Il libro dei morti: formule e riti dell’antico Egitto per l’aldilà.

E’ lungo 19 metri , e contiene formule, rituali magici, prove da compiere, riti di passaggio dal mondo dei vivi al mondo dei defunti. È il libro dei morti di Iuefankh, è un papiro geroglifico ed è custodito al Museo Egizio di Torino. In realtà il Libro dei Morti è una definizione moderna. Kitab el- Mayytun, letteralmente Libro del Morto, è, in realtà,la definizione araba impiegata dai profanatori delle necropoli faraoniche, per qualsiasi rotolo di papiro rinvenuto nelle tombe. Una definizione ripresa dai primi egittologi e, convenzionalmente, rimasta fino ad ora.

In realtà il vero titolo del papiro, usato dagli antichi Egizi è “Peret em heru“, Libro per uscire al giorno. Cioè la possibilità dello spirito del defunto, mediante il corretto impiego dei riti e delle formule, di uscire durante il giorno dal sepolcro. Una serie di passaggi che servivano, appunto come un passaporto per aldilà. Un concedere al defunto di poter passare tutta una serie di ostacoli per arrivare ai campi di Aaru e poi proseguire il suo viaggio nell’eternità.

esempio di un libro dei morti (su licenza common creative)

Le formule per annullare le colpe e modificare il karma

Erroneamente da qualcuno il libro dei Morti è indicato come il “Libro sacro” degli antichi Egizi, paragonabile ai veda, alla Bibbia o al Corano. Niente di tutto ciò. Pur essendo anch’esso considerato di ispirazione divina come i testi sacri, non è né un rituale religioso, né un rito funebre e, per assurdo, nemmeno un libro. E’ una miscellanea raccolta di formule, un insieme magico di incantesimi, la cui lettura mira al raggiungimento di ben definiti effetti. Infatti il defunto, prima ovviamente della sua dipartita, decideva se avere, per il suo corredo funebre, la versione integrale così lunga oppure i singoli capitoli, e anche in quale disposizione.

Il giusto impiego delle Formule (e “giusto” in egizio non ha nulla a che fare con “morale”) sottrae il defunto al suo karma, impedisce alle proprie colpe di essere considerate come tali. A supporto di tale tesi bisogna ricordare che in Oriente esiste tutto un elenco di delitti che possono essere impunemente compiuti dal brahmano. Ossia da colui che, avendo raggiunto la “conoscenza”, ha superato ogni vincolo terreno.

Il libro dei morti ma le formule proteggono anche i viventi.

Il nuovo Paradiso da conquistare da parte del defunto è alla fine di un cammino colmo di entità mostruose e estremamente crudeli: spiriti, larve di morti, vengono a contestare il passo al nuovo arrivato. A questo occorre sommare i pericoli fisici contro la mummia stessa: animali nocivi, vermi e serpenti, che possono corrompere il corpo e decretare la fine del “paradiso artificiale”. Ma ecco le formule magiche del Libro dei Morti giungere in soccorso. Vibrazioni di voce e segni grafici diventano le armi potentissime per disgregare e respingere le entità avverse, per circondare la mummia di una corazza difensiva invulnerabile. Inoltre, il libro dei Morti, secondo gli Egizi, serve proprio a dare le risposte giuste e opportune alle domande che saranno poste da Osiride quando il defunto si troverà nell’aldilà.

Ma il Libro dei morti è anche considerato un utile testo per i vivi. Infatti, nella Rubrica del Cap. XVIII si legge “… Colui che reciterà questo capitolo sopra di sé‚ sarà sano sulla terra e potrà avanzare nel fuoco senza che gli capiti alcunché di male, in verità“. E ancora “se avrà scritto questo testo su sé, esso lo farà prosperare… egli aumenterà nell’affetto del re e della sua corte…”. E, ancora più esplicitamente, la Rubrica del Cap. CXXXV indica che “Se conoscerà (questa formula) sulla terra, egli diventerà come Thoth, onorato dai viventi e
non soccomberà vittima nell’ira regale… ma sarà fatto avanzare sino a buona età”
.

