Il tarassaco, insalata amara di Quaresima, nell’almanacco medioevale

Il tarassaco, che nel Medioevo era una semplice erba da insalata

Il tarassaco è una straordinaria erba medicinale. Eppure nel Medioevo non se ne conoscevano né apprezzavano le virtù terapeutiche. Era piuttosto un’insalata primaverile, che si poteva mangiare prima della fioritura, quando le foglie sono ancora tenere. Questo periodo coincide con la quaresima, il tempo di digiuno e di astinenza dalle carni che precede la Pasqua. Oggi i cristiani digiunano all’inizio, con il Mercoledì delle Ceneri, e alla fine, nel Venerdì Santo, e non mangiano carne di venerdì.

Nel Medioevo, invece, le carni erano vietate per tutta la quaresima, per ricordare i quaranta giorni di digiuno che Gesù trascorse nel deserto, prima della predicazione. Anzi, si preferivano cibi poveri e nemmeno tanto graditi. Ci si puniva con sapori aspri o amari. Il tarassaco, a questo proposito, era un’insalata piuttosto adatta, per accompagnare una semplice fetta di pane. Allora prendeva il nome curioso di corona caput monachi, dovuto a una sua peculiarità. Quando i semi dal soffice pappo vengono soffiati via, rimane il capolino nudo, simile alla tonsura di un monaco.

tarassaco privo dei suoi fiori e simile alla tonsura di un monaco

C’era poi la consuetudine di strofinarsi foglie e steli di tarassaco sulla pelle. Si usava in pratica il suo lattice quale detergente e si credeva che ciò rendesse più affabili e simpatici, quando si dovevano incontrare persone sconosciute!

Storie d’altri tempi

Occorre arrivare al XV secolo perché siano riconosciute al tarassaco le vaste proprietà medicinali. Si cominciò a bollire la pianta nel vino per curare la febbre, soprattutto quella di natura malarica. Nel XVIII secolo, Federico II Hohenzollern, detto il Grande, re di Prussia, guarì da una perniciosa idropisia proprio grazie al tarassaco. E, durante la guerra di Crimea (1853 -1856), gli ufficiali medici dell’esercito francese inserirono nella dieta dei soldati molto tarassaco fresco. Lo fecero con l’obbiettivo di contrastare lo scorbuto, che mieteva più vittime del fuoco nemico.

fiori gialli di tarassaco in un campo

Il cosiddetto An caisearbhán irlandese

Se nel resto dell’Europa medioevale, il tarassaco fu solo un’insalata, in Irlanda trovò una grande estimatrice in santa Bríd, la Brigida compatrona con san Patrizio. Si tramanda che ne facesse leccare il lattice ad agnelli e vitellini, per preservarne la salute. Lo consigliava anche alle spose, quando tardavano a diventare madri, per favorirne la fertilità. Il nome irlandese è An caisearbhán, che significa “flusso bianco” e che allude appunto al suo lattice. Ma è anche un’erba dedicata proprio a santa Bríd, tanto da chiamarsi pure Bearnán Bhríde, ossia “piccola pianta dentellata di Brigida”.

I bambini irlandesi, come i bambini di tutto il mondo, hanno l’abitudine di soffiar via i soffici pappi del tarassaco. Ma se lo fanno al tramonto, assume per loro un particolare significato. Se, soffiando su di essi, tutti i semi volano via, vuol dire che la mamma non ha bisogno di loro. Così possono trattenersi ancora un poco a giocare, prima che venga buio. Ma se rimane qualche sparuto achenio infisso sul capolino, allora occorre correre subito a casa, perché è ora di cena.

tarassaco con i papini che i bambini amano soffiare

Tutti i nomi del tarassaco e una questione di accento

Il gioco di soffiarne via i semi ha meritato a questa specie pure il nome comune di soffione. Per le sue notevoli proprietà diuretiche, in Francia è chiamato pissenlit e in Gran Bretagna piss-a-bed. Da noi, si dice persino… pisciacane! Per questo motivo, è davvero sconsigliato berne il decotto la sera, prima di coricarsi, per non incorrere in spiacevoli, bagnati inconvenienti…

