La verga d’oro, la cura miracolosa dei saraceni che rivela tesori nascosti

La verga d’oro, tesoro che i crociati inglesi portarono in patria dalla Terra Santa

La verga d’oro era sconosciuta nelle Isole Britanniche, prima che i crociati di ritorno dalla Terra Santa ne lodassero le virtù. Strabiliati, riferirono in patria che una radice misteriosa era in grado di guarire qualsiasi ferita che i soldati saraceni si fossero procurati in battaglia. Potete ben immaginare che una notizia del genere, in un’epoca piena di guerre, duelli e armi da taglio, fece scalpore. Tutti volevano la radice di questa pianta esotica: si scoprì persino che faceva sparire i lividi in una sola notte. Così le ladies inglesi non se la facevano mai mancare e l’applicavano sul viso, dopo i ceffoni dei nobili mariti maneschi.

Veniva pertanto comprata dai nemici saraceni quasi a peso d’oro. Il prezzo di quest’erba, che cresceva solo in Terra Santa, per secoli si mantenne pari a mezza corona l’oncia. Finché, in un bel giorno per gli inglesi e in un altrettanto brutto giorno per i saraceni, qualcuno trovò piante di verga d’oro pure a Londra. Anzi, cresceva spontanea e rigogliosa nella zona di Hampstead Heath. E non solo lì: era specie comune tanto in Gran Bretagna quanto in Irlanda. Bastava soltanto scovarla! Ciò avvenne nel XVI secolo e, in una sola notte, il prezzo della sua radice crollò da mezza corona a un centesimo l’oncia!

pianta della verga d'oro in un campo inglese

An tSlat Óir: la verga d’oro in Irlanda

Nell’Isola di Smeraldo, al contrario, la verga d’oro godeva d’ottima fama già dai tempi antichi. Era ed è An tSlat Óir, ossia l’asta d’oro che svetta in mezzo alla campagna con i suoi fiori dal giallo intenso. Le foglie di questa pianta, punte da insetti per inserirvi larve, producono spesso galle. Gli irlandesi erano convinti che tenerne una in tasca li avrebbe protetti dai reumatismi, almeno sino a quando la larva all’interno fosse sopravvissuta. Consideravano la radice un buon rimedio contro la calvizie e sostenevano che annusarne i fiori fosse motivo d’ispirazione per poeti e pittori. Uno stelo fiorito di verga d’oro, poi, era davvero utile a far scoprire tesori nascosti a chi lo impugnava saldamente in mano.

primo piano  di foglie

Una sommaria descrizione botanica

La verga d’oro appartiene alla famiglia delle Composite ed è stata catalogata come Solidago virgaurea L. Il suo nome deriva dal verbo latino solidare che significa rendere la salute a chi soffre. Cresce in quasi tutta Europa e in Medio Oriente, in prati, campi e boschi soleggiati ed è anche specie montana. È una pianta erbacea perenne, che raggiunge la ragguardevole altezza di un metro. Dal rizoma bruno e cuneiforme, che tuttavia ha polpa biancastra, si dipartono numerosi fusti eretti, talvolta ramificati.

Le foglie della rosetta basale o radicali sono oblunghe e dentellate; quelle invece poste lungo il fusto sono lanceolate e dal margine quasi intero. Le infiorescenze sono capolini che sbocciano tra luglio e ottobre al vertice del fusto e dei rami. Sono composte da flosculi tubolosi e da corolle ligulate più esterne: in entrambi i casi, hanno il caratteristico colore giallo oro. I semi sono piccoli acheni bruni sormontati da un pappo di setole bianche: è un particolare ricorrente in diverse Composite.

verga d'oro fiorita con fiori gialli su ramo in primo piano

Principi attivi e impiego fitoterapico

La droga medicinale è rappresentata dalle sommità fiorite, che contengono flavonoidi, olio essenziale, acido salicilico, inulina (foglie), mucillagini, tannini e saponine. Questa ricchezza di principi attivi rende la pianta assai versatile. Giova, infatti, come diuretico, antisettico, sedativo (specie delle vie urinarie), astringente, capace di eliminare tossine e acido urico e di drenare il fegato. La tisana è consigliata pertanto a chi soffre di valori alti di urea e di colesterolo, di infezioni alle vie urinarie e di gotta. È prescritta dai medici naturalisti anche in caso di idropisia, di epatismo, di enterocoliti, di calcoli renali, di oliguria, di albuminuria e di eczema.

Il decotto riportato da Jean Valnet prevede di versare una manciata d’erba sminuzzata in un litro d’acqua. Si fa bollire per un paio di minuti e si lascia infusione per altri dieci minuti, prima di filtrare e dolcificare. Si beve lungo la giornata come se fosse un tè amarognolo ma prezioso per la nostra salute. Ci svela davvero un tesoro: non quello nascosto, che cercavano nel campo gli amici irlandesi, bensì quello metaforico, assai più importante, del nostro benessere.

rami verdi con tantissimi fiori gialli

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Maura Maffei
Maura Maffei
Maura Maffei è da trent’anni autrice di romanzi storici ambientati in Irlanda, con 17 pubblicazioni all’attivo, in Italia e all’estero: è tra i pochi autori italiani a essere tradotti in gaelico d’Irlanda (“An Fealltóir”, Coisceim, Dublino, 1999). Ha vinto numerosi premi a livello nazionale e internazionale, tra i quali ci tiene a ricordare il primo premio assoluto al 56° Concorso Letterario Internazionale San Domenichino – Città di Massa, con il romanzo “La Sinfonia del Vento” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2017) e il primo premio Sezione Romanzo Storico al Rotary Bormio Contea2019, con il romanzo “Quel che abisso tace” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2019). È a sua volta attualmente membro della Giuria del Premio Letterario “Lorenzo Alessandri”. Il suo romanzo più recente è “Quel che onda divide” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza 2022) che, come il precedente “Quel che abisso tace”, narra ai lettori il dramma degli emigrati italiani nel Regno Unito, dopo la dichiarazione di Mussolini alla Gran Bretagna, e in particolare l’affondamento dell’Arandora Star, avvenuto il 2 luglio 1940, al largo delle coste irlandesi. In questa tragedia morirono da innocenti 446 nostri connazionali internati civili che, purtroppo, a distanza di più di ottant’anni, non sono ancora menzionati sui libri di storia. Ha frequentato il corso di Erboristeria presso la Facoltà di Farmacia di Urbino, conseguendo la massima votazione e la lode. È anche soprano lirico, con un diploma di compimento in Conservatorio. Ama dipingere, ha una vasta collezione di giochi di società e un’altrettanto vasta cineteca. È appassionata di vecchi film di Hollywood, quelli che si giravano tra gli Anni Trenta e gli Anni Sessanta del secolo scorso. Tra i registi di allora, adora Hawks, Leisen e Capra. Mette sempre la famiglia al primo posto, moglie di Paolo dal 1994 e madre di Maria Eloisa.