L’iris e le altre piante di marzo, nell’almanacco medioevale

L’iris, la primula, il tarassaco e il favagello per il primo mese di primavera

L’iris, insieme con la primula, il tarassaco e il favagello, con la sua fioritura scandiva i giorni di marzo, nell’almanacco medioevale. Della primula vi abbiamo già parlato in un precedente articolo. Dobbiamo comunque aggiungere che, nel Medioevo, era ritenuta tra le specie medicinali più efficaci. I suoi fiori venivano già allora mangiati in insalata e si preparavano con essi anche infusi e vini medicinali.

Nel Livre des simples médicines (XV secolo), che riuniva 25 manoscritti medioevali sulle piante, impreziositi da miniature, si usava nella cura delle paralisi e della malinconia. Secondo santa Ildegarda di Bingen (XII secolo), guariva la debolezza del cuore, le bronchiti e teneva lontane le tentazioni del diavolo. Quanto al favagello e al tarassaco, dai fiori giallo oro, ve ne parleremo nelle prossime settimane. È dunque dell’iris, detto anche giaggiolo, che oggi vi descriviamo la storia, le curiosità e le virtù.

L’iris, pianta medioevale per eccellenza, che accompagna la quaresima

Nel Medioevo, a marzo, la fioritura dell’iris lungo rive e campi ricordava che si era in quaresima, tempo forte dell’anno liturgico. La specie che è stata poi catalogata come Iris germanica L. ha grandi fiori viola, che è appunto il colore della quaresima. Non serviva per adornare le chiese, perché in quaresima – allora come oggi – l’altare dev’essere disadorno, senza fiori. Tuttavia, il viandante, incontrando lungo il suo cammino una pianta di giaggiolo in fiore, recitava una preghiera alla Madonna.

l'iris viola con colori quaresima

Gli equivoci sull’iris che risalgono a Clodoveo e a Carlo Magno

L’iris gialla (Iris pseudacorus L.), al contrario, divenne simbolo dei re di Francia anche se subì l’ingiustizia di essere scambiata con un giglio. Ecco come davvero andarono i fatti, nella guerra condotta da Clodoveo, re dei Franchi, contro gli Alemanni (V secolo). Il re Clodoveo si trovava sulle sponde del Reno, presso Colonia, e non era per lui un bel momento. Gli Alemanni, infatti, lo inseguivano e braccavano il suo esercito: se non avesse trovato un guado per attraversare il fiume, lo avrebbero attaccato e vinto.

Finalmente il tanto sospirato guado fu scorto in modo quasi miracoloso, dietro una macchia di iris gialle, che splendevano come oro. Non solo le truppe di Clodoveo si misero in salvo, ma riuscirono a riorganizzarsi e ad attaccare gli Alemanni, conquistando la vittoria. Quanto accaduto, fece profondamente riflettere il re dei Franchi, che riteneva di aver ricevuto un segno divino. Quale ringraziamento, si convertì al cristianesimo.

iris gialla

Iris Gialle come simbolo della monarchia

Nel XII secolo, con Luigi VII della dinastia capetingia, l’ultimo a definirsi re dei Franchi, le iris gialle comparvero come simbolo della monarchia sugli stendardi francesi. Furono addirittura levate contro i saraceni, nella Seconda Crociata. Tali fiori vennero chiamati fleurs de Lys, nome che purtroppo portò a un equivoco. Lys, infatti, non indica il giglio ed è improprio parlare di “gigli di Francia” come simbolo della monarchia francese. Lys deriva direttamente da Clodoveo, ossia Clovis, detto poi Louis, nome portato da molti suoi successori. Si tratta quindi di iris gialle, intitolate al re dei Franchi.

l'iris  gialla cappella reale di Versaillles
L’iris gialla nella cappella reale di Versailles