Tra i Paesi di lingua inglese, è forse più conosciuto come dandelion, che allude alle sue foglie lobate a triangolo, tanto da ricordare i denti di un leone. Dente di leone è dunque un altro nome popolare di tale pianta. Nella classificazione scientifica, il tarassaco appartiene alla famiglia delle Composite ed è stato catalogato come Taraxacum officinale Weber. Ed è il nome latino, con la quantità delle sue vocali, a dettare l’accento in italiano. È quindi un errore pronunciarlo con l’accento tonico sulla penultima sillaba, perché bisogna per forza metterlo sulla seconda. Per favore, è taràssaco, e non il cacofonico tarassàco!

tarassaco nell'erbario foto licenza CC
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Una sommaria descrizione botanica

Si tratta di una pianta perenne, alta fino a 40 centimetri, dalla lunga radice fusiforme, comune nei prati e nei campi incolti di tutto il mondo. La varietà delle foglie, riunite in una rosetta basale, le rende specie assai polimorfa. Esse sono comunque bislunghe e lanceolate, dal caratteristico colore verde scuro e con lobi appuntiti rivolti indietro, di cui quello terminale a triangolo. Dalla rosetta basale, spuntano dai tre a i quattro fusti cavi, con linfa lattiginosa e senza foglie. Ognuno di essi reca un singolo capolino giallo oro, piuttosto grande, che sboccia tra marzo e giugno. Il frutto è un achenio che, al termine di un lungo peduncolo, termina con un lieve pappo di setole bianche.

pianta di tarassaco sul terreno con piccoli fiori gialli appena sbocciati
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Un portentoso rimedio fitoterapico

Come abbiamo visto, il tarassaco ci ha messo un po’ a farsi notare ma è diventato poi il beniamino di generazioni di medici e di erboristi. Sebbene siano salutari anche le foglie, la droga medicinale è rappresentata dalla radice. Essa contiene diversi principi attivi: gli alcaloidi tarassina (diuretico) e tarassosterolo (per il deflusso della bile dalla cistifellea) e il principio amaro tarassacina (stimolante dell’appetito). Ci sono poi fitosteroli, amminoacidi, inulina, colina, resine, silicio, fosforo, manganese, sodio, zolfo e sali di calcio, ferro, magnesio e potassio.

fiore giallo di tarassaco su fondo nero molto suggestivo

Non vanno poi dimenticate le numerose vitamine: A, gruppo B, C, D e PP, che giustificano la cura antiscorbutica. Ha dunque diverse azioni: è un tonico generale, depurativo di fegato, bile e pancreas, ottimo diuretico, blando lassativo e vitaminizzante. Giova inoltre quando viene abbinato ad altre cure, in caso di itterizia, calcoli biliari, ipercolesterolemia, azotemia, anemia, reumatismi, emorroidi, varici e dermatosi (eczemi e psoriasi). Il decotto si prepara ponendo due cucchiai rasi di radice sminuzzata in mezzo litro d’acqua fredda. Si fa bollire per 5-10 minuti, si spegne e si lascia in infusione per un quarto d’ora. Si filtra e si dolcifica a piacere. Si beve lungo la giornata come se fosse un tè, dal sapore amaro ma gradevole.

bocciolo di tarassaco

Ghiotti usi alimentari

Mangiare in insalata le foglie tenere, che precedono la fioritura, resta una sana e gustosa abitudine. Si possono anche cuocere al vapore e poi condire, come se fossero spinaci, o provare in minestra, con legumi, riso o fiocchi d’avena. Con i boccioli, colti sulla rosetta basale delle foglie, quando lo stelo non si è ancora innalzato, si preparano sott’aceti simili ai capperi. Infine, la radice torrefatta è analoga a quella della