L’alloro e le altre piante di gennaio, nell’almanacco medioevale

L’alloro, il vischio, il bosso, il prugnolo e l’edera

L’alloro, insieme con il vischio, il bosso, il prugnolo e l’edera, veniva annoverato tra le piante di gennaio, nell’almanacco medioevale. La presenza del vischio è evidente, in questo primo mese dell’anno, perché il 6 gennaio, allora come oggi, si celebra l’Epifania del Signore. Per la cristianità, è la festa più importante del periodo natalizio, in quanto manifestazione della divinità di Dio che s’incarna nel Bambino. Il vischio era associato anche alla fuga in Egitto della Sacra Famiglia.

Nel Medioevo, usava rappresentare questo episodio biblico attraverso figuranti. Si bardava un asino con una gualdrappa su cui erano cuciti rametti di vischio e gli si metteva in groppa una fanciulla nella parte della Madonna. Essa teneva tra le braccia un bambolotto di pezza, anch’esso avvolto da una ghirlanda di vischio. Un giovane nei panni di Giuseppe le camminava a lato, e recava rametti di vischio in mano. Il gruppo così formato entrava addirittura in chiesa, durante la messa. Così, quello che nella liturgia era il ricordo della fuga in Egitto divenne la popolare “festa dell’asino”.

Il bosso era segno di rinascita e serviva a tener lontano il diavolo dal nuovo anno, appena cominciato. L’edera era il sempreverde che in pieno inverno prometteva l’arrivo della primavera. Il prugnolo, infine, sebbene le sue bacche fossero raccolte per preparare liquori e sciroppi, se la intendeva con il diavolo. A ridosso della festa dell’Epifania, infatti, era il protagonista della cosiddetta “festa dei matti”. Essa ci viene descritta in modo magistrale da Victor Hugo, in Notre-Dame de Paris. Erano i chierici a travestirsi da folli e a vagare in processione per le vie delle città, spesso appoggiandosi a un bastone di prugnolo. Ogni scherzo era permesso, persino quelli triviali e osceni, nel divertimento generale.

pianta di alloro ritratta in un disegno di erbolario

L’alloro, che difende i tesori dagli gnomi.

Nel Medioevo, l’alloro aveva fama di pianta magica. Fulgenzio, autore del VI secolo, gli attribuisce virtù divinatorie. Pare che le sue foglie gettate in un braciere ardente garantissero la buona fortuna se, bruciando, crepitavano, Se, al contrario, si consumavano silenziosamente, era un probabile indizio di cattiva sorte. Nel XIII secolo, è addirittura Alberto Magno a insignirlo di una peculiarità alquanto curiosa. Era infatti convinto che tenesse lontani gli gnomi dai terreni in cui si cercavano tesori, affinché non li rubassero al legittimo scopritore. Tuttavia l’alloro avrebbe manifestato questo potere solo se avesse avuto accanto una pianta di verbena.

In modo più prosaico, le foglie d’alloro avvolte intorno servivano per conservare i fichi e l’uva messi a essiccare. Per insaporire i cibi, si usavano le bacche secche, che venivano grattugiate su carni e verdure. Negli affreschi o nei bassorilievi, il mese di gennaio era spesso rappresentato anche nel Medioevo cristiano con la figura pagana di Giano bifronte. Questo perché l’anno era appena iniziato e non si sapeva ancora se sarebbe stato propizio o funesto. Per questo, a gennaio, davanti alle raffigurazioni di Giano si poneva un rametto d’alloro, affinché guardasse dalla parte dell’abbondanza.

foglie di alloro riunite  in un rametto

L’albero perdutamente amato da Apollo

L’alloro è una pianta antichissima. È probabilmente originario dell’Asia settentrionale anche se lo troviamo in Europa già prima del Quaternario. Ce ne sono tracce, ad esempio, nel tufo della zona di Marsiglia, in Francia. In Grecia era sacro ad Apollo, perché Dafne da lui amata invocò la dea Gea per sfuggirgli, la quale la trasformò in una pianta d’alloro. Apollo allora continuò ad amare la pianta in cui era stata tramutata la donna che non aveva potuto avere.

Ma l’alloro era pure associato a Ercole, a Esculapio e a Dioniso. Nel tempio di Apollo, a Delfi, la sacerdotessa chiamata Pizia mangiava foglie d’alloro prima di pronunciare l’oracolo. E il vincitore dei giochi delfici veniva incoronato d’alloro, a testimonianza della predilezione del dio. Per estensione, non solo gli atleti, ma anche i poeti e i guerrieri più coraggiosi furono incoronati d’alloro. La nostra parola “laurea”, quale conclusione degli studi universitari, deriva proprio dall’alloro e da quel rito greco. 

una mano che tiene una corona d'alloro dorata

Nel mondo latino

I romani, più concreti dei greci, scoprirono l’importanza dell’alloro in cucina. Nel De re rustica di Catone compare una delle prime citazione dell’alloro quale spezia, per preparare la mustacea. Si trattava di un pasticcio di vino dolce, in cui il mosto era mescolato con grasso animale, formaggio fresco e farina di segale. Era aromatizzato con cumino, anice e corteccia d’alloro grattugiata. Si faceva infine cuocere avvolto proprio in foglie d’alloro. Per i romani era una vera prelibatezza, sebbene a noi moderni sembri una ricetta piuttosto bizzarra. Siccome il legno di alloro è facilmente infiammabile, Plinio consigliava di sfregarne i rametti per accendere i falò.

