L’ontano e il mese di Fern
Con l’ontano, siamo giunti al quarto mese dell’antico calendario arboreo irlandese. Un tempo si chiamava Fern (oggi in gaelico è fearnóg) e simboleggiava il mese lunare compreso tra il 18 marzo e il 14 aprile. La sua iniziale era la consonante F nell’alfabeto irlandese, che derivava anch’esso dagli alberi scelti per il calendario arboreo. I celti lo apprezzavano perché cresce spesso lungo i corsi d’acqua, elemento sacro nella loro cultura. Ne usavano la corteccia, assai tannica, per conciare le pelli, e come pianta tinctoria ricavavano dalle sue parti diversi colori. La corteccia tingeva i tessuti di rosso fiamma, ma anche di nero, quando s’iniziò a metterla a macero con la limatura di ferro. I fiori conferivano alle stoffe le primaverili nuances del verde e i ramoscelli quelle autunnali del marrone e della terra.


Altre tradizioni irlandesi
Gli irlandesi ritenevano che il suo legno fosse il migliore per conservare il latte: realizzavano con esso secchi, vasi, cucchiai, piatti e altri utensili domestici. Mettevano le sue fronde nelle stalle, perché tenevano lontani dagli animali insetti fastidiosi come i tafani. In camera da letto, invece, cospargevano i pavimenti di foglie, che attirano le pulci e che le intossicano, per liberarsi degli sgraditi parassiti. Persino il Mattioli, tanti secoli dopo, confermerà questa strana pratica! Bruciavano, infine, i suoi rami per affumicare il pesce.
L’ontano e la paura, nel mondo germanico
Ben diversa era la reputazione che accompagnava l’ontano in centro Europa e in alcune zone della Gran Bretagna (Somerset). Era infatti associato al male, quale albero che ospita il demonio. Ciò è dovuto a una sua caratteristica particolare. Quando si taglia un ontano, il suo legno giallastro stilla gocce di linfa arancione, che ricorda il colore del sangue. A quella vista, i boscaioli si spaventavano, temendo che la pianta fosse posseduta da uno spirito diabolico. Nelle leggende germaniche, tale spirito era chiamato Erlkönig. E la prudenza suggeriva di non attraversare mai un bosco di ontani, dopo il tramonto, perché si rischiava di non uscirne e di sparire nel nulla.


Un legno che non marcisce in acqua
Presso gli antichi, l’ontano non godeva la fama di pianta medicinale. Al contrario, era un apprezzato legno da costruzione, anche perché si tratta di un albero a rapida crescita. Già i popoli delle palafitte, nell’Età del Bronzo, lo sceglievano, per costruire i loro villaggi. Perché, sebbene non sia particolarmente duro o resistente, ha la straordinaria virtù di non imputridire nell’acqua. Nel De Architectura, Vitruvio (I secolo a. C.) ci svela che gli edifici di Ravenna sono eretti su pali di ontano. E Plinio scrisse che “in un terreno paludoso, l’ontano è eterno e regge qualunque peso”. Nel XVI secolo Mattioli cita i veneziani, che lo tengono in grande considerazione, per realizzare le fondamenta dei loro palazzi. Il centro di Venezia poggia su pali di ontano, a cominciare dal celebre ponte di Rialto.


Dai tacchi delle scarpe ai pioli delle scale
Questa sua virtù di non marcire a contatto con l’acqua o in ambienti molto umidi ha reso il legno di ontano assai ricercato per svariati impieghi. Se ne sono ricavati zoccoli per lavorare in campagna ma pure tacchi per le scarpe, scale esposte alle intemperie e sottili mole d’orologeria. Non solo: secondo quanto riportò Ottaviano Targioni Tozzetti nel suo Dizionario botanico italiano (1809) anche la pianta viva contrasta l’umidita. Nei terreni paludosi, le sue radici contribuiscono a bonificarli e a impedire l’erosione dei bacini fluviali.
Il severo aspetto dell’ontano nero
Nell’emisfero boreale si contano una trentina di specie di ontano, tutte appartenenti, naturalmente, alla famiglia delle Betulacee. Noi abbiamo scelto di proporvi l’ontano nero o alno, catalogato come Alnus glutinosa Gaertn., perché è il più diffuso. Cresce lungo i corsi d’acqua o nei boschi umidi dell’intera Europa. Può raggiungere i 25 metri d’altezza e ha una forma conica, con rami disposti a intervalli regolari. Si trova di rado coltivato come specie da giardino, per l’aspetto assai austero, cupo e poco appariscente. La corteccia è bruna e ruvida e le radici presentano tubercoli con la proprietà di fissare l’azoto. Le foglie sono alterne e arrotondate: alcune possono essere anche “laciniate”, ossia suddivise in lobi appuntiti e allungati. I fiori, che sbocciano in primavera, sono amenti femminili e maschili e crescono sullo stesso albero: globosi quelli femminili (diventano come pignette legnose), penduli quelli maschili. I frutti sono piccini e piatti, dotati di un’ala che permette loro di galleggiare sull’acqua: restano contenuti nella loro “pigna” per tutto l’inverno.


Le alterne fortune in fitoterapia
Oggi, come nell’antichità, l’ontano ha uno scarso impiego medicinale. Godette di maggior fortuna nel Medioevo, quando le foglie lenivano i piedi gonfi dei pellegrini e annullavano la fatica dei lunghi viaggi. In epoca rinascimentale, Mattioli ne consigliava le foglie tritate per sgonfiare bubboni e per placare le infiammazioni. Nel 1776, Murray sosteneva che scaldarne le foglie e applicarle sul seno facesse scomparire il latte e guarisse le mastiti. A cavallo tra XVIII e XIX secolo, il medico Jean François Roussille de Chamseru evidenziò le proprietà febbrifughe della corteccia, simili a quelle di salice e china. Darluc e Tournefort documentarono l’abitudine che avevano i montanari delle Alpi francesi di sdraiarsi nudi in un letto di foglie, coprendosi l’intero corpo. Lo facevano per sudare e per curare i dolori reumatici.


Principi attivi e tisane
La corteccia di ontano contiene tannino, alnulina, protoalnulina, emodina e minerali vari. Il decotto si prepara ponendo due cucchiai rasi di droga in mezzo litro d’acqua, si fa bollire per una decina di minuti e si lascia in infusione per un buon quarto d’ora. Si filtra, si dolcifica e si beve lungo la giornata, proprio come se fosse un tè. Giova per abbassare la febbre e, non zuccherato, per disinfettare con gargarismi la bocca, le gengive, la gola e le tonsille. Anche le foglie si impiegano in fitoterapia e i principi attivi isolati sono, in questo caso, glutano, glutinol e saccarosio. Il loro cataplasma lenisce gli ascessi e gli ingorghi lattei. Il decotto, che si prepara in maniera analoga a quello della corteccia, si versa nei pediluvi, per contrastare il sudore e la stanchezza dei piedi. Come ben sapevano i pellegrini medioevali, che si mettevano in viaggio verso Roma o verso Santiago di Compostela.