La bardana e il segreto della malattia di Enrico III di Valois

La bardana ebbe l’onore di guarire un re eppure, se questo non fosse stato annotato dagli zelanti medici di corte, tutto sarebbe passato sotto silenzio. Era qualcosa di cui, all’epoca, non si poteva parlare.

Enrico III di Francia, tra devozione e peccati

Il re in questione è Enrico III di Francia, ultimo sovrano della dinastia Valois, quarto figlio di Enrico II e della terribile Caterina de’ Medici. Dopo la morte dei fratelli maggiori e dopo essere stato re di Polonia con poco entusiasmo, Enrico cinse la corona di Francia nel 1574. È stato un personaggio controverso, tra luci e ombre. Sotto il suo breve regno, ci furono ben quattro guerre di religione, tra cattolici e ugonotti, e ciò non lo fece amare dal popolo. Molto religioso ma di una devozione cupa, ossessionata dal peccato, pare che sia stato il primo a usare il teschio come gioiello. Portava spille e bottoni con quest’effigie.

Dopo aver respinto sdegnato la proposta della madre, che lo voleva consorte di Elisabetta I Tudor, ebbe il coraggio di sposarsi per amore. Scelse la bella Luisa di Lorena-Vaudémont, che non era ricca né di lignaggio pari al suo. L’amò profondamente per tutta la vita; tuttavia, secondo la moda del tempo, non per questo le fu sempre fedele. Incline alle feste e ai piaceri della carne, vizi di cui subito si pentiva e per i quali correva a confessarsi, ebbe molte amanti.

Re Enrico III e la regina Luisa di Lorena-Vaudemont particolare di un arazzo, 1580 circa. Firenze, Galleria degli Uffizi

Per rispetto alla regina, non volle mai una favorita ufficiale eppure la castità non fu certo una sua virtù. Al punto che contrasse la sifilide, malattia venerea che, soprattutto per un re cattolico, doveva rimanere assolutamente segreta. E qui entra in gioco la nostra bardana, perché Enrico III fu curato con abbondanti decotti preparati con la radice e guarì del tutto. D’accordo, morì giovane, a soli 37 anni, ma non fu per questa malattia, bensì per l’attentato del frate domenicano fanatico Jacques Clément, che lo pugnalò. E questa volta la bardana non riuscì a operare un secondo miracolo.

La bardana, secondo gli antichi

Pianta dedicata a Venere, la troviamo citata nelle Bucoliche di Virgilio. Il poeta si preoccupa che, con le sue larghe foglie, soffochi le erbe buone da foraggio eppure ne vanta le virtù salutari. Entrava persino nella composizione di filtri d’amore per sedurre donne restie a qualunque corteggiamento. Gli antichi romani la definivano “pelosa come il manto dell’orso”. Per questo motivo, il naturalista Linneo che per primo la catalogò nel XVIII secolo, la chiamò Arctium lappa L., dal greco arktos, ossia orso. I medici medioevali ne facevano ampio uso in caso di gotta, di scottature, di morsi di cani arrabbiati o come antidoto al veleno dei serpenti.

pianta con vari fiori in evidenza su un ramo

Gli incantesimi irlandesi

I capolini della bardana, che appartiene alla famiglia delle Composite, sono assai caratteristici perché presentano uncini che si attaccano facilmente alle vesti. Da sempre i bambini giocano a lanciarsi questi capolini, detti lappole, come se fossero proiettili in agresti battaglie. In Irlanda, la tradizione vuole che siano i leprecauni, i locali folletti, a gettarli contro gli ignari viandanti, rendendoli vittime di un incantesimo. Così, se rientrando a casa, si nota che ci sono lappole di bardana appese ai pantaloni o all’orlo della gonna, conviene subito staccarle. Probabilmente si sono raccattate camminando e sono del tutto innocue, ma chi potrebbe escludere che le abbia scagliate un leprecauno dispettoso?

Tuttavia i contadini irlandesi usano queste lappole anche contro l’artrosi cervicale, avvolgendole in una sciarpa che si mettono intorno al collo. E con le radici ridotte in poltiglia preparano cataplasmi da applicare sulla tigna. Il nome gaelico dato a questa pianta è An Cnádán mór, in cui il sostantivo cnádán sottolinea l’azione irritante dei capolini uncinati. Il nome inglese è invece burdock (che allude al riccio delle castagne), ma è anche popolarmente chiamata beggar’s buttons (i bottoni del mendicante).

Una piccola descrizione botanica

La bardana ha come habitat ideale il margine dei sentieri, per questo le lappole si attaccano volentieri ai nostri pantaloni o al pelo degli animali. Ciò favorisce, infatti, la dispersione dei semi bruni e maculati. È una pianta erbacea che può raggiungere anche il metro e mezzo d’altezza. Ha larghe foglie basali cordate-ovate, molto grandi, la cui dimensione diminuisce lungo il fusto rossiccio. I capolini uncinati recano flosculi a cinque lobi ciascuno, dall’intenso colore rosso porpora. Sbocciano tra luglio e novembre. La radice è un rizoma carnoso e verticale, non facile a essere divelto dal terreno.

