Un giallo storico: il ginestrino e il lotós sono la stessa pianta?
Il ginestrino vanta il primato di essere una delle erbe selvatiche più diffuse al mondo, perché si adatta bene alle diverse latitudini. Appartiene alla famiglia delle Papilionacee, come la ginestra e il ginestrone di cui vi abbiamo già parlato, ed è stato catalogato quale Lotus corniculatus L. Il suo nome latino richiama subito quello greco, sebbene di origine semitica, lotós. In realtà, nell’antica Grecia, molti fiori venivano definiti lotós: in genere, erano quelli caratterizzati dalla foglia trifogliata. Ma, fra questi, uno in particolare era noto per la sua fragranza e per l’ottimo sapore, se gustato in insalata. Persino Omero cantò tale lotós nell’Odissea e la sua descrizione lo fa coincidere con il nostro ginestrino.


I settanta nomi anglosassoni del ginestrino
Se da noi in Italia la chiamiamo ginestrino, appunto, mullaghera o trifoglio giallo, nelle Isole Britanniche questa pianta vanta oltre settanta nomi diversi. Ciò è dovuto al suo largo impiego come pianta da foraggio, paragonabile a quello dell’erba medica. Così, nelle varie contee britanniche e irlandesi, si è voluta omaggiare con curiosi epiteti. Ve ne elenchiamo di seguito alcuni tra i più frequenti, oltre al nome inglese di bird’s foot trefoil.
Bacon and eggs è legato al suo fiore giallo, spesso screziato di porpora, tanto da ricordare il rosso della pancetta sul giallo delle uova strapazzate. Ma è pure butter jags perché la forma dei suoi fiori assomiglia alle fette di burro. Ed è simile a scarpe munite di calze autoreggenti: da qui shoes and stockings. C’è chi invece lo paragona a stivali e scarpe, boots and shoes, o a sovrascarpe e zoccoli, pattens and clogs. E che ne dite di pantofole della nonna? Ebbene, il ginestrino è persino detto grandmother’s slippers. E siccome è anche un fiore da innamorati, non poteva mancare il nome love and wrangle, ossia amore e litigio.


Tradizioni irlandesi
In lingua irlandese, è chiamato crúibín cait, che significa piccola zampa di gatto. Grazie alla sua foglia trifogliata, il ginestrino è inoltre sospettato di essere la pianta scelta da san Patrizio per illustrare il mistero della Santissima Trinità. A dire il vero, per ogni picciolo le foglioline sono cinque: tre all’apice e due, ben distanziate dalle prime, alla sua ascella. Infine, sin dai tempi più remoti, il suo fiore splende nei riti del solstizio d’estate. Ancora oggi, in diverse contee, durante la messa vengono benedette le ghirlande di ginestrino, che i giovani indosseranno nella festa della notte, tra canti e danze.


Una breve descrizione botanica
A differenza di ginestra e ginestrone, è una piccola pianta erbacea (non supera i 40 centimetri d’altezza), con tratti di fusto legnoso solo alla base. La radice è a fittone, dalla quale spuntano numerosi rami angolosi, ascendenti o prostrati. Le foglie sono composte, come già anticipato, da 5 foglioline: quelle ascellari hanno quasi funzione di stipole. Le infiorescenze, che sbocciano tra aprile e settembre, sono ombrellette che recano sino a 7 fiori gialli, talvolta macchiati di rosso. Il calice è conico e campanulato, con denti triangolari, e la corolla è quella tipica delle papilionacee. I frutti sono legumi a due valve che, a maturazione, si torcono a elica liberando numerosi semi piccoli e ovoidi.


Studi scientifici ancora troppo scarsi
Il ginestrino è una di quelle erbe medicinali che paiono avere grandi virtù ma delle quali si sa ancora troppo poco. La droga è rappresentata dai fiori eppure non sono stati identificati del tutto i principi attivi. È stato accertata soltanto la presenza di composti cianogenetici, tra cui l’acido cianidrico. Restano validi gli studi clinici di Henri Leclerc, il medico fondatore della fitoterapia, che il secolo scorso impiegò il ginestrino per calmare vari disturbi nervosi. Ebbe buoni risultati nella cura della depressione, degli stati d’angoscia, dell’insonnia e della tachicardia nervosa.
Basandosi sull’esperienza di Leclerc e di Brel, Jean Valnet arrivò ad affermare che il ginestrino ha proprietà sedative analoghe a quelle della passiflora. La tisana si prepara ponendo due cucchiai rasi di fiori essiccati in mezzo litro d’acqua bollente. Si lascia in infusione per una decina di minuti, si filtra, si dolcifica e si beve lungo la giornata. Indipendentemente dal potere rilassante, è un surrogato del tè dal sapore squisito, come continuano a cantarci gli immortali versi di Omero.
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