Il crescione, che deve il nome all’odore acre e pungente
Il crescione è la terza Crucifera che, insieme con la coclearia e il rafano, completa la triade di rimedi naturali ricchi di vitamina C. Come le altre due specie già trattate nelle scorse settimane è, quindi, adatto a contrastare lo scorbuto. È stato catalogato come Nasturtium officinale R. Brown e, anche in questo caso, il nome latino costituisce una sorta di carta d’identità. Secondo Plinio, il genere Nasturtium deriva dall’espressione nasus tortius che vuol dire “ naso torto”. Questo perché il suo profumo pungente e piccante già all’epoca faceva… storcere il naso!
Secondo Lemery, invece, il nome volgare crescione proviene dal verbo latino crescere, perché la pianta cresce molto in fretta. Possiamo infatti seminarla in casa, in una spugnetta bagnata, e in breve ne mangeremo le foglioline in insalata. Quanto all’aggettivo officinale, che determina la specie, ci indica che già in epoca antica era impiegata per usi medicinali. Anzi, era considerata una panacea universale contro tutti i malanni. La coltivazione, tuttavia, è assai più tarda perché i documenti che attestano la presenza di colture commerciali di crescione risalgono al 1808.


Piccola storia del crescione
Persino il celebre storico greco del V secolo a.C. Senofonte cita nei suoi scritti il crescione. Ci riferisce che, durante le guerre persiane, i soldati greci lo mangiavano insieme con il pane per sopportare meglio la fatica e le lunghe marce. Il padre della medicina Ippocrate, suo contemporaneo, consigliava di cibarsi di crescione a chi soffriva di tosse e catarro. Nella Roma imperiale, Dioscoride lo riteneva un rimedio efficace contro i vermi e, soprattutto, come afrodisiaco!
Forse per questo motivo fu un po’ trascurato durante il Medioevo, in cui si privilegiavano i piaceri dello spirito a quelli della carne. Fu, al contrario, il beniamino dei medici illuministi del XVIII secolo, considerato eccellente per vincere rogna, calcoli renali, scorbuto e mestruazioni dolorose. Secondo il loro parere, depurava il sangue, aiutava la digestione e provocava lo starnuto.


La grave ingerenza della Fasciola hepatica
Uno dei motivi per cui il crescione, nella storia, ha goduto di alterne fortune è il pericolo di trovarvi gli embrioni incistati di un verme piatto. È chiamato Fasciola hepatica e vive come parassita nei dotti biliari degli erbivori. Se le deiezioni infette cadono sulle piante acquatiche lungo torrenti e ruscelli, le larve vi si stabiliscono ed è proprio il crescione l’ospite prediletto. Se non viene lavato accuratamente prima di essere mangiato in insalata, la fasciola attacca anche il fegato dell’uomo.
Provoca una malattia detta fascioliasi che lo distrugge progressivamente. I casi più gravi si riscontrano tra gli animali ma ci sono, purtroppo, autopsie di bambini in cui è stato appurato il decesso per tale parassita. Per fortuna oggi il problema è in parte superato perché il crescione che arriva sulle nostre tavole non è selvatico ma rigorosamente coltivato.


La cura della follia, in Irlanda
Il nome gaelico del crescione è Biolar e la massiccia presenza di greggi, nell’Isola di Smeraldo, ha spesso provocato fenomeni di fascioliasi tra la popolazione. Nonostante questo pericolo, in Irlanda è da sempre apprezzato. Non solo gustato in insalata, per compensare le carenze di vitamina C, ma anche in zuppe nutrienti, dal sapore delizioso.
Secondo la tradizione popolare, il crescione sarebbe l’unica pianta in grado di guarire la follia. Anzi, la ricetta era questa: per rinsavire, occorreva raggiungere la penisola di Dingle. Qui ci si recava presso un pozzo sacro chiamato Tobar na nGealt, se ne bevevano le acque e si mangiava il crescione cresciuto tra le pietre. Gli anziani garantivano che era un metodo infallibile, se si desiderava finalmente recuperare il senno perduto. Le ragazze, invece, ne usavano il succo per schiarire le lentiggini.


Una breve descrizione botanica
Si tratta di una pianta perenne, erbacea e acquatica, i cui fusti cavi vivono nell’acqua, con solo la parte terminale emersa. Predilige le acque correnti pure e cristalline e ha molte radici lunghe e biancastre. Raggiunge anche i 40 centimetri d’altezza ed è glabra e strisciante. Le foglie carnose sono sempreverdi, lucide e imparipennate, suddivise in foglioline ovali o tondeggianti (in numero che va da 3 a 9), a margine intero. Fra queste, quella terminale è più grande e cuoriforme.
I piccoli fiori, che sbocciano tra maggio e agosto, hanno 4 petali bianchi disposti a croce, come avviene per le Crucifere, e sono riuniti in grappoli. I frutti sono silique cilindriche che mostrano la volumetria di ogni seme. Esso è bruno-rossiccio, ovale e rugoso, perché ricoperto da minime depressioni. Per riconoscere il crescione in natura, soprattutto perché si tratta di specie alimentare, occorre assolutamente ricorrere alle chiavi botaniche, evitando di basarsi su semplici fotografie.


Il crescione: un alleato speciale per la nostra salute
La droga medicinale qui è rappresentata da tutta la pianta fresca. Per mantenerne i principi attivi, è importante infatti assumere il crescione crudo e appena raccolto. Essi sono notevoli: glicoside gluconasturzina, isosolfocianati, carotene, sostanze amare, iodio, ferro, fosforo, manganese, rame, zinco, arsenico e vitamine A, B, E, PP e soprattutto C. Jean Valnet lo definì alimento-medicamento, perché giova in una grande varietà di disturbi. È consigliato dai medici naturalisti in caso di linfatismo, anemia, scorbuto, stanchezza, affezioni polmonari, dermatosi (eczema e scabbia), reumatismi, ritenzione idrica, diabete e parassiti intestinali.
Alcuni studi clinici sperimentali, da approfondire (L. Binet), ne attesterebbero addirittura risultati positivi nella prevenzione dei tumori. In uso esterno, utilizzandone il succo come una lozione, stimola i bulbi piliferi del cuoio capelluto, contrastando l’alopecia. Il modo migliore per assumerlo è proprio quello di mangiarlo in insalata, verificando che provenga da coltivazioni controllate, per evitare la contaminazione con la fasciola. I più gustosi sono i getti che hanno già foglioline brunite, un po’ più scure, mentre i germogli giovani sono ancora un po’ insipidi.


Foto di copertina di Beverly Buckley da Pixabay
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