Il giudizio Universale e la pesatura del cuore

Tutte le formule magiche sono comunque finalizzate al momento supremo. Il momento in cui il defunto si trova al cospetto di una sorta di Giudizio Universale, di fronte ad Osiride e alla dea della giustizia Maat per essere sottoposto al rituale della “pesatura del cuore” (psicostasia). Un piatto della bilancia per il cuore, l’altro per la piuma di struzzo di Maat ( simbolo geroglifico del suo nome). Se il piatto di cuore e la piuma si fossero eguagliati, le divinità si sarebbero convinte della rettitudine del defunto, che, da quel momento poteva così accedere alla vita eterna. Ma se il cuore fosse risultato più pesante della piuma di Maat, allora un mostro terrificante di nome Ammit con la bocca di coccodrillo, il davanti di un leone il dietro di un ippopotamo, l’avrebbe divorato distruggendone lo spirito. Il tutto sotto gli occhi scrupolosi del dio della scrittura Thoth. Pubblico silente del Giudizio Universale 42 divinità, simbolo dei “42 peccati” contro la giustizia e la verità.

papiro con disegni realtivi alla pesatura
rituale della pesatura del cuore presente nel Libro dei Morti

Da Champollion a Rosellini a Lepsius

Anche il cammino di traduzione è davvero complicato. Nel 1822 il francese Jean François Champollion riesce a capire la chiave per l’interpretazione dei geroglifici e nel 1826, il suo allievo e collega, Ippolito Rosellini, ottiene, presso l’Università di Pisa, la prima cattedra di Egittologia al mondo. Rosellini incontra poco dopo lo studioso tedesco Karl Richard Lepsius. E quest’ultimo, ormai affascinato da Rosellini e dall’Egitto, arriva a Torino, vede il papiro, e comprende che si tratta di una serie di formule unitarie. Lo studia e ne fa una suddivisione in 165 capitoli. Ancora oggi gli studiosi di egittologia che si applicano allo studio del Libro dei morti tengono questa sua traduzione come fonte principale.

il direttore del Museo Egizio di Torino spiega il libro dei morti
il direttore del Museo Egizio di Torino, Christian Greco spiega il Libro dei Morti

Come arriva a Torino il Libro dei morti?

L’arrivo del Libro dei Morti a Torino, come di numerosissimi altri manufatti e reperti è a opera del canavesano Bernardino Drovetti, collezionista, esploratore e diplomatico. Diventato, a soli 25 anni, Sottocommissario alle Relazioni Commerciali ad Alessandria d’Egitto e poi Console Generale di Francia in Egitto.  Questo gli dà modo di accedere a tutte le collezioni dei reperti dell’Antico Egitto diventando di lì a poco, ricercatoree collezionista di antichità. In molti cercano di comprare le sue opere. Ci riesce uno solo, Carlo Felice re di Sardegna e duca di Savoia. Da quel momento nasce il Museo Egizio e il primo a prendersi cura della collezione è Cordero di San Quintino, il primo direttore del Museo egizio di Torino.

C’è un aneddoto curioso che racconta di una disputa tra Champollion e Cordero di San Quintino. Il primo voleva tagliare il papiro in diverse sezioni per permettere una visione più agevole sotto vetro, il secondo, invece, si batte per mantenerlo integro. E’ solo grazie a Cordero di San Quintino, primo direttore dell’Egizio,quindi, che ancora oggi possiamo ammirare tutto lo splendore del papiro nei suoi 19 metri di lunghezza.

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Monica Col
Monica Col
Vicedirettore di Zetatielle Magazine e responsabile della sezione Arte. Un lungo passato come cronista de “Il Corriere Rivoli15" e “Luna Nuova”. Ha collaborato alla redazione del “Giornale indipendente di Pianezza", e di vari altri giornali comunali. Premiata in vari concorsi letterari come Piazza Alfieri ( 2018) e Historica ( salone del libro 2019). Cura l’ufficio stampa di Parco Commerciale Dora per la rassegna estiva .Cura dal due anni la promozione della Fondazione Carlo Bossone,. Ha curato per quattro anni l'ufficio stampa del progetto contro la violenza di genere promosso da "Rossoindelebile", e della galleria d’arte “Ambulatorio dell’Arte “. Ha curato l'ufficio stampa e comunicazione del Movimento artistico spontaneo GoArtFactory per tre anni. Ha collaborato come ufficio stampa in determinati eventi del Rotary distretto 2031. Ė Presidente dell 'Associazione di promozione sociale e culturale "Le tre Dimensioni ", che promuove l' arte , la cultura e l'informazione e formazione artistica in collaborazione con le associazioni e istituzioni del territorio. Segue la comunicazione per varie aziende Piemontesi. Dice di sé: “L’arte dello scrivere consiste nel far dimenticare al lettore che ci stiamo servendo di parole. È questo secondo me il significato vero della scrittura. Non parole, ma emozioni. Quando riesci ad arrivare al cuore dei lettori, quando scrivi degli altri ma racconti te stesso, quando racconti il mondo, quando racconti l’uomo. Quando la scrittura non è infilare una parola dietro l’altra in modo armonico, ma creare un’armonia di voci, di sensazioni, di corse attraverso i sentimenti più intensi, attraverso anche la realtà più cruda. Questo per me è il vero significato dello scrivere".