Gli eroi son tutti giovani e belli

Memorie di pianobar: gli eroi son tutti giovani e belli.

L’estate scorsa ero in vacanza all’Isola del Giglio, luogo meraviglioso dell’Arcipelago toscano nel quale ogni tanto mi capita di passare qualche giorno. Tra l’Isola d’Elba, Capraia, quel gioiellino di Giannutri e la leggendaria Montecristo, che grazie al genio di Alexandre Dumas e al suo celebre conte Edmond Dantès è conosciuta e sognata da milioni di lettori di tutto il mondo. Insomma, un angolo di paradiso. E forse è per questo che a volte capitano piccoli miracoli. Come è successo a me.

La sera andavo quasi sempre ad ascoltare un amico che proprio al Giglio fa la stagione suonando e cantando in un locale sulla spiaggia, lavorando come pianobar. Mi piaceva molto starlo ad ascoltare (sorseggiando una birra fresca, poi un amaro ghiacciato, poi magari un altro amaro ghiacciato, poi… vabbè, avete capito) mentre si avventurava con maestria nei meandri dei repertori di alcuni nostri grandi: da Vasco a Fossati, da De André a Rino Gaetano, infilando necessariamente qua e là una Maracaibo che, diciamoci la verità, in certi contesti ci vuole. E ci sta pure bene, dai.

Una di queste sere però il mio amico aveva dei problemi con la voce. Mi chiede quindi il favore di fare qualche pezzo io, una mezz’oretta, quello che volevo, giusto per dare un po’ di tregua alle sue corde vocali. Lo faccio volentieri, dico io, ma canzoni degli altri ne conosco poche poche. “E fai le tue, no?” mi dice. “Oh, io le faccio. Poi se ti si svuota il locale non ti lamentare”. Sì, è più o meno questa l’autostima di un cantautore davanti a infradito, cocktail alla frutta e parei, tra l’odore della crema solare che si mischia con quello di una grigliata di pesce.

Mi metto al piano.

Dopo venti secondi netti arriva un’enorme tavolata di ragazzini, il più grande avrà avuto vent’anni. Panico. Sono seduti a sei metri da me. Terrore. Hanno tutti il cellulare in mano. Tachicardia. Sono tutti giovani e belli. Troppo. Nella vita mi è capitato di suonare anche davanti a qualche migliaio di persone, ma mai ho avuto un’ansia del genere. Questa è tosta Lo’. Veramente tosta.

In pochi istanti mi figuro la scena: risatine, schiamazzi, video con volume altissimo, cin cin, piatti, posate, “oh raga domani andiamo in quella grotta a farci le canne”. Insomma, il mio immaginario di un gruppo di ragazze e ragazzi in vacanza. Io comincio a rivalutare con rabbia tutta una serie di scelte nefaste fatte nella vita.

Niente, mi devo buttare. Play Bach, devo iniziare con Play Bach. Almeno è strana. E quindi? Boh. Ma se parto con una canzone normale questi mi sovrastano, mi annientano, mi umiliano. Vai Lo’, vai. “Io sarò strano, ma tu sei un inetto / e il fatto che due come te valgano l’esatto doppio di me non mi sembra molto corretto”. Ma sei scemo? Come hai potuto pensare che questa roba potesse frenare la loro forza distruttrice?

Mah. Ormai, continua. “Io leggo molto, da Benni a Dumas” e a questo punto faccio persino un colpetto con la testa verso il mare, in direzione di Montecristo. Mi fossi visto da fuori, non avrei colto nemmeno io. “Io al playback preferisco Play Bach. Questa per te sarà molto complicata perché presuppone la conoscenza di una lingua straniera e di un compositore tedesco vissuto a cavallo tra il diciassettesimo e il diciottesimo secolo…” Ma, aspetta un attimo… c’è silenzio. Com’è possibile? Forse una fuga di gas che ha sdraiato tutti tranne me? Mi faccio coraggio e alzo lo sguardo. Avevo tutti i loro occhietti giovani e belli addosso. Sorridevano.

giovani - lorenzo santangelo, camicia bianca, cappello scuro, occhiali da sole e barba, intento a cantare seduoto al pianoforte
Lorenzo Santangelo – Gli eroi son tutti giovani e belli

GLI PIACEVA.

