I moti dell’anima e la nascita del ritratto moderno

I moti dell'anima - la Venere di Leonardo
Venere di Leonardo

Con la locuzione moti dell’anima , il grande Leonardo Da Vinci, voleva asserire non solo i tratti fondamentali di un carattere ma soprattutto come reagisce il corpo umano di fronte ad una emozione. Per meglio dire voleva mettere in risalto la verosimiglianza di un corpo e, quindi, l’espressione, la trasposizione dei pensieri e dei sentimenti in un’immagine esterna.

 Fu così che nacque nel Rinascimento il ritratto fisiognomico o come lo chiamava Leonardo “naturale’’ perché presentava la persona nella sua piena naturalezza sentimentale e psicologica. Con esso nacque l’idea moderna che la donna e l’uomo non fossero più classificabili come parte integrante di un unico gruppo bensì che ogni individuo sebbene simile ad altri, fosse unico nel suo genere.

I moti dell'anima - Ritratto di Cecilia Gallerani
Ritratto di Cecilia Gallerani – particolare del viso

Ma da lì a poco poesia e pittura si sarebbero dovute affrontare.

quale arte, attraverso il ritratto, rappresentava meglio una persona?

I letterati, sulla base di antichi scritti ritrovati del poeta latino Marziale ‘’arte se tu potessi rappresentare il carattere e l’animo non ci sarebbe allora sulla terra un ritratto più bello’’, rivendicarono con forza il primato della parole su quello dell’immagine; il ritratto disegnato, il dipinto quindi non poteva rappresentare l’animo, solo l’esteriorità e l’anatomia di un corpo, i cosiddetti moti dell’anima.

Leonardo Da Vinci dichiarò invece necessaria la difesa della rappresentazione visiva, la quale, a differenza delle lingue in cui ognuna necessita della propria traduzione, era universale.

Così nel suo Trattato sulla Pittura scrisse: ‘’Tolgasi un poeta che descriva le bellezze d’una donna al suo innamorato e tolgasi un pittore che la figuri: vedrassi dove la natura volerà più il giudicato re innamorato’’ e con ciò far intendere che se mettiamo a confronto un poeta che descrive la bellezza di una donna ed un pittore che invece la rappresenta, si vedrà chi dei due ritratti avrà più effetto sul suo innamorato e gli farà provare emozioni autentiche provocando così i moti dell’anima.

Con la base di ciò l’artista arriva ad affermare, con un esempio estremo, che ci si può innamorare di un dipinto senza che la figura in esso sia viva supponendo che il ritratto dipinto susciti molte più emozioni rispetto ad un ritratto scritto. Una prova schiacciante di tutte queste teorie le fornirà con il ritratto di Cecilia Gallerani, amante di Ludovico Sforza, più noto come “La dama con l’ermellino”

Particolare dell’ermellino

Il quadro si trova oggi al Museo Nazionale di Cracovia e risale al 1488, anno in cui Cecilia si trovava alla corte degli Sforza e, all’età di soli quindici anni, era amante dell’uomo più potente del ducato di Milano.

In questo ritratto Leonardo non si limita a rappresentare solo i tratti fisici ma coglie la reazione fisiologica. Infatti Il punto di vista molto basso ci permette di capire che il corpo della fanciulla non è più un rigido corpo rappresentato nei ritratti di profilo del 1400, bensì il corpo di Cecilia Gallerani che si sta voltando o si è appena voltata verso qualcosa di esterno rappresentato da un fascio di luce diretto che le provoca anche un mezzo sorriso.

L’illuminazione diretta delle luci, la luce reale che illumina il volto può essere una simbolica allusione del suo sguardo e della sua attenzione rivolti a Ludovico, l’amante.

La tensione fisica e quindi psicologica della mano in movimento che in qualche modo rappresenta il concetto della sua mente attraverso la rappresentazione di una mano tesa in procinto di accarezzare un ermellino, simbolo di una purezza che lei non avrebbe mai raggiunto così facilmente quanto poteva fare con l’animale.

Particolare della mano

Isabella D’Este, una delle donne più celebri del tempo e appassionatissima di arte, chiese tramite una lettera a Cecilia stessa, di poter ammirare il suo ritratto eseguito dal grande Leonardo. Lei rispose dispiaciuta che era passato così tanto tempo da quando aveva quindici anni e che, nonostante le grandi abilità dell’artista, ormai non era più quella fanciulla. Dunque il ritratto, divenuto introspettivo sotto i pennelli di Leonardo Da Vinci, aveva un ché di ‘’inquietante’’ per quel tempo, proprio perché egli sapeva cogliere alla perfezione l’emozione, dare vita agli occhi in modo da esporre forse troppo la profondità dell’animo alla società attraverso pennelli e colori. Insomma gli artisti del Rinascimento crearono una sorta di reti simboliche attraverso i ritratti che ben presto diventarono di moda, un raffinato gioco di stili che non solo rivela significati profondi delle opere ma dell’anima stessa, ritratto come specchio dell’anima. 

A questo punto possiamo solo immaginarci chi prevarrà sul ritratto fisiognomico nel corso della Storia dell’Arte, basti vedere gli artisti che impararono dalla lezione di Leonardo quali Raffaello, Antonello da Messina e tanti altri ma il ritratto che parla di una persona in quanto essere unico non si è fermato al Cinquecento: qual è forse la prima cosa che oggi giorno ci descrive meglio sulle piattaforme sociali se non una nostra foto, e quindi, un nostro ritratto? 

La Dama con l’ermellino – dipinto originale
Chiara Bove
Chiara Bove
Laureanda all’Università Beni Culturali di Torino Dice di sé: Non penso che si possa spiegare l’esatta emozione di quando osservo un quadro, una scultura, un affresco o un monumento, forse mi sento viva, piena di luce e trasparenza. Allora siatelo anche voi; siate i girasoli di Van Gogh, la mano di Adamo di Michelangelo, la Venere di Botticelli, il sorriso della Gioconda. Siate vivi, siate arte.