Fenomenologia di Dark: l’intreccio ciclico che spiega il senso della vita

La terza stagione della serie tv tedesca targata Netflix “Dark” è uscita ed è stata divorata. I fan più affezionati non vedevano l’ora di guardare l’ultimo capitolo della storia più intricata di sempre. Perché per quanto si possano trovare somiglianze con “Stranger Things”, “Dark” è originale e innovativa, in primis per l’intreccio dei tanti riferimenti intellettuali e culturali che ne emergono.

Parlare della trama, ambientata nel paese tedesco di Winden, è troppo complicato (qui potete trovare un link utile per capire l’albero genealogico dei protagonisti). È uno dei classici esempi del “è più difficile a dirsi che a farsi”. Bene, “Dark” è più difficile da spiegare che da guardare, quasi. Sì perché chiunque inizierà a guardarla ora per la prima volta probabilmente penserà di non capirci nulla e non avrà nemmeno tutti i torti. Ma il finale assicura la spiegazione del tutto, per dirla in termini quasi scientifici.

Elemento numero uno: la scienza

La scienza in effetti c’entra eccome. Si parla di Chernobyl e del disastro dell’86 – uno degli anni di ambientazione della trama –, di materia grigia, tempo di decadimento, costruzione di una macchina del tempo e viaggi avanti e indietro per le epoche. Si inizia con il legame tra 2019, 1986 e 1953, di 33 anni in 33 anni, un numero che non è casuale. Dante insegna, infatti, che ogni cantica della Divina Commedia è perfetta proprio perché composta da 33 canti (più uno di prologo) e non usa questa simbologia a caso: 3 è il numero perfetto, quello della trinità divina.

In foto un foglio incollato a una parete con un simbolo a tre punte. Ognuna delle punte ha un anno della trama scritto a matita: in cima il 2019, scendendo verso destra il 1986, infine a sinistra il 1953. In centro uno spicchio vuoto.

In foto uno dei simboli della serie che unisce i primi tre anni di viaggi spazio-temporali

In “Dark” tre sono le epoche: dai primi tre anni ci si espande verso il futuro e il passato fino a comprendere tre millenni, l’800, il 900 e il 2000 in cui si arriva fino a oltre il 2050. E poi ci sono tre mondi, con l’ultimo che subentra proprio a fine della terza stagione. Ed ecco perché tutto si conclude: la narrazione ideata da Baran bo Odar e Jantje Friese è stata sicuramente pensata e scritta tutta d’un fiato. Non sarebbe stata perfetta, se fosse continuata all’infinito.

Sembra infinito, invece, il ripetersi degli eventi. Tutto ha una ciclicità, “il principio è la fine e la fine è il principio” si sente ripetere costantemente dai personaggi che sembrano sapere tutto, come il “tic tac” del vecchio pazzo. Ma alla fine tutti sanno e tutti impazziscono, perché burattini di una ciclicità che sembra infinita ma può avere una fine.

Elemento numero due: la religione

Per terminare la profezia dei 33 anni e il ripresentarsi dell’Apocalisse – altro riferimento divino come la costante presenza della Bibbia e del prete Noah che all’inizio sembra quasi il Messia della storia – occorre che i due personaggi chiave, Martha e Jonas, diventati Adam ed Eva da vecchi – e qui il riferimento è immediato – rompano l’andamento degli eventi e ciò avviene proprio a fine della terza stagione.

Nel grafico che rappresenta la loro unione, sugellata dalla nascita di un figlio che sembra quasi essere la personificazione del peccato – c’è proprio il simbolo dell’infinito a legare i loro due mondi. Quello di Adam è il primo che lo spettatore incontra, in cui il vecchio Jonas vuole impedire l’Apocalisse uccidendo il suo stesso figlio. Quello di Eva è il secondo di cui si viene a conoscenza a inizio della terza stagione, in cui la vecchia Martha vuole preservare la vita del suo erede e per questo impedisce la distruzione dei mondi. E così sono destinati a ricrearsi e ripetersi in eterno sempre allo stesso modo, con annessi incesti, viaggi temporali, distruzioni famigliari e scambi continui da un mondo all’altro.

In foto Adam ed Eva vecchi di spalle, mentre stanno svanendo dai loro mondi, si tengono la mano guardando davanti a sè i dipinti di Adamo ed Eva della Bibbia, bruciati. Nella stanza le mura nere e dei teli per terra e sui mobili.