bacche di alloro su un tavolo

Tradizioni irlandesi

L’alloro era pianta sacra anche per i celti. In epoca pagana, i druidi appendevano gli indumenti dei malati ai suoi rami. Ritenevano che, una volta indossati, ne affrettassero la guarigione perché l’alloro vi aveva trasmesso la sua energia. In Irlanda e in Bretagna, si piantava presso le case per proteggerle dai fulmini, perché si credeva che li allontanasse. In epoca cristiana, se ne tuffavano le fronde nell’acqua benedetta, per aspergere le bare dei defunti durante i funerali. E le ragazze lo mettevano volentieri sotto il cuscino, persuase che così avrebbero sognato l’uomo che le avrebbe chieste in moglie. Nella festa di san Biagio (3 febbraio), c’era l’abitudine d’incoronare d’alloro la statua del santo. Al termine della messa, i contadini prendevano le foglie di questa corona e le portavano a casa. Le mettevano nell’acqua delle stalle, da cui si abbeveravano gli animali, per preservare la loro salute.

bacche di alloro nere in primo piano

Un breve ritratto dell’alloro

L’alloro appartiene alla famiglia delle Lauracee ed è stato catalogato con il nome latino di Laurus nobilis L. È un piccolo albero sempreverde che può raggiungere i 10 metri d’altezza. Ha forma piramidale ed è assai ramificato. Le foglie, dal profumo aromatico, sono coriacee, alterne e lanceolate, dal caratteristico margine ondulato. I fiori sono numerosi, sbocciano tra marzo e aprile all’ascella fogliare e sono di colore giallo-verdino, a 4 sepali petaloidi. Si dividono in femminili e maschili e sono portati da individui diversi. I frutti sono drupe ovali verdi che a ottobre, a maturazione, diventano nere.

primo piano di fiori di alloro corlor senape gaillino

Impieghi fitoterapici dell’alloro

Oggi lo conosciamo come semplice spezia, eppure già Dioscoride e Palladio avevano studiato le proprietà cicatrizzanti dell’olio estratto dai frutti di alloro. Fino al XVIII secolo era elencato nella composizione delle formule medicinali. Ma dall’Ottocento cominciò a essere dimenticato. I principi attivi della droga, rappresentata sia dalle foglie sia dai frutti, sono tuttavia interessanti. Troviamo, infatti, un olio essenziale piuttosto efficace per la presenza di cineolo, insieme con sostanze grasse e amare, amidi, tannini e resine. Il decotto delle foglie o delle bacche si prepara ponendone due cucchiai rasi in mezzo litro d’acqua. Si fa bollire per pochi minuti e si lascia in infusione per un quarto d’ora. Si filtra, si dolcifica a piacere e si beve lungo la giornata come se fosse un tè.

foglie secche che sbucano da un barattolo rovesciato di vetro su un tavolo

Giova come tonico dei capillari sanguigni, quando si soffre di inappetenza, di affaticamento generale, di fermentazioni intestinali, d’insonnia, di reumatismi e di dismenorrea. Lenisce anche le infiammazioni delle vie aeree con catarro e le bronchiti croniche. L’olio essenziale – poche gocce su una zolletta di zucchero o su una mollica di pane, secondo prescrizione del medico o del farmacista – s’impiega per nevralgie e convulsioni. In uso esterno, pediluvi in cui sia versato decotto d’alloro rinfrescano i piedi stanchi e ne riducono la sudorazione. Garze imbevute di decotto e applicate tiepide sulla fronte calmano la sinusite. Anche i gargarismi in caso di infezioni della bocca o faringiti offrono sollievo e placano il dolore. Tutto questo ci porta a concludere che l’alloro è stato un po’ troppo trascurato ma non è affatto una semplice… erba da cucina!

Può interessarti leggere anche

Il vischio, un bacio di cielo nei giorni di Natale

Il bosso, al quale le scatole devono il nome, implacabile nel dare scacco matto

Il prugnolo, l’altro solstizio estivo del calendario arboreo irlandese

L’edera che è il mese di Gort nel calendario arboreo irlandese

Maura Maffei
Maura Maffei
Maura Maffei è da trent’anni autrice di romanzi storici ambientati in Irlanda, con 17 pubblicazioni all’attivo, in Italia e all’estero: è tra i pochi autori italiani a essere tradotti in gaelico d’Irlanda (“An Fealltóir”, Coisceim, Dublino, 1999). Ha vinto numerosi premi a livello nazionale e internazionale, tra i quali ci tiene a ricordare il primo premio assoluto al 56° Concorso Letterario Internazionale San Domenichino – Città di Massa, con il romanzo “La Sinfonia del Vento” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2017) e il primo premio Sezione Romanzo Storico al Rotary Bormio Contea2019, con il romanzo “Quel che abisso tace” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2019). È a sua volta attualmente membro della Giuria del Premio Letterario “Lorenzo Alessandri”. Il suo romanzo più recente è “Quel che onda divide” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza 2022) che, come il precedente “Quel che abisso tace”, narra ai lettori il dramma degli emigrati italiani nel Regno Unito, dopo la dichiarazione di Mussolini alla Gran Bretagna, e in particolare l’affondamento dell’Arandora Star, avvenuto il 2 luglio 1940, al largo delle coste irlandesi. In questa tragedia morirono da innocenti 446 nostri connazionali internati civili che, purtroppo, a distanza di più di ottant’anni, non sono ancora menzionati sui libri di storia. Ha frequentato il corso di Erboristeria presso la Facoltà di Farmacia di Urbino, conseguendo la massima votazione e la lode. È anche soprano lirico, con un diploma di compimento in Conservatorio. Ama dipingere, ha una vasta collezione di giochi di società e un’altrettanto vasta cineteca. È appassionata di vecchi film di Hollywood, quelli che si giravano tra gli Anni Trenta e gli Anni Sessanta del secolo scorso. Tra i registi di allora, adora Hawks, Leisen e Capra. Mette sempre la famiglia al primo posto, moglie di Paolo dal 1994 e madre di Maria Eloisa.