Chi trova un lavoro trova un tesoro

Il lavoro nobilita l’uomo?

L’amore e la condivisione sono le due gambe di un tavolo che reggono ogni rapporto. Le altre due sono la fiducia e il rispetto in ogni rapporto interpersonale. Anche sul lavoro.

Partiamo dalla scritta sulla porta: il vecchio “ufficio personale” è stato ribattezzato “ufficio risorse umane”.

Che tristezza… Al di là che siamo già numeri ovunque, essere chiamati “risorse umane” è spersonalizzare totalmente l’essere umano dal suo ruolo di lavoratore. E’ mettere già solo con due parole una distanza enorme tra l’azienda e il suo personale, annullando così ogni possibilità di interazione emotiva tra le parti.

Nella psicologia umana, la parola “risorsa” viene percepita come da vocabolario “Qualsiasi fonte o mezzo che valga a fornire aiuto, soccorso, appoggio, sostegno, specie in situazioni di necessità”. La parola “umana”, viene usata per distinzione dalle altre risorse (cioè quelle energetiche, ambientali, economiche, eccetera), e si intende propria dell’uomo, in quanto rappresentante della specie. E qui ci fermiamo, perché il mondo del lavoro ha deciso che invece non va considerata secondo la “natura umana”, che è fatta di un infinito complesso di doti e sentimenti solitamente positivi, che si ritengono propri dell’uomo e lo distinguono dalle bestie.

Si, capo!

Si presentano così delle situazioni tipo, ormai comuni in tutti gli ambienti professionali, che hanno riportato le condizioni dei lavoratori similmente a quelle della seconda rivoluzione industriale di fine ‘800, dove, malgrado il progresso, la condizione psicologica dell’operaio nei confronti del proprio lavoro e dei suoi superiori era di assoluta sudditanza e, possibilmente, condizionata dalla eterna paura di perdere quella condizione di privilegio che è l’avere un lavoro. Ma l’Italia non era “una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”, dove “la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”?

Quello di cui ci si dimentica, o non è più così chiaro per tutti, è che l’ufficio del personale è un servizio rivolto al lavoratore, non contro il lavoratore, non è un organo di controllo, ma un intermediario tra lui e l’impresa, e dovrebbe lavorare in equilibrio, nell’intento di far incontrare le esigenze di entrambi.

Nel tempo si è lavorato di punta e scalpello sulle consapevolezze dell’essere umano, al fine di renderlo fragile e insicuro, trasmettendo, attraverso ogni forma multimediale, messaggi sempre meno subliminali e sempre più espliciti, su qual è il format ideale di comportamento da tenere sul posto di lavoro.

Un sistema educativo distribuito in forma capillare. Non mi credete? Allora prima di andare avanti guardate questo video.

IL lavoro al giorno d’oggi

Sulla scia del film “Il sapore del successo”, anche l’Italia ha il suo esempio di  “si Chef!!!”, solo un po’ diverso… seguitissimo dai più adolescenti, assistiamo alla conduzione di una cucina in perfetto stile “Full Metal Jacket”, dove il “Masterchef” urla, insulta, fa volare i piatti o li spacca per terra e sui muri, urla naso a naso e con “stai zitto!!!!” non permette la minima replica… arriva perfino a prendere a calci nel deretano il suo collaboratore, e questo anziché scandalizzare, fa sorridere. Ma la cosa peggiore è la mancanza di reazione della “vittima”.

La domanda che sorge spontanea è: Perché?

Perché non reagisce (e, ovviamente, non intendo prendendo a pugni lo chef, ma rivendicando il giusto rispetto)?

Perché la gente guarda questo programma? Perché tacitamente approva questo modus operandis di leadership (chiedo scusa per l’uso improprio della parola, poiché sarebbe meglio dire “comando”)? Perché al posto di indignarsi, la gente sorride?

Sono cresciuta a pane e dignità, e a volte il pane mancava, sono cresciuta tra gli anni ’70 e gli ’80, a suon di “I want to break free” e “Freedom”, e come tanti di voi che mi state leggendo, ho visto muri crollare e studenti fermare carri armati. Allora cos’è che non funziona, o meglio, non funziona più?

Al di là delle considerazioni socio psicologiche che si possono fare sulle perversioni umane e la gratificazione derivante dalla Schadenfreude, cioè il piacere che si prova dalle sofferenze altrui, il problema è che nel tempo sono riusciti a infondere la convinzione che è così che deve funzionare, che chi dà il lavoro comanda e chi lavora subisce.

Comandare o coordinare?

La differenza tra il capo e il leader è netta e sostanziale, uno è seguito perché incute paura, l’altro perché ispira rispetto e una spontanea collaborazione, che passa attraverso il coinvolgimento personale e la passione per il proprio lavoro.

Pur tanto che per me abbia senso solo così, mi rendo conto che il più delle volte non è così, e il sentimento comune è che se trovi un lavoro devi gridare al miracolo e accettare ogni condizione non prevista dal CCNL, compreso il condizionamento psicologico, ma soprattutto, che di tutto ciò devi, e dico, devi, gioirne, in puro Fantozzi’s style. Risultato: una sorta di sindrome di Stoccolma collettiva trasmissibile geneticamente, culturalmente e socialmente, sta progressivamente contagiandoci e chi non vuole abbassare la testa è destinato a star fuori dal sistema o andare all’estero.

E’ così che vanno a farsi benedire tutti i principi e i diritti del lavoratore, tra cui anche quello di essere malati, perché se “mi metto in mutua, poi cosa succede…”…Niente. Ti curi e basta! Grazie a Dio esiste ancora questo diritto, anche se stanno lavorando sodo per abrogarlo.

Ma poiché abbiamo uffici e reparti d’azienda pieni di eroi, sono tutti a lavorare con la febbre a 39 e il virus intestinale, contenti di diffonderlo, gli uni, e di farsi contagiare, gli altri, e se ti lamenti, ci sarà chi ti ricorderà di sorridere, prendendoti a calci nel culo.

Il tutto per quattro lire…ops…euri, ma questa è un’altra storia.

#buonavita

Tina Rossi
Tina Rossi
(a.k.a. Fulvia Andreatta) Editrice. Una, nessuna e centomila, il suo motto è “è meglio fingersi acrobati, che sentirsi dei nani” Dice di sé:” Per attimi rimango sospeso nel vuoto,giuro qualche volta mi sento perduto, io mi fido solo del mio strano istinto, non mi ha mai tradito, non mi sento vinto, volo sul trapezio rischiando ogni giorno, eroe per un minuto e poi...bestia ritorno...poi ancora sul trapezio ad inventare un amore magari...è solo invenzione, per non lasciarsi morire...”