Un secondo equivoco lega l’iris a Carlo Magno (VIII – IX secolo). Pare che l’imperatore avesse una predilezione per l’iris, questa volta bianca (si tratta dell’Iris fiorentina L.), tanto da farla inserire nel Capitulare de villis. Tale trattato, scritto verso la fine dell’VIII secolo, serviva a regolare l’agricoltura e le attività rurali. In esso è caldeggiata la coltivazione del cosiddetto gladiolum. Non è il gladiolo che noi conosciamo e che condivide con l’iris la stessa famiglia botanica, quella delle Iridacee. Ma è di nuovo il giaggiolo, di cui persino l’imperatore del Sacro Romano Impero si era riempito il giardino!

l'iris bianca florentina

Il segreto dei profumi, nell’Antico Egitto

Tra i primi popoli antichi ad apprezzare l’iris ci furono gli egizi. Si tramanda che fu Thutmose I, nel XV secolo a.C., a importarla dalla Mesopotamia (soprattutto dalla parte che corrisponde all’attuale Siria). Il faraone non fu attratto tanto dalla bellezza dei suoi fiori quanto dalla sua radice pregiata. Con essa gli egizi crearono profumi unici, assai rinomati in tutto il bacino del Mediterraneo.

immagine creata con AI Microsoft

Il mito di Iride, i versi di Omero e il vino dei romani

Per i greci, l’iris era collegata al mito di Iride, messaggera della dea Era. La moglie di Zeus decise di premiarla, perché non le aveva mai recato cattive notizie, e così la trasformò nell’arcobaleno. L’accostamento fu davvero azzeccato perché ci sono in natura più di 300 varietà di iris diverse e sono contemplati tutti i colori, tranne il rosso.

Anche Omero ci parla del giaggiolo nell’Iliade, attribuendo ai troiani l’abitudine di cibarsi dei suoi fiori. Lo facevano soprattutto i retori, perché convinti che i petali dalle più svariate tinte rendessero più fluente il loro eloquio. I Romani, al contrario, aromatizzavano con la radice il vino, per renderlo più profumato e per donargli un bouquet di note uniche.

l'iris germanica

Nel mondo arabo e in Giappone

Per gli arabi, l’iris era un fiore da sepoltura. Si usava per ornare le tombe dei guerrieri più valorosi, che si erano distinti in vita per il loro coraggio. In Giappone, era una pianta talmente ambita che solo la famiglia imperiale poteva disporne. Dai petali si otteneva un raro pigmento blu e dalla radice, invece, si ricavava la preziosissima cipria.

Per non essere da meno della sposa dell’imperatore, pure le donne aristocratiche giapponesi preparavano di nascosto la cipria. Per questo coltivavano le piante di iris dove erano meno visibili, ossia sui tetti delle case. Ancora oggi, in alcune regioni, c’è l’abitudine di piantare giaggioli sui tetti, ma a scopo puramente ornamentale.

bocciolo di iris in macro foto

Nel linguaggio dei fiori e in Irlanda

Non solo perché legata al mito di Iride ma anche perché sboccia a inizio primavera, nel linguaggio dei fiori l’iris simboleggia sempre una lieta notizia. In Irlanda, ad esempio, annuncia la bella stagione. Le sue fragranti radici essiccate si pongono tra la biancheria, per difenderla dagli insetti e per profumarla.

Fresche, al contrario, hanno un impiego piuttosto curioso: fanno sparire gli occhi neri! Se il venerdì sera, al pub, gli uomini alzano un po’ il gomito e fanno a pugni, le donne a casa hanno il rimedio pronto. Li aspettano sveglie con una radice di iris grattugiata e la applicano in cataplasma sugli eventuali occhi neri. Pare che già il mattino successivo tutto sia passato.

iris gialle con foglie

Una descrizione botanica essenziale

Tra le varie specie di giaggiolo, abbiamo deciso di descrivervi una delle più diffuse, ossia l’Iris germanica L. È una pianta perenne con radice a rizoma e con foglie basali spadiformi, comunque più corte del fusto cilindrico a più fiori. Essi sbocciano a partire da marzo per tutta la primavera e hanno petali violetti, più scuri quelli esterni riflessi e più chiari quelli interni, di pari dimensioni. I semi, discoidi e schiacciati, sono contenuti nel frutto che è una capsula tubolare munita di 3-6 costole. L’altezza del giaggiolo varia da 30 centimetri a un metro.

primo piano su foglie di iris

L’iris in fitoterapia

La droga medicinale è costituita dal rizoma bianco-avorio, senza sapore né odore quando è fresco ma che, seccando, prende uno spiccato profumo di violetta. Esso è conferito da alcuni principi attivi, soprattutto l’irone, ma anche un chetone e aldeidi e esteri di acidi grassi (miristico e oleico). Altri componenti sono la resina, con azione espettorante e balsamica, il glicoside iridina, tannini e olio essenziale.

