Dentro e Fuori Sanremo: le pagelle senza censure di Gae Capitano, per una volta Dr Jekill e Mr. Hyde
Le mie pagelle senza voto
Uno: le mie pagelle sono senza voto perché – con orgoglio – grazie alla presenza del nostro direttore Lele Boccardo e della Editrice Tina Rossi, Zetatielle Magazine partecipa alle votazioni in sala stampa, a Sanremo.
Il mio rapporto con il Festival
Due: non ho nulla contro il Festival di Sanremo. Come tutti gli autori che conosco, parteciparvi rappresenta una delle ambizioni più comuni. Anch’io ho presentato un brano a un “big” che quest’anno calcherà il palco di Sanremo, sperando che fosse scelto per il Festival.
Il mio brano era più bello di quelli in gara? Forse, di alcuni sicuramente. Era un capolavoro, al di sopra della stragrande maggioranza delle canzonette che quest’anno incanteranno il pubblico? Probabilmente no. Perché in verità, oggi, i capolavori sembrano non interessare più a nessuno. E, credetemi, solo il tempo e il pubblico decretano quali lo siano davvero.
Gli artisti in gara
Le canzoni piacevoli e gli artisti di valore non mancano in questa edizione, promettendo un Festival che soddisferà le aspettative di molti.
C’è Giorgia, la cantante più talentuosa che l’Italia possa vantare (con il dovuto rispetto per la leggendaria Mina), ci sono scoperte interessanti come John Thiele e conferme solide come Serena Brancale. Ammireremo artisti che si sono evoluti, come Achille Lauro, e giovani promesse come Olly, Clara, Rose Villain.
Non mancano professionisti affermati, come Ranieri, Noemi ed Elodie, che questa volta non emozionano, ma che sanno come fare il loro lavoro. E c’è la vera canzone d’autore, con l’ironia tagliente di Willi Peyote e la poesia di Cristicchi e Brunori Sas.
La magia delle canzoni
Parlare del valore delle canzoni non è semplice.
La loro magia sta nel fatto che ogni singolo elemento che le compone – la musica, il testo, l’interpretazione, la voce, il carisma dell’artista, il contesto storico – si fonde in un’alchimia che amplifica l’effetto di ogni singolo elemento. È inutile, quindi, giudicare ogni parte separatamente. La vera bellezza di una canzone risiede nell’intreccio perfetto di tutti i suoi dettagli: è questa fusione che crea il fascino che ci cattura.
Sanremo oltre l’arte
Sanremo nasconde anche aspetti che trascendono l’arte.
Il Festival è un evento che offre enormi opportunità economiche, che sembrano oggi riservate a una cerchia ristretta di professionisti e alleanze, che determinano chi avrà l’onore di partecipare. Un sistema che, contro ogni logica, consente a pochi autori di firmare un numero elevato di brani, dai tre ai sette, entrando così nei privilegiati circuiti che si muovono intorno al mondo delle canzoni famose. E questo inevitabilmente genera conflitti di interesse e scandali che, come sempre accade, finiranno per essere ignorati in nome dell’interesse generale.
Perché Sanremo è Sanremo.
Un nuovo format per raccontare il Festival
Quest’anno ho deciso di dar vita a un nuovo format che mi permetterà di esprimere il mio punto di vista attraverso le voci contrastanti dei miei due alter ego: l’analisi tecnica e buonista del Dottor Jekyll e l’approccio irriverente, sarcastico e senza censure di Mr. Hyde.
Per qualsiasi osservazione, rivolgetevi direttamente a loro.
Gae Capitano
Festival di Sanremo 2025: Il pensiero del Dottor Jakyll
“Il Festival di Sanremo continua a essere un punto di riferimento imprescindibile nella storia musicale italiana, capace di attraversare e legare diverse generazioni. Nonostante le sue evidenti fragilità strutturali, rimane l’ultimo baluardo contro l’invasione delle Intelligenze Artificiali, difendendo una cultura musicale che, purtroppo, si limita spesso alla sua versione più popolare. Un evento che meriterebbe di essere tutelato come patrimonio culturale, al di fuori delle logiche di mercato discografiche e televisive.”
Festival di Sanremo 2025: Il pensiero di Mr. Hyde
“Sanremo è una fiera chiassosa, piena di luci accecanti e bancarelle dove, alla fine, solo pochi oggetti si rivelano davvero preziosi. La distribuzione dei posti – tra interpreti, autori e case discografiche – sembra più una cerimonia riservata a pochi eletti che si dividono il premio, un po’ come un banchetto patrizio nell’antica Roma, dove il popolo paga ma non conta. Se il Festival fosse uno sport, sarebbe una gara di nuoto, con pochi campioni e molti partecipanti che non sanno nemmeno come galleggiare.”
[Achille Lauro] “Incoscienti giovani”
[Dr. Jakyll]
Un attacco sull’arpeggio dell’Ave Maria che si apre su una strofa che scimmiotta “Notte prima degli esami” di Antonello Venditti. La stesura di accordi è super collaudata (A Whiter Shade Of Pale, singolo dei Procol Harum del 1967, a sua volta ispirata dall’ ”Aria sulla IV corda” di Bach). Il risultato è una bella ballad anni 70 che in alcuni punti ha il deja-vù di brani tormentone come “Tornerai, tornerò” del 1975 dei Santo California. Nulla di pregiato quindi, ma molto funzionale a livello di pubblico. Achille spiazza tutti e si conferma uno dei protagonisti di Sanremo 2025
[Mr. Hyde]
Achille ci ha fregato tutti con un brano inaspettato, romantico e ruffiano. Certo, un testo che non sembrasse un tema da terza media se lo sarebbe potuto permettere, con la vendita di paillettes e piume d’ispirazione Velvet Goldmine, le tutine di strass, i mantelli di velluto alla David Bowie utilizzate nelle esibizioni degli anni passati. L’immagine della telefonata in autogrill resterà nell’immaginario, ma i suoi completi da gangster anni 30, o maggiordomo, tra qualche anno saranno inguardabili.
[Bresh] “La tana del Granchio”
[Dr. Jakyll]
Il titolo è tra i più originali, anche se la spiegazione di come è nato la può dare solo lui, perché non intuitiva. Una ballad raffinata, estiva e scorrevole con un buon equilibro tra atmosfere minori e maggiori, che nell’intro e nel finale ha un sentore Deandreiano & Pfm. Il ritornello ha una certa potenza radiofonica ed è abbastanza originale. Un pregio in un festival dove la parola plagio è stata sdoganata ma esiste. La voce di Bresh è molto particolare e deve piacere. Ma è bravo. Lo special orchestrale a 02:40 è bello e simpatico, anche se il testo, assolutamente, non brilla. Un passaggio Sanremese non sprecato per questo artista che non si perde nella mischia.
[Mr. Hyde]
Bresh è originale. Ma magari 4 autori avrebbero potuto lavorare un po’ sul testo: “Se il mare è salato è perché un marinaio ci (sich!) ha pianto sopra (sich!)”. Se han (sich!) fatto il calendario è perché ti vorrei fare santa ora (sich!)”. Dopo queste pillole di saggezza “Ma io sento che non mi dai due lire” è l’unica frase interessante. Quasi premonitrice.
[Brunori SAS] “L’albero delle noci”
[Dr. Jakyll]
Protagonisti sul palco un arrangiamento scarno, con la sua voce, un testo molto bello e una chitarra arpeggiata. Certo l’ombra immensa di De Gregori aleggia su Brunori ed è difficile ignorarla. Anche per lui un ritornello nella prima parte senza ritmica, anticipato da un piccolo bridge, unico punto davvero di pregio della canzone, che in generale, come scrittura risulta un po’ grezza, specialmente sotto la luce del testo che è un piccolo capolavoro di delicatezza.
Dalla seconda strofa, che se ne frega dei tempi discografici e si ripete per intero, non succede più niente e il brano annoia. Nell’insieme, pur essendo un suo estimatore da sempre, la sua esibizione e il pezzo – arzigogolato e con una linea melodica che non si apre mai – non mi convincono del tutto. Ma lui è uno dei più bravi e se ne frega. Anche del timing non perfetto, di sforare i tre minuti e trenta, e della chitarra scordata. Perché il suo pubblico l’ha già conquistato nel tempo. Compreso me.
[Mr. Hyde]
“Strano vedere il principe De Gregori suonare sgraziatamente. E poi “Rimmel” me la ricordavo un po’ diversa. Ah… era Brunori? Pardon”. Paradossi del Festival: in presenza di brani firmati da 9 autori, Brunori è l’unico artista che scrive da solo e si firma come una società. D’altronde – come le etichette dei cibi – la minor presenza di ingredienti (leggi autori) dovrebbe essere un indizio di genuinità. Un inchino al testo, sicuramente il più bello dell’edizione, se si volesse premiare l’arte sottile delle canzoni di dire cose profonde senza spiegarle espressamente. Ma come clone di De Gregori magari poteva puntare su una melodia più raffinata per un testo di questa levatura. Brunori ha comunque un merito tutto suo: è il precursore perfetto delle prossime AI, che cloneranno i repertori specifici di un artista per proporci varianti infinite delle stesse sue quattro canzoni.
[Clara] “Febbre”
[Dr. Jakyll]
Suggestioni di archi cinematografici e una bella voce dalla pasta sonora scura e inusuale. Il brano è una dance sofisticata con un ritornello dalle contaminazioni neomelodiche e reggaeton, mascherate su una cassa in quattro. Una canzone piacevole che sembra rubata al repertorio di Elodie, dove gli stacchi orchestrali e la bellezza di Clara sono i protagonisti principali. Un’operazione commerciale, ma curata nei minimi dettagli quindi perfettamente riuscita. Per Clara un posto meritato sul palco e nelle classifiche.
[Mr. Hyde]
Bella e brava Clara, ma siamo pericolosamente nel terreno delle AI, in grado di regalarci centinaia di brani simili, in pochi secondi, con un semplice click. Occorre lavorare per non rimanere un pacco vuoto confezionato con scintillanti nastri di raso (trasparenti) e velluto seducente.
[Coma Cose] “Cuoricini”
[Dr. Jakyll]
Un attacco senza preavviso ci trasporta in una linea melodica che scimmiotta “Funkytown”, del 1980, dei Lipps Inc. – e “Non l’hai mica capito” di Vasco. Il ritornello, cantato con voci lievemente infantili, in particolare da parte di Francesca, è ipnotico e funzionerà alla grande. Lo special, come di moda senza ritmica, è di nuovo scontata e con i soliti accordi. Questa volta i Coma Cose riusciranno a sfondare le classifiche e ha guadagnare un posto nel cuore dei bambini, delle sigle dei villaggi turistici, nei trenini dei veglioni di capodanno, in perfetta strategia Ricchi e Poveri. Anche se somigliano di più ai nuovi Albano & Romina.
[Mr. Hyde]
Misteriosa sequenza di apparizioni Sanremesi per i Coma Cose, che – visto che ci sono – sono da anni alla ricerca della canzone giusta che li proietti nel mondo delle star di serie A. Quest’anno ci riescono, pescando a man bassa nel mondo dei social, come se fossero due adolescenti, con un brano da Zecchino d’Oro che inverte la loro direzione stilistica, che li renderà meno raffinati ma più ricchi.
[Elodie] Dimenticarti alle sette
[Dr. Jakyll]
Elodie, dopo anni di produzioni ipergalattiche, si affida ad un pezzo orecchiabile e senza pretese che sembra copiato dal repertorio di un cantante neomelodico, con tanto di accordi classici e plateale risoluzione di dominante ad annunciare il ritornello. Un brano piatto, che non si apre mai, nemmeno nell’arrangiamento, anche se la cellula sonora del suo ritornello è nientemeno che la falsa riga di “E penso a te” di Battisti! Nella seconda parte il brano cerca di risvegliarsi e diventare moderno con modesti risultati. Elodie è una delle nostre eccellenze italiane, con una presenza da Bond Girl, una immagine e una produzione musicale che ci permettono di essere invidiati e concorrenziali al pari di artisti internazionali. Il brano quest’anno non è semplicemente alla sua altezza.
[Mr. Hyde]
Una bellezza infernale quella di Elodie. La reginetta non sfigurerebbe come Bond girl in un film, ed è sicuramente una delle realtà della musica italiana, meritevole di essere presente. Deve però fare attenzione alla scelta dei brani, perché colleghe agguerrite utilizzano la strada da lei delineata negli anni passati, ma con canzoni di qualità più alta. A Sanremo non prova nemmeno a elegantire il suo repertorio, pur disturbando citazioni Battistiane e autori come Petrella e Simonetta. “Un’idea che pian piano scivola giù […] mentre si parla di niente”. Appunto. Dimenticarti alle 7? Anche prima.
[Fedez] Battito
[Dr. Jakyll]
Un brano che non porta nulla di nuovo, con dei sinth anni 90 e un flow dell’interpretazione già sentito in mille pezzi. La voce di Fedez regge a malapena la frenesia della ritmica e non dà spessore all’argomento serio del testo. Ma siamo tutti coscienti il tecno-pop non sia il suo ambiente stilistico naturale. Un passaggio semplicemente dignitoso per il rapper, che scomoda il meglio degli autori italiani e non fa brutta figura sul palco. Ma una canzone che non regge con le altre produzioni sanremesi, più ambiziose o riuscite, e sicuramente un progetto non all’altezza della sua storia.
[Mr. Hyde]
Rimpiango il Fedez di “Anthem” e “Cardinal Chic”, con i suoi video girati in garage e le parole al vetriolo. Oggi si parla più del gossip che gira intorno al suo mondo che delle sue canzoni. Al pezzo Sanremese non mancano concetti importanti e scrittura professionale (6 autori tra i più grandi!). Ma forse per essere credibili nel parlare di argomenti seri serve un altro background. E questo brano, perfettino e ricercato, lo trovo pretenzioso e stilisticamente già sentito.
[Francesca Michielin] “Fango in paradiso”
[Dr. Jakyll]
Attacco vocale immediato. Giro armonico semplice e ruffiano. Il bridge si apre su una ritmica che non convince ma che è funzionale melodicamente, tralasciando il solito giro alla “Tango” di Tananai che sembra diventato uno standard da copiare da tutti. (Naturalmente Tananai e Mengoni sono solo gli ultimi ad aver riesumato e riportato alla moda queste armonie). Molto, molto bello il ritornello, melodicamente uno dei migliori degli ultimi anni, e suggestivo il suo finale senza tempo. L’arrangiamento valorizza la seconda strofa e a 02:40 il pezzo diventa travolgente. Proiettando il brano nella classifica di uno dei più belli del festival e consolidandolo come una vera ballad che resterà nel tempo. La sua voce e la sua bravura risplendono nel finale voce e pianoforte. Touchè, Michielin.
[Mr. Hyde]
Il mieloso parere del Dottor Jakyll si dimentica del testo grottesco di questa canzone, che per fortuna passa in secondo piano grazie alla bellezza di tutti gli altri elementi. Lei è brava e su questo non si discute. Ma anche se a Sanremo i testi non sono così importanti “Per i tuoi stupidi occhi”, “Programmare un addio chiusi in macchina “e i disarmanti passaggi “Non c’è più il soffitto” (?) e “Come quei cartelli gialli per terra con su scritto bagnato” (?), lasciano perplessi. Fango in paradiso? Se si parla di testi canzone, non occorre andare così lontani.
[Francesco Gabbani] “Viva la vita”
[Dr. Jakyll]
Le braccia aperte a ricordare Domenico Modugno e un attacco blues di pianoforte, con ricami di organi hammond e cori. La sua voce è particolare e il bridge riuscito. Bella l’armonia del ritornello, con rivolti e picchi melodici. La seconda parte si apre con accordi inaspettati che spezzano la struttura e la rendono originale. La sua interpretazione leggermente graffiante è perfettamente inserita nella trama sonora. A 02:40 il pezzo accelera la dinamica, si elegantisce di rivolti e si chiude su un finale classico ma che raggiunge lo scopo di emozionare. Una ballad riuscita e orecchiabile che ci tormenterà per sempre in tutti i karaoke, perché rimarrà nel cuore del pubblico.
[Mr. Hyde]
Il brano funziona. Ma sono lontani i tempi dei premi della critica per il miglior testo grazie alla collaborazione con Fabio Ilaqua. Francesco punta sulla sua voce e pur con la presenza del grande Pacifico, e una canzone riuscita, ci lascia due chicche di cui potevamo fare a meno: “Insieme due paralisi fanno un movimento”, decisamente non riuscita, e la goliardica “Dentro l’eternità per una botta e via!” che sembra una battuta sconcia di una parodia di Buzz Lightyear di Toy Story. A questo punto, si poteva far ballare il mitico Rocco Siffredi al posto dello scimmione di Occidentali’s Karma e felici tutti.
[Gaia] “Chiamo io chiami tu”
[Dr. Jakyll]
La quota moderna voluta dalla politica di Amadeus e proseguita da questo Sanremo di Carlo Conti ci regala un’altra interprete meritevole. Un brano piacevole e radiofonico che sicuramente sarà un successo. Gaia è bravissima. Come altre, come tante. Se il confronto è su brani scritti in serie.
[Mr. Hyde]
“Puntiamo sulla cassa” dice lei in un intervista, “Ma il testo fa pensare”. Un testo che ripete la frase “Chiamo io, chiami tu” trentasei volte in una canzone, può far pensare solo a una pubblicità della Tim degli anni 80.
[Giorgia] La mia cura
[Dr. Jakyll]
Giorgia riporta il canto a Sanremo con un brano e una voce capaci di emozionare, anche se lo fa maliziosamente, cavalcando una serie di clichè stilistici vecchi e collaudati. Nulla di nuovo sul fronte autorale. Anzi. Una canzone non all’altezza della sua interprete, ma che si fa ascoltare con piacere, seguendo le strategie di “Due Lune” di Mengoni, proprio per la sua leggerezza e per le arie musicali che richiamano brani conosciuti. Certo con questa regina della musica l’osservazione è doverosa: perché non farsi scrivere un brano da Fossati, Zero, Fabrizio, De Gregori, Vasco? lasciando la gara ai comuni mortali e puntando al posto di leggenda della musica italiana, che gli spetta di diritto?
[Mr. Hyde]
Un solo secondo di intro per aumentare l’effetto straniante di un brano che sembra una parodia di Checco Zalone. Un ritornello che plagia spudoratamente la “La sera dei Miracoli” di Dalla (Lucio perdonali). Una strofa dalla sequenza di accordi Pausiniani anni 90 riciclati e prevedibili che sfigurerebbero ad un saggio di songwriting del primo anno. Giorgia i miracoli li fa davvero, cantando un brano imbarazzante, con la sua voce che rende magico tutto. Anche se la sua performance e l’arrangiamento con tanto di stacchi plateali sul finale, sono moderni e meravigliosi, questo brano – oltretutto – è scritto in modo da farla “belare” su modulazioni arabe-partenopee, Che in mano a lei sono ricami di bravura, ma che diventeranno l’incubo dei karaoke, per chi tenterà di imitarli e per chi li ascolterà.
[Irama] “Lentamente”
[Dr. Jakyll]
Bello e bravo Irama, uno degli artisti più interessanti in circolazione, che non ha mai sbagliato un Sanremo. La canzone è strutturata sui soliti accordi che ci perseguitano dal 1994 grazie a “La mia storia tra le dita” di Gianluca Grignani. La sua voce non è chiarissima, almeno dal vivo, ma Il brano verso il finale, dopo il solo di chitarra, si accende e incalza piacevolmente sulla melodia, mentre un organo hammond fa da tappeto, e il brano sembra funzionare. Certo è una delle tante ballate, quasi tutte uguali, di questo Sanremo. Ma Filippo si conferma come una bella certezza della musica italiana.
[Mr. Hyde]
Il vestito alla Napoleone anche no, grazie. Irama non è mai trattato troppo bene dalla kermesse canora, ma è bravo e il pubblico l’ha capito. Sorvoliamo quindi sul testo. “E mi strattoni mentre mi tiri la manica […] il tuo sorriso mi mastica […] vederci/ appuntamenti costosi (????) […] è meglio far l’amore se l’amore è un incendio”. Magari non servivano 7 firme per farlo parlare come “Tarzan” di Edgar Rice Burroughs.
[Joan Thiele] “Eco”
[Dr. Jakyll]
Un attacco di chitarre scordate – a metà strada tra un western di Sergio Leone e Amy Winehouse – ci portano direttamente in una strofa ipnotica costruita su accordi rilassanti di influenze americane anni 60 (“Dreams” di The Mamas & the Papas). Bella la pasta sonora di Joan e il suo modo di tagliare le parole che ricorda la nostra Levante nazionale. Una voce che acquista luce e bellezza quando sale pur mantenendo una forte identità.
Il brano scorre perfetto, un po’ lounge, fino al minuto 02:30 dove mostra il suo special originale per poi riprendere su una linea di basso accattivante. Influenze vocali e melodiche che fanno l’occhiolino a Mina, per le noti principali del ritornello. Il testo è un ottimo, e contiene un passaggio di grande livello “Sarò la tua eco e poi mai la distanza che corre tra il mondo e le cose”. Wow! Magnifica performance Sanremese per Joan. Un artista e una autrice che può riservarci grandi sorprese.
[Mr. Hyde]
Tutto molto interessante. Certo le scelte di Joan non sono semplici. Il pezzo è molto intrigante ma non ha una grande presa radiofonica e non è perfettamente nel target sanremese, che ama prodotti più caciaroni. Ricorda più le produzioni raffinate di Nina Zilli all’interno di album e quella musica di sottofondo delle colonne sonore dei film romantici. “Eco” è uno dei testi più belli di questa edizione, senza sbavature, pieno di concetti interessanti e frasi di ottima costruzione autorale. Se proprio dobbiamo fare osservazioni impertinenti, citiamo che, senza la presenza di canzoni più plateali, Joan avrebbe potuto ambire a tutti i premi in palio.
[Lucio Corsi] “Volevo essere un duro”
[Dr. Jakyll]
La sua fama egocentrica lo precedeva. Un mix tra un Renato Zero dei primi anni e un irriverente e geniale Alberto Fortis, con un leggero deja-vù di Gianni Togni, con una spolverata di mood stilistici che ricordano Antonello Venditti nelle strofe. Tanta roba quindi. Potente l’attacco senza alcun preavviso, che si apre su una ballad di tre minuti scarsi. L’ orchestrazione retrò va in crescendo verso un ritornello solare, costruito su un ruffiano – spudoratamente ruffiano- giro armonico con il terzo accordo in minore, che non si sentiva da un po’.
Non manca niente alla fiera: coretti, chitarre elettriche, violini e uno special beatlesiano che ci riporta la memoria quei pezzi divertenti e intelligenti di Rino Gaetano. Bello il finale, semplice e diretto. L’arrangiamento è un po’grezzo, volutamente spartano, ma tutto funziona. Il testo è grandioso e lui credibile. Un pezzo non memorabile per certi versi, ma un passaggio sanremese importante per farsi conoscere dal grande pubblico.
[Mr. Hyde]
L’outsider di questa edizione. Perché se le canzoni vanno e vengono il suo personaggio fuori dalle regole, non lo scordi più. Sembra il classico artista che con Sanremo non c’entra nulla, ma in realtà, discograficamente, suoi ultimi dischi sono di qualità autorale e musicale altissima e portano una ventata di respiro nella situazione stagna della musica italiana. Certo, avrebbe potuto evitare il duetto con Topo Gigio: qualcuno potrebbe chiedersi chi è il migliore a cantare tra i due.
[Marcella Bella] “Pelle diamante”
[Dr. Jakyll]
Una canzone che celebra la forza e l’autoderterminazione femminile. Marcella ha classe, eleganza ed esperienza. E niente da dover dimostrare. Ma alla fine il pezzo si muove su tre accordi che non cambiano mai, montati senza dinamica sul loop ritmico del 1981 di “Gioca Jouer” di Claudio Cecchetto. E a nulla serve far entrare il ritornello immediatamente, dopo 12 secondi, o inserire degli stacchi ritmici, per animare il brano. Sullo special orchestrale la sua voce diventa stilisticamente riconoscibile, riportandoci il piacevole deja-vu’ di “Nell’aria” o “Montagne verdi”. È bello rivederla sul palco, ma forse è una mancata opportunità di riscoprirla nella totalità della sua bravura.
[Mr. Hyde]
“A volte ritornano”, citando Stephen King. “Pelle Diamante” spogliata del suo arrangiamento pseudo moderno, è fondamentalmente una tarantella folcloristica, facile da immaginare interpretata con tamorra, tamburello, fisarmoniche e chitarre. La leggera -apparente- forza della cellula sonora del ritornello (“Stronza, forse, ma sorprendente”) attinge alle cadenze metriche delle filastrocche tradizionali del sud italia (“Piove, piove, la gatta non si muove”). Il testo tenta di trasmettere emancipazione e resilienza, ma risulta prevedibile. “Gli abbracci mi fanno strano”, “Stronza, indipendente, tosta”, “L’altra faccia della luna non la vedi eppure c’è”. Tra slogan da pubblicità della Dior e frasi da Zecchino d’oro.
[Massimo Ranieri] “Tra le mani un cuore”
[Dr. Jakyll]
Una voce e una teatralità inarrivabili. La sua voce e la sua presenza possono rendere elegante qualunque canzone, e Il brano vanta, tra gli autori, degli straordinari Tiziano Ferro e Nek. Ma la canzone ha un mood datato e fatica a trovare una sua dimensione. Il ritornello è scritto per voci tenorili o di grande impatto, ma non conquista. Retrò e inutili per nobilitare il brano gli interventi di Sax e lo special di stacchi di archi, che appare elementare per questa grande orchestra di professori.
[Mr. Hyde]
Questa canzone ci tele-trasporta immediatamente ai Sanremo in bianco e nero degli anni 50 di Gino Latilla e il Duo Fasano. La poesia di Giulia Anania del testo -pregiata- finisce per appesantire ulteriormente l’atmosfera già cupa di una canzone dal respiro musicale anacronistico. Con i suoi passaggi letterari “Tra le mani un cuore”, “Troverà la pace” “E ogni ferita lo farà sanguinare”, “Amalo in ginocchio sull’altare”, ti fa pensare di esserti sintonizzato per sbaglio sulla messa di Radio Maria.
[Modà] “Non ti dimentico”
[Dr. Jakyll]
Eccoli i Modà sul palco di Sanremo a interpretare i Modà. L’orchestra e la linea ritmica fanno le capriole per far funzionare un brano che però risente della mancanza di melodie originali, sembra assemblato con molte idee diverse (naturalmente autocitazioni musicali) e passa velocemente senza sorprendere. Non stupirà nessuno, purtroppo, ritrovarlo nei karaoke, perché costruito con quei quattro elementi d’effetto che tanto piacciono al pubblico, Un marchio di fabbrica che non lascerà deluso chi ama le melodie semplici travestite da pop rock , e in particolare chi li segue da sempre.
[Mr. Hyde]
Già la presenza di un “Dicesti” nel testo mi fa venire l’orticaria. Una espressione arcaica che apre la strada a un tentativo di scrittura che cerca di nobilitarsi scomodando “Kandinsky”. Il passaggio “E mentre ti baciavo tenevo gli occhi aperti e di nascosto ti osservavo” è davvero inquietante. E riporta direttamente l’immaginazione sul set paranoico di Psycho di Alfred Hitchcock. “Non ti dimentico?”. Io sì. E in fretta.
[Noemi] “Se t’innamori muori”
[Dr. Jakyll] Ma quanto è brava Noemi? Con la sua voce unica che graffia l’anima. “Scusa è tardi” -le prime parole della canzone – hanno un incipit alla Mina Mazzini. La sua voce, che si muove solamente sul pianoforte delle strofe, è davvero speciale. La sensazione di bellezza diventa palpabile al minuto 00:20, quando l’orchestra si apre in modo cinematografico e la melodia la porta su una tonalità più alta, elegantita da un passaggio di rivolto a 00:40, (anche se la fa cantare per un tratto sulla stessa nota con effetto un po’medio-nasale) ma che si chiude – meravigliosamente – sul ritornello.
La seconda parte ha basso e batteria che si muovono creando dinamiche che legano impercettibilmente l’arrivo del nuovo ritornello. Meno riuscito lo special, energico ma confusionario, che si spezza improvvisamente a 02:20 per lasciare spazio al finale. Che ricomincia in grande stile per poi chiudersi con una scala di quattro accordi discensionali orchestrali. Emozionante. Una bella prova per Noemi.
[Mr. Hyde]
Il brano è d’effetto, quindi mette in penombra una parte letteraria che scorre su luoghi comuni, e snocciola una sequenza di immagini quotidiane e poco interessanti. Credo che canzoni del genere nei prossimi anni saranno inflazionate dalle AI, che possono imitarle senza fatica, perché prive di veri elementi preziosi. In questo caso la voce unica dell’interprete e la superba orchestrazione dei Maestri del Festival di Sanremo. “Se t’innamori muori”, rimarrà per sempre un interessante slogan (da filo spinato del cuore) a far da monito sulla vita di coppia.
[Olly] “Balorda nostalgia”
[Dr. Jakyll]
Chitarre folk ad annunciare la ballad perfetta per Sanremo. Influenze Blanco, Mahmood e l’Alfa & Dabbono di “Filo Rosso” nella scrittura super ruffiana, che utilizza un giro armonico, accordi aperti e inusuali settime maggiori per arrivare al cuore. Molto bello il bridge che porta al ritornello. Che esplode. Tutto funziona e sembra di essere tornati ai tempi di Tozzi, Masini e Raf. La voce graffiante di Olly ha le contaminazioni stilistiche un po’ scanzonate di Vasco e Jovanotti, e anche se non pulitissima risulta credibile e adatta al pezzo. Sicuramente tra le canzoni più belle di questo festival. Con tanto di finale corale e coda introspettiva. Un brano perfetto per essere suonato voce e chitarra, che non ha bisogno di effetti speciali per colpire. E che ci accompagnerà per sempre, rimanendo nella storia delle ballad sanremesi.
[Mr. Hyde]
Olly è il ragazzo d’oro del momento, con una voce riconoscibile e una buona vena autorale. Quando ho ascoltato la prima volta “Due come noi” con Angelina Mango, ho pensato: “Finalmente uno che scrive bene!”. Finché non ho realizzato che il ritornello utilizzava la stessa cellula sonora della strofa di “Gelato al Veleno” di Gianna Nannini. (“Per due come noi che si vogliono bene” / “Se la sera non esci ti prepari un panino”). Adesso porta a Sanremo il brano meglio costruito per questo tipo di kermesse: orecchiabile, semplice e ruffiano, con un titolo popolare in stile Albano & Romina Power.
E inizio, quindi, a pensare che, al di là della sua giovane età, Olly abbia capito tutto di questo mestiere. Comunque le immagini “Ti cerco ancora in casa quando mi prude la schiena” e “Me l’ha detto la signora, là affacciata al 4° piano, con la sigaretta in bocca, mentre stende il suo bucato”, per un pelo non gli hanno permesso di vincere il Premio Lunezia, assegnato al valor letterario dei testi. Peccato. (Sto scherzando, sono orribili).
[Rkomi] “Insuperabile”
[Dr. Jakyll]
RKomi deve piacerti. Perché la sua pasta sonora è inusuale. La prima strofa, basata sul suo flow è straniante e acquista un senso solo quando entra l’arrangiamento. La struttura armonica del ritornello è interessante: in particolare quando posa sul secondo accordo, che conferisce eleganza ad un brano che non ne ha. Anche se le parole tentano giochi letterali ricercati, il brano rimane chiuso su se stesso e non decolla.
[Mr. Hyde]
Quanti artisti interessanti e meritevoli non sono stati presi a Sanremo per lasciare il posto a questa canzone? Una domanda scomoda ma necessaria. Il brano non funziona in nessun punto. Un accenno di melodia sono le prime tre note del ritornello, ma poi ti accorgi che sono il leit-motiv di “Balla” di Umberto Balsamo del 1970. “Insuperabile”? Modesto.
[Rocco Hunt] “Questa è la mia storia”
[Dr. Jakyll]
Un brano onesto, con un buon testo e una buona interpretazione. La parte letteraria non è per niente banale, pur essendo molto lunga e articolata, costruita utilizzando solo immagini comuni e quotidiane. Quando partecipò nel 2014, e vinse, tra le nuove proposte, qualcuno pensò fosse solo un artista di passaggio, una moda del momento. Invece la lingua napoletana ha acquisito un posto da protagonista nella musica italiana, e Rocco continua a dimostrarci di avere ancora cose da dire.
[Mr. Hyde]
Glielo diciamo a Rocco che questa canzone è la versione moderna del “Ragazzo della via Gluck” di Celentano, del 1966? Ma, maliziosamente o inconsciamente, la storia che racconta è vissuta sulla pelle, e gli appartiene. E va bene così, perché lui è bravo e il brano è bello. Promosso.
[Rose Villain] Fuorilegge
[Dr. Jakyll]
Una Rose Villain elegante, moderna e bella. La melodia pop chic è orecchiabile e si apre su un ritornello senza ritmica, che sembra il trend più utilizzato quest’anno. Un bel mix di suoni e percussioni su cui l’orchestra ricama timidi interventi in attesa di emergere. Tutto curato e preciso. Anche lo special orchestrale e l’interessante intervento corale che fa da trampolino alla parte finale del pezzo. Un brano che si muove bene, non annoia e spazia in tante dimensioni sonore lasciando un bel retrogusto di energia e malinconia. Uno dei brani riusciti di questo festival e una bella conferma per Rose.
[Mr. Hyde]
Lei è una di quelle brave e il brano è bello. Ma mentre il suo precedente testo sanremese aveva cellule letterarie interessanti, moderne e originali, questo si perde in mille immagini banali e demodé (“La luna cala (sich!) su di noi”, “Sento il tuo nome e inizia a piovere fuori e dentro di me”, “Stelle sopra al soffitto”, “Mi inginocchio e chiedo agli angeli” (!). Trasportati direttamente nella bella époque o in una bozza di poesia di Emily Dickinson. Bella la citazione “Se pensarti fosse un crimine, io stanotte sarei fuorilegge”. Speriamo il titolo non porti sfiga alle sue recenti attività di imprenditrice.
[Sarah Toscano] “Amacord”
[Dr. Jakyll]
Il brano è un successo radiofonico assicurato. Utilizza un modus super collaudato che si ispira alla musica classica e partenopea, utilizzato da sempre nella musica pop ( ci sono centinaia di canzoni simili, alcune più famose come “La notte” dei Modà). Niente di nuovo all’orizzonte. Anzi, stiamo pescando sul fondo. Lei è brava e si prende il suo meritato momento di gloria sul palco di Sanremo.
[Mr. Hyde]
9 autori per scrivere questo brano che pesca a piene mani tra esercizi di pianoforte di musica classica e melodie partenopee, che sfruttano queste strutture sin dagli anni 80 e non hanno mai smesso (vedi “Rossetto è caffè” di Sal Da Vinci). Qui si gioca facile perché la maestosa orchestrazione sanremese nobilita un brano vecchio di 40 anni. Sarah è carina, e rende sopportabile lo scempio di “Una lacrima mi scende giù”, “Non è volato via col vento”, “La via en rose”, “C’è un vento che mi porterà”, “Mi scioglierà le trecce”. Il fantasma di Margaret Munnerlyn Mitchell vaga inqueto dopo aver sentito queste liriche che scimmiottano il suo “Via col vento” del 1951. Sembra un pathwork di banalità sentimentali direttamente prese da qualsiasi romanzo della serie Liala.
[Serena Brancale] “Anema e core”
[Dr. Jakyll]
Una delle artiste più attese. E una delle più brave, eclettica e innovativa. Un Vulcano che incendia il palco di Sanremo con la sua voce, la sua presenza e il suo stile cosmopolita. Che spazia dal soul al jazz, passando per l’R&B e la musica popolare. La sua capacità di fondere diversi generi e influenze culturali le consente di essere visibile nel mare delle proposte musicali e di non doversi confrontare con nessuno sul palco di Sanremo. Un conferma piacevole.
[Mr. Hyde]
Il testo è un gran casino, come il pezzo. Non mi stupisco che Serena, una delle artiste più brave in circolazione, affiancata da due autori big come Abbate e Ettorre, lo sappiano far funzionare e renderlo bello e originale. Certo che in mezzo a punte di diamante come “L’eleganza viene da basso, come il jazz” altre frasi prese direttamente dai baci perugina – “Siamo due facce della stessa luna, come sta collana che porta fortuna” – ce le potevano evitare.
[Shablo Feat Gue, Joshua e Tormento] “La mia parola”
[Dr. Jakyll]
Un produttore sul palco di Sanremo. In compagnia di due campioni come Guè e Tormento, e il tocco di Joshua. Se si tratta di rime e flow non ci sono rivali. Il brano è piacevolmente scorrevole e sorprendentemente ordinario. Anche troppo. Ma funziona e ci farà compagnia per un po’.
[Mr. Hyde]
Il pezzo è bello, Shablo è bravo, e il testo suona bene. Ogni arena che si rispetti ha bisogno dei suoi leoni per accontentare il pubblico. E qui entrano in campo i migliori. Ma i leoni sono quelli addestrati, e di ribelle non hanno più niente, addomesticati da soldi e fama. “Fai il mio nome tre volte Beetlejuice!”. Meglio di no: potrei chiedere allo spiritello di fare sparire questa “prestazione professionale”.
[The Kolors] “Tu con chi fai l’amore”
[Dr. Jakyll]
La cosa più bella di questa canzone è che il titolo richiama immediatamente la sua naturale risposta scurrile. Commentare le canzoni del bravissimo Stash e soci è tempo perso, quindi non lo faccio. Da anni ci riempiono di brutture che finiscono per diventare i brani più gettonati, ascoltati e amati dal pubblico. Meritiamo l’estinzione. E i The Kolors.
[Mr. Hyde]
Se la strategia era rendere interessante il pezzo scomodando il rif di rhodes di “Logical song” dei Supertramp del 1979, direi che non ha funzionato. L’arrangiamento tira come un treno. Ed è proprio bello, in alcuni tratti ci ricorda i tempi d’oro della dance italiana degli anni 70, quando esportavamo nel mondo Gino Soccio e Giorgio Moroder. Il testo recita “Mi fa (Sich!) dove stai andando?”, “Era una stella che lascia una scia”, “la gente per strada che viene e che va si sta cercando”, “C’è sempre uno che se ne va da Roma a Portorico” (?). Una collezione che meriterebbe una mostra permanente all’Accademia della Crusca, che culmina con l’apoteosi di “Sale come un ascensore quando vengo da te” (Sich!). Forse la frase “Mi sento come l’ultima bottiglia che ho nel frigo” è una confessione di come è stata scritta. E spiega tutto.
[Tony Effe] Damme na mano
[Dr. Jakyll]
Tony Effe spiazza tutti con un brano improbabile per il suo pubblico e per ogni palco, compreso Sanremo, stravolgendo tutte le aspettative. Chitarre classiche e ritmiche popolari da stornelli romani, surreali, tra rumba e beguine. Un ritornello che sembra rubato a una serata di liscio in piazza, con note lunghe che scimmiottano e sconsacrano la colonna sonora del Padrino di Nino Rota. La strofa centrale, rap, inaugura sicuramente un nuovo genere musicale. Certo un coretto per aiutarlo e una orchestrazione più raffinata avrebbero potuto inserirle, senza andare al risparmio. La citazione di Califano è l’unico punto meraviglioso. Tony è il nuovo re delle balere.
[Mr. Hyde]
“Mi è piaciuto tantissimo Tananai che cantava Roul Casadei. Come scusa? Chi? Tony Effe? il ragazzo dannato della Dark Polo Gang? Quello che potrebbe doppiare Satana per la sua voce profonda e farlo impallidire per le blasfemie che regala al mondo femminile”? Sanremo fa davvero miracoli.
[Willie Peyote] Grazie ma no grazie
[Dr. Jakyll]
“C’hai provato più volte dei Jalisse” meriterebbe già un premio. Ma Willie non ha bisogno di conferme. Riporta la canzone di protesta, servita con ironia ed eleganza, sul palco di Sanremo. Willie è un mito, cita “Cyrano De Bergerac” di Edmond Rostand come fonte ispiratrice e snocciola un testo lunghissimo pieno di concetti profondi o provocatori. Uno dei grandi della musica italiana. Una garanzia di intelligenza e bravura.
[Mr. Hyde]
“E questa gente non fa un cazzo, li mantengo tutti io” potrebbe diventare il testo per la nuova sigla di Sanremo.
[Simone Cristicchi] “Quando sarai piccola”
[Dr. Jakyll]
Simone ha vinto tutto comunque. Sarebbe bastato il titolo di questa canzone, a farne la più bella. Un titolo che già stringe il cuore e ne fa un piccolo capolavoro senza tempo. Simone è lo Schopenhauer, il Nietzsche, Camus e Heidegger della nostra generazione. La tecnica di scrittura è diretta e riporta a delle immagini quotidiane che commuovono. Se Italo Calvino nelle sue “Lezioni Americane” del 1984, elogiava la leggerezza ed esattezza delle parole, questo testo è il compito perfetto. Grazie Simone, per aver riportato la poesia e le storie, quelle vere, sul palco di Sanremo. L’edizione 2025 sarà legata per sempre a questo brano.
[Mr. Hyde]
Tutti a gridare al miracolo. Ma occorre ammettere che il merito di Simone è aver scritto – bene, dannatamente bene – in fondo solo una canzone indovinata e intelligente, capace di toccare il cuore delle persone. Non è poco, ci mancherebbe. Tutti vorremmo aver scritto una canzone così, e in questo modo così delicato. Una canzone che in mano Fiorella Mannoia, Renato Zero o Ivano Fossati sarebbe stata un capolavoro, perché ci sono autori e ci sono interpreti. Questo va detto. Ha fatto bene Simone a portarla da solo sul palco di Sanremo? Sicuramente sì, perché la sua esibizione, forte del messaggio, è stata comunque dignitosa. E gli ha permesso di ricevere a piene mani tutti i meriti di questo piccolo gioiello della musica italiana. Che resterà per sempre.
Potrebbe interessarti anche:
Cristiano Malgioglio: onestà intellettuale e grande cuore sincero
Con l’autotune tutta l’Italia canta a Sanremo
Sanremo seconda serata: le pagelle, tra emozioni e grande spettacolo
Spaccasanremo giorno 2: dalla platea il coro a Carlo Conti
Sanremo 2025 prima serata: la grande fabbrica del déjà vu
Seguite il festival con Zetatielle Magazine