In foto Adam ed Eva vecchi che svaniscono mentre guardano il dipinto raffigurante Adamo ed Eva della Bibbia

“Nulla si crea, nulla si distrugge” sembrerebbe la frase perfetta per riassumere tutto. Ma una soluzione c’è. Sono proprio Adam ed Eva, nei panni dei giovani Jonas e Martha, a sacrificarsi decidendo e comprendendo di non poter nascere più per spezzare quella maledizione. Come? Andando nel terzo mondo e annullando l’errore che ha fatto scaturire tutto.

In foto Jonas e Martha giovani che guardano in camera, lui è a sinistra, lei a destra e poggia leggermente il capo su di lui. Sono vestiti con abiti neri e grigi. Sullo sfondo la foresta.

I protagonisti Jonas e Martha da giovani

Elemento numero tre: il destino

L’inizio risale alla costruzione della macchina del tempo da parte dello scienziato e astronomo H.G. Tannhaus. La sua colpa? Voler riportare in vita il figlio, la nuora e la nipote morti in un incidente stradale nell’86. Da lì i suoi studi sul tempo e sullo spazio vengono impiegati per un solo obiettivo: costruire una macchina che possa annullare per sempre il suo dolore. Ma commette un errore: la materia utilizzata provoca una scomposizione spazio-temporale che porta proprio alla creazione di quei due mondi malati e infausti.

«Che cos’è la realtà? Ne esiste solo una o tante comprese?». Tra le riflessioni in “Dark” c’è proprio quella sulla vita: una che viviamo, una che vorremmo vivere, un’altra che vorremmo dimenticare. «Il vivo e il morto esistono contemporaneamente nel microcosmo – si dice –. Sarebbe possibile l’esistenza di due realtà contemporaneamente?». In “Dark” tutto questo in effetti avviene e porta lo spettatore proprio a riflettere sul viaggio più importante, quello della vita, e sulla morte.

Il senso profondo di “Dark”

L’esempio della macchina del tempo fa capire che, per quanto si soffra per la perdita improvvisa e devastante di un proprio caro, non si può rimediare. Quel che succede succede. Per questo non si può fuggire da ciò che si diventerà in futuro, perché il futuro è già il presente e prima ancora era il passato. E anche se Jonas e Martha vi pongono rimedio, è fantascienza. Esattamente com’è irreale il loro andare nel terzo mondo per cambiare il destino degli eventi, lo è anche la creazione della macchina del tempo. E risulta vera la frase di Jonas adulto-Adam che ammettono:

«La vita è un labirinto. Alcuni vagano all’infinito in cerca di una nuova meta, ma c’è un solo percorso possibile che conduce in profondità e solo quando si raggiungerà il centro, si comprenderà. La morte è una cosa incomprensibile, tuttavia ci si può riconciliare con il sé. Ogni cosa che noi abbiamo fatto alla fine sarà dimenticata»

“What a Wonderful World”- la scena finale della terza stagione di “Dark”

Alla fine della terza stagione non a caso suona “What a Wonderful World”, perché si è posto rimedio a un grande lutto, ma allo stesso tempo si è capito quanto tutti gli altri eventi siano inevitabili. “Sic mundus creautus est”. “Così il mondo è stato creato”. Si ripete dall’inizio alla fine della serie ed è semplicemente la sintesi della vita reale.

Giulia Di Leo
Giulia Di Leo
Laureata in Lettere moderne, ha frequentato la scuola di giornalismo all’Università Cattolica di Milano e oggi scrive per La Stampa e Zetatielle. Dice di sé: “ Sono una ragazza di provincia nata col sogno di scrivere, amo la mia città, Casale Monferrato, che mi ha insegnato a vivere di semplicità e bellezza, portandomi, poi, ad apprezzare la metropoli milanese che nella maturità mi ha conquistata. Non riesco a vivere senza musica: nata nel ’95, ho vissuto di riflesso gli anni delle musicassette degli 883. Mi nutro di cantautorato, pop, indie e trap per aprirmi al vecchio e al nuovo. Senza mai averne capito il perché, il giornalismo è sempre stato il sogno della vita, amo scrivere e la mia attitudine è raccontare e raccontarmi, con stile razionale e schietto. Il mio più grande desiderio è fare della mia passione un lavoro, avvicinandomi a tutti i mondi che fanno parte di me”.