Principi attivi e studi clinici

È senz’altro una specie blasonata, nel senso che nel corso dei secoli tanti medici e ricercatori si sono dedicati a studiarla. Cavalliro, Osborn, Segonzac e Vincent ne evidenziarono le proprietà microbicide, per un principio antibiotico simile alla penicillina. Tale principio contrasta i batteri Gram-positivi, come lo streptococco o lo stafilococco aureo.

Contiene inoltre inulina, olio essenziale, mucillagini, lappatina, fitosteroli, acido tannico, acido clorogenico (che agisce sulla cute) e sali di potassio e di magnesio. Nel 1918 un interessante studio del dottor Savini verificò l’utilità della bardana come ottimo diuretico e regolatore delle secrezioni epatiche. E nel 1935 Piotrowski cominciò a studiarla quale ipoglicemizzante.

foglie di bardana su letto di terra
foglie di bardana

Il salutare decotto di bardana

Per questa specie, la droga medicinale è costituita dal rizoma, anche se si utilizzano come medicamento pure le foglie. In entrambi i casi, è da preferirsi la pianta fresca a quella essiccata, perché più attiva e ricca di mucillagine. Il decotto si prepara facendo bollire una manciata generosa di radice spezzettata in mezzo litro d’acqua per una ventina di minuti. Si lascia in infusione per un quarto d’ora, si filtra, si dolcifica e, come sempre, si beve lungo la giornata come se fosse un tè.

Giova come depurativo generale, come diuretico che elimina l’acido urico (gotta) e in tutte le affezioni della pelle: acne, eczemi, tigna, dermatosi, foruncoli e piaghe. I medici naturalisti lo hanno usato per contrastare il morbillo, i reumatismi, la sifilide, le adeniti, le ulcere e il diabete. In uso esterno, le foglie fresche tritate si possono applicare come cataplasma sulla pelle. E il decotto non dolcificato rappresenta una lozione per il cuoio capelluto, contro la caduta dei capelli e per regolare la produzione di sebo.

bardana secca in campo ingiallito dall'arsura
bardana secca

Un’insolita, ghiotta verdura 

In Giappone, la bardana viene coltivata come ortaggio perché sono molto apprezzate le sue radici bollite e aromatizzate. Ma anche in Europa, nelle campagne, in passato se ne mangiavano i giovani fusti, privati della scorza rossastra coriacea. Il loro sapore ricorda quello del carciofo o del cardo e sono buonissimi conservati sott’aceto. Si possono cuocere come gli asparagi o grattugiare crudi in insalata. Da provare, nella primavera che verrà.

Maura Maffei
Maura Maffei
Maura Maffei è da trent’anni autrice di romanzi storici ambientati in Irlanda, con 17 pubblicazioni all’attivo, in Italia e all’estero: è tra i pochi autori italiani a essere tradotti in gaelico d’Irlanda (“An Fealltóir”, Coisceim, Dublino, 1999). Ha vinto numerosi premi a livello nazionale e internazionale, tra i quali ci tiene a ricordare il primo premio assoluto al 56° Concorso Letterario Internazionale San Domenichino – Città di Massa, con il romanzo “La Sinfonia del Vento” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2017) e il primo premio Sezione Romanzo Storico al Rotary Bormio Contea2019, con il romanzo “Quel che abisso tace” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2019). È a sua volta attualmente membro della Giuria del Premio Letterario “Lorenzo Alessandri”. Il suo romanzo più recente è “Quel che onda divide” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza 2022) che, come il precedente “Quel che abisso tace”, narra ai lettori il dramma degli emigrati italiani nel Regno Unito, dopo la dichiarazione di Mussolini alla Gran Bretagna, e in particolare l’affondamento dell’Arandora Star, avvenuto il 2 luglio 1940, al largo delle coste irlandesi. In questa tragedia morirono da innocenti 446 nostri connazionali internati civili che, purtroppo, a distanza di più di ottant’anni, non sono ancora menzionati sui libri di storia. Ha frequentato il corso di Erboristeria presso la Facoltà di Farmacia di Urbino, conseguendo la massima votazione e la lode. È anche soprano lirico, con un diploma di compimento in Conservatorio. Ama dipingere, ha una vasta collezione di giochi di società e un’altrettanto vasta cineteca. È appassionata di vecchi film di Hollywood, quelli che si giravano tra gli Anni Trenta e gli Anni Sessanta del secolo scorso. Tra i registi di allora, adora Hawks, Leisen e Capra. Mette sempre la famiglia al primo posto, moglie di Paolo dal 1994 e madre di Maria Eloisa.