobbi.

Da quel momento ad oggi i gobbi, in Italia, non avranno più rivali e le milanesi, da sempre sue principali avversarie, vivranno un limbo del tutto estraneo alla loro tradizione e al loro essere ante norma del Fair Play Finanziario.

Casualità e preordinato disegno?

Il Fair Play Finanziario, voluto ed imposto da quel Michel Platini notoriamente sensibile verso gli appetiti di casa Agnelli, ha palesemente distrutto le due storiche competitor dei rigadini, aprendo la via alla compagine zebrata verso quel vertice di classifica che, dopo calciopoli, era divenuto per lei solo più un miraggio.

Esaminando la portata normativa del Fair Play Finanziario, venduto da Platini come strumento per dare opportunità alle piccole e medie società e calibrato sul pareggio di bilancio, non è sicuramente arduo ricavarne una ratio diametralmente opposta.

Con questo strumento UEFA, peraltro sconosciuto alla FIFA, le piccole società risulteranno sempre più tagliate fuori, perché la variabile di pareggio di bilancio sugli introiti si perfezionerà sempre ed esclusivamente sul bacino dei tifosi, non inteso come frequentatori dello stadio, ma come mercato di utenza televisiva a pagamento e, guarda caso, i gobbi, grazie all’immenso bacino di utenza meridionalistica, detengono da sempre il record assoluto di abbonati alle Pay Tv. Un record ben noto all’UEFA di Platini, quanto emanò il Fair Play Finanziario

Se poi andiamo a esaminare il Fair Play Finanziario sotto il profilo delle spese sostenibili da una società per operare sul proprio parco giocatori, ci accorgiamo di come tutto collimi.

Essendo esclusa, in ragione del pareggio di bilancio, la possibilità di indebitamente societario, se non disponi di platee vastissime di utenza televisiva, ti devi tenere la squadra che hai, senza possibilità, rischiando sull’indebitamento, di migliorarla.

In un sistema, come quello occidentale, ove l’imprenditore è colui che, rischiando, persegue il fine di far crescere la propria azienda, nel calcio, forse il maggior sistema capitalistico esistente, è stato invece posto un blocco operativo che ci ricorda la vecchia Unione Sovietica.

Si è vietato il rischio di impresa, legando la gestione aziendale non alla volontà dinamica di rischiare del proprio titolare, ma a regole calate dall’alto e calibrate su situazioni oggettive e statiche; situazioni, alla data di entrata in vigore della norma, ben note a chi le scrisse.

Una norma ad personam, o meglio ad bigas? Leggendola verrebbe da dire di sì.

Il Fair Play Finanziario venne inventato dall’UEFA, rimarco a guida Platini, in un momento in cui i gobbi dovevano colmare il grande gap che li divideva dalle milanesi… ed i sistemi erano solo due.

O investire cifre colossali per creare uno squadrone con il meglio del mondo, sempre che quel meglio mondiale fosse disponibile a venire a giocare in un campionato, quello italiano, di anno in anno meno competitivo con il resto d’Europa, o far decrescere le competitor.

Il Fair Play Finanziario fu perfetto per questa seconda ipotesi, facendo così consolidare i gobbi quale indiscussa dominatrice nazionale. In un solo colpo vennero rase al suolo tutte le differenze di potere economico, superiore ed inferiore rispetto alle posizioni di allora dominio, con una norma che riconduceva il detto potere economico non già a reale fattiva volontà dei presidenti di rischiare o immettere denaro loro quale finanziamento soci, ma a parametri esterni, quale la variabile di pareggio di bilancio sugli introiti.

In Italia, come già detto, il Fair Play Finanziario diede immediatamente i suoi frutti, riducendo l’Inter ed il Milan a poco più che squadrette da metà classifica, visto che le due società milanesi erano state sempre gestite in maniera ordinaria sul debito, non coperto con gli introiti, ma sistematicamente ripianato dalle proprietà di famiglia. Gestione del bilancio assolutamente corretta, conforme alla normativa civilistica e propria di ogni società di capitali, escluse, a seguito della nefanda norma, solo le società di calcio di vertice classifica. E con ciò i gobbi, oltre a primeggiare sul suolo patrio, ottennero anche la certezza di una qualificazione continua e diretta della Champions League, con ulteriore incremento degli introiti da utenza televisiva unita ai premi di partecipazione.

Di colpo, da un anno all’altro, i gobbi passarono da un settimo posto del 2010/2011 ad un primo posto tutt’ora mantenuto e che, probabilmente, manterranno a lungo, visto questo Fair Play Finanziario tagliato su di loro che impedirà alle competitor di allestire squadre che possano impensierirla, non avendo stabile certezza di partecipazione alla Champions e non disponendo del loro bacino televisivo.

Ma non basta.

Con la discesa in campo dei magnati russi e degli sceicchi arabi, per i gobbi sarebbe comunque risultato arduo emergere a livello Europeo ed allora ecco questo stesso Fair Play Finanziario ulteriormente utile per limitare lo strapotere economico dei competitors fuori confine.

Un’ultima considerazione.

Il Fair Play Finanziario non ascrive a debiti da considerarsi ai fini del pareggio di bilancio i costi sopportati per la realizzazione di infrastrutture, quali lo stadio. Sarà una coincidenza che, mentre Platini scriveva la norma, la gobba procedesse alla realizzazione, sulle macerie del Delle Alpi, dello Juventus Stadium?

Uno stadio che, come ben dice Marco Francia, noto esponente del mondo politico torinese, per la “proprietà significa speculare sulla cubatura accessoria, darlo in garanzia a banche per credito agevolato, Leasing o Lease-back per importi di livello assoluto, insomma una forma particolare di autofinanziamento, soprattutto se il credito viene erogato dalla Holding capofila Exor di proprietà degli Agnelli”. In parole povere, un costo e/o indebitamento finalizzato alla realizzazione del manufatto non considerato dal Fair Play Finanziario, ma che consente significativi autofinanziamenti.

Concludo ora affermando, senza se e senza ma, che se ci avessero ripescato in EL, a scapito del Milan, ne avrei egoisticamente goduto, ma ne avrei goduto con un malessere di fondo.

Sarebbe stato un vedere il Toro catapultato in Europa grazie ad una norma di stampo sovietico, voluta e scritta da Platini, che ha consentito ai gobbi di decimare le competitor. Credo che, per un granata, quel malessere ben avrebbe avuto ragione di esistere, a fianco dell’egoistico godimento.

Avv. Pierluigi Marengo

Avv. Luciano Zagarrigo
Avv. Luciano Zagarrigo
Avvocato dal 1997, Cassazionista dal 2016 Dice di sè :“Il coraggio è quello che ci vuole per alzarsi e parlare; il coraggio è anche quello che ci vuole per sedersi ed ascoltare” diceva Sir Winston Churchill… Nella vita come nel lavoro resta sempre un buon consiglio, e nella mia professione spesso ti salva la vita. In questo incredibile mestiere, si incrociano molte storie, coppie che si separano, bambini confusi, aziende che falliscono e lavoratori in difficoltà, ma anche famiglie che nascono così come imprese che si creano. Qualunque sia la divergenza da risolvere, la lite da sedare, non si deve mai dimenticare che al centro di ognuna di queste storie, ci sono persone, donne, uomini, bambini, imprenditori, persone che a volte hanno solo sbagliato il tempo, il tempo giusto per parlare o quello per ascoltare…Oltre 20 anni di professione con l’entusiasmo di chi vuole sempre immaginare, costruire ed osservare, cosa accadrà nei prossimi 20...”