Il farfaro, il salice, la polmonaria e il mandorlo per il mese più corto dell’anno
Il farfaro, insieme con il salice, la polmonaria e il mandorlo, nell’almanacco medioevale era tra le piante più caratteristiche del mese di febbraio. Del salice vi abbiamo già parlato, a proposito del calendario arboreo irlandese, e potete senz’altro ritrovare l’articolo qui sulle pagine di ZetaTiElle Magazine. Vogliamo soltanto aggiungere che nel Medioevo i suoi fiori, detti amenti, annunciavano l’arrivo della primavera.
L’infuso degli amenti e il vino aromatizzato con corteccia di salice erano già usati all’epoca per contrastare la febbre. Una splendida illustrazione antica degli amenti di salice si trova nel codice miniato da Jean Bourdichon Le Grandes Heures d’Anne de Bretagne (inizio XVI secolo). Riguardo invece al mandorlo e alla polmonaria, saranno protagonisti degli articoli che vi proporremo nelle due prossime settimane. Quindi torniamo senza indugio a dedicarci al farfaro.


Il farfaro e la festa della Candelora
L’oro dei fiori di farfaro sboccia tra i primi, a illuminare i prati. Compare già al principio di febbraio ed è per questo, oltre che per il giallo brillante, che nel Medioevo era associato alla prima festa del mese. Nel calendario liturgico, infatti, il 2 febbraio si celebra la Purificazione della Vergine Maria. Essa segue di quaranta giorni il Natale: secondo la legge ebraica, era il tempo stabilito per presentare i neonati al tempio. La festa cristiana sostituì due ricorrenze pagane che celebravano entrambe la fine ormai prossima dell’inverno: i Lupercalia romani e Imbolc dei celti d’Irlanda.


Il nome popolare di Candelora deriva dal rito di benedire le candele, che vengono poi accese nelle case per accompagnare la preghiera della famiglia. La festa fu ufficialmente istituita nel 1372 da Gregorio XI ad Avignone, che era allora sede papale. Fu dunque a partire dalla Francia che se ne diffusero le usanze medioevali. Oltre alle candele, venivano benedette anche le crêpes dorate che avevano la forma del sole e che, dopo la messa, si mangiavano come pasto principale. L’altare delle chiese era spesso addobbato con fiori di farfaro, sia per il loro prematuro sbocciare sia per il giallo intenso, simbolo raggiante di luce.


Altre curiosità
Per gli antichi romani, il farfaro era l’erba per calmare la tosse. Lo leggiamo nel suo nome latino, che è Tussilago farfara L., dove “tussilago” è proprio da mettere in relazione con la tosse. Più insolito è il parere di Plinio che, per lenire l’irritazione delle prime vie aeree, consigliava di respirare il fumo di quest’erba, mentre veniva bruciata. Siccome arde facilmente, le sue foglie essiccate erano impiegate come miccia per le armi da fuoco dai soldati impegnati nelle battaglie campali. In Irlanda, il farfaro è legato alla torba, perché c’è la credenza che ovunque cresca, là sotto si troverà torba della migliore qualità. In gaelico, si traduce come An sponc, sostantivo che indica anche la speranza e l’audacia.


Un piccolo ritratto botanico
La Tussilago farfara L. appartiene alla famiglia delle Composite. È tipica dell’Europa e dell’Asia occidentale e predilige i terreni incolti, argillosi e fangosi. È una pianta perenne e strisciante, pur avendo i fusti fioriferi eretti, e raggiunge un’altezza di 30 centimetri. La radice è un rizoma grande e carnoso. Le foglie spuntano dopo che sono sbocciati i fiori e questa caratteristica gli aveva meritato nel Medioevo il soprannome latino di Filius ante patrem.


Esse sono arrotondate ma con apice appuntito e margine dentato. Sono disposte alla base e ricordano nella forma lo zoccolo di un asino: da qui il nome popolare di piè d’asino. La pagina inferiore, biancastra, è tomentosa, potremmo dire quasi… “ragnatelosa”! I capolini, che sbocciano tra febbraio e marzo, sono ligulati, con un diametro di circa 3 centimetri, e hanno un colore giallo vivace. Nella parte centrale, ogni capolino è composto da flosculi tubolosi. I semi sono acheni, che recano un lungo pappo setoso all’apice.


Studi clinici e principi attivi
Riguardo al farfaro, ci sono studi clinici davvero interessanti, che risalgono al XVIII e al XIX secolo, nel contrasto alle forme anche gravi di scrofolosi. Le pubblicazioni sono quelle dei medici Fullet, Cullen (1787), Hufeland (Traité de la Maladie scrophuleuse, 1785), Bodard (Cours de Botanique médicale comparée, 1870). La conclusione cui giungono tutti è l’importante azione benefica di questa specie sull’infiammazione delle ghiandole e sulle relative eruzioni cutanee (tigna). Rilevano pure un netto miglioramento delle affezioni polmonari con tosse, soprattutto se di natura scrofolosa.


La droga, che è rappresentata dalle foglie e dai capolini, contiene inulina, mucillagini, olio essenziale, tannini, nitrato di potassio, molto zinco, calcio e ferro. Tali principi attivi rendono il farfaro uno dei migliori espettoranti presenti in natura, oltre a essere un buon depurativo e un buon tonico. L’impiego nella cura dell’asma è assai antico ed era già indicato da Dioscoride, da Plinio e da Galeno. Giova nella cura della tosse, tanto da entrare nella ricetta degli sciroppi erboristici, delle laringiti, delle tracheiti e delle bronchiti. È molto utile, come già anticipato, quando si soffre di linfatismo, di adeniti e di scrofolosi.


L’infuso si prepara mettendo due cucchiai rasi di droga in mezzo litro d’acqua fredda. Si porta a bollore, si spegne e si lascia riposare sotto coperchio per un quarto d’ora. Si filtra, si dolcifica a piacere, dato che è un infuso un po’ amaro, e si beve lungo la giornata come se fosse un tè. Il decotto concentrato preparato con le foglie – rispetto all’infuso, si fa bollire per una decina di minuti – serve a imbibire garze. Esse vengono applicate sulla pelle per lenire scottature, dermatosi, eczemi, piaghe e infezioni del cuoio capelluto.


Erba da fumo
Pochi, purtroppo, sanno che il farfaro è un salutare sostituto del tabacco. Di norma, il suo aroma piace ai fumatori. Può quindi essere bruciato nelle pipe oppure inserito nelle cartine da sigarette, al posto del tabacco vero e proprio. Fumare farfaro parrebbe persino attenuare la tosse, come aveva intuito Plinio, un paio di millenni fa.
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