L’iris è pertanto indicata in caso di tosse e affezioni alle vie aeree, di disturbi circolatori e di cefalee ma anche come antifermentativo, depurativo e diuretico. Il modo più pratico per assumerne la radice è quello di grattugiarla cruda nelle insalate primaverili. Oppure si può ricorrere a un infuso a freddo, così come ci viene indicato dal medico naturalista Jean Valnet. Si pone a macerare per una notte intera una pari quantità di radice fresca grattugiata e di acqua fredda. Al mattino, si filtra e si beve a digiuno.

primo piano splendido di un grandissimo fiore di iris gilla

Non va dimenticato l’impiego della radice di giaggiolo in liquoreria e nell’industria dei profumi e delle paste dentifricie. Vorremmo ricordare, a questo proposito, l’uso casalingo delle nostre nonne, quando veniva fatta mordere ai lattanti per lenire il dolore della dentizione. È una pianta dalle molteplici risorse e virtù eppure… attenzione ai “gigli di Francia”! L’iris gialla, catalogata come Iris pseudacorus L., ossia quella posta sul guado di Clodoveo e sullo stendardo di Luigi VII il Giovane, è tossica. La sua linfa acre (contiene irisina) provoca coliche, vomito e diarrea. Un tempo veniva utilizzata in cataplasma per curare le ferite. È tuttavia meglio evitarne sempre l’impiego fitoterapico e ammirarla soltanto come fleur de Lys d’antico splendore.

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Maura Maffei
Maura Maffei
Maura Maffei è da trent’anni autrice di romanzi storici ambientati in Irlanda, con 17 pubblicazioni all’attivo, in Italia e all’estero: è tra i pochi autori italiani a essere tradotti in gaelico d’Irlanda (“An Fealltóir”, Coisceim, Dublino, 1999). Ha vinto numerosi premi a livello nazionale e internazionale, tra i quali ci tiene a ricordare il primo premio assoluto al 56° Concorso Letterario Internazionale San Domenichino – Città di Massa, con il romanzo “La Sinfonia del Vento” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2017) e il primo premio Sezione Romanzo Storico al Rotary Bormio Contea2019, con il romanzo “Quel che abisso tace” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2019). È a sua volta attualmente membro della Giuria del Premio Letterario “Lorenzo Alessandri”. Il suo romanzo più recente è “Quel che onda divide” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza 2022) che, come il precedente “Quel che abisso tace”, narra ai lettori il dramma degli emigrati italiani nel Regno Unito, dopo la dichiarazione di Mussolini alla Gran Bretagna, e in particolare l’affondamento dell’Arandora Star, avvenuto il 2 luglio 1940, al largo delle coste irlandesi. In questa tragedia morirono da innocenti 446 nostri connazionali internati civili che, purtroppo, a distanza di più di ottant’anni, non sono ancora menzionati sui libri di storia. Ha frequentato il corso di Erboristeria presso la Facoltà di Farmacia di Urbino, conseguendo la massima votazione e la lode. È anche soprano lirico, con un diploma di compimento in Conservatorio. Ama dipingere, ha una vasta collezione di giochi di società e un’altrettanto vasta cineteca. È appassionata di vecchi film di Hollywood, quelli che si giravano tra gli Anni Trenta e gli Anni Sessanta del secolo scorso. Tra i registi di allora, adora Hawks, Leisen e Capra. Mette sempre la famiglia al primo posto, moglie di Paolo dal 1994 e madre di Maria Eloisa.