Istintivamente cerco di girare la testa per vedere se c’era qualcosa dietro di me, magari uno di loro mi si era messo dietro ed era lui a dare spettacolo, non io. Invece no. MI STAVANO ASCOLTANDO CON INTERESSE. Continuo, rincuorato. “Io già lo so che ti stai chiedendo come mai il diciassettesimo secolo si riferisca al 1600 quando a diciassette bastava aggiungere due zeri riferendosi così al 1700 e il calcolo sarebbe stato molto più facile, eccheccazzo”. Li guardo. GLI PIACE. GLI PIACE UN SACCO. Non è possibile. Forse è un sogno. Forse li ha pagati mia mamma.

Finisco la canzone con slancio. “È che son stanco davvero / e un po’ frustrato, sicuro, di essere sempre quell’uno / che poi lo prende nel… cuneo, fiscale / e paga pure per te”. Applausi scroscianti. Fischi (di approvazione!). Un trionfo. Io guardavo solo loro, quel tavolo per me era un’isola nell’isola, ma in realtà la terrazza era piena e l’entusiasmo dei ragazzi contagiava tutti gli altri. Si stava prospettando uno dei miei più grandi successi, del tutto inaspettatamente.

Allora continuo con alcuni pezzi un po’ leggeri, come Metal detector, Dal divano (è tutto più facile) e, soprattutto, Lo Squalo della Groenlandia. E qui li conquisto definitivamente. “Millenni di progresso per migliorarci un po’ / persi in un secondo in un balletto su TikTok / bocche di gallina, cuori su YouPorn”. Ormai li ho in pugno, tutti. Tutta l’isola. Tutto il Mediterraneo. Tutto il mondo. “Tu pensa che palle essere lo Squalo della Groenlandia / tu pensa che palle vivere 500 anni in questo mondo di merda”. Ovazione. Caroselli. Clacson. Ok, forse sto un po’ esagerando con la descrizione.

A questo punto mi sento invincibile. Posso fare tutto. Posso fare anche le canzoni un po’ più impegnate. Mi lancio: Il vero italiano, La minoranza. Forse sto andando troppo oltre, ora il perdo.

E invece no.

Quei giovani non mi tolgono gli occhi di dosso. Dai, non chiediamo troppo alla provvidenza, li saluto con L’arancio. “Bello de nonno, fa er favore, sbucciame l’arancio / che all’età mia è fatica pure pija’ ’n caffè”. Neanche il tempo di alzarmi dal piano che i ragazzi vengono da me, mi danno la mano, qualcuno mi abbraccia, mi chiedono il nome da cercare sui social, mi ringraziano.

Sono felici.

Mi hanno spiegato che negli articoli non bisogna essere prolissi. Il dono della sintesi è forse la dote principale di chi fa questo mestiere, e io oggi non l’ho avuto, lo so. E allora non mi dilungherò ancora, eviterò di spiegare quanto sia stupida la favoletta che ci propinano da anni per la quale i cantautori hanno un linguaggio vecchio che non può arrivare ai giovani. Che ascoltano solo la trap perché parla di loro e a loro, a differenza del cantautorato, ormai antico vessillo impolverato. Non aggiungerò altro, se non le parole di uno di loro:

È stato bellissimo, non ho mai sentito niente del genere. In quello che ascoltiamo noi non c’è tutto questo, ci parlano come se fossimo degli idioti. Le cose che dici tu non ce le dice mai nessuno”.

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isola inaccessibile - musick

L’immagine di copertina è stata generata con Bing IA.

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Lorenzo Santangelo
Lorenzo Santangelohttps://www.instagram.com/lorenzosantangelomusic/
Lorenzo Santangelo è un cantautore, autore, scrittore, conduttore radiofonico e, sinceramente, molto poco altro. Di lui diranno che ha fatto anche cose buone, tra cui due album, due EP, un romanzo, due racconti e tre trasmissioni radiofoniche. Ha ottenuto qualche riconoscimento, tra cui il Premio De Andrè: non a caso l’anagramma di Premio De André è “depredare nomi”. Innamorato della parola, della musica, del vino, della Roma e di almeno un altro paio di cose che sarebbe meglio non citare in questa sede, pare abbia fatto molta strada, vivendo tanti anni in Australia e diventandone cittadino: infatti l’anagramma di australiano è “suola rinata”. Ma anche “suora latina”, e infatti è tornato in Italia, dove ogni tanto lo si può trovare in concerto oppure in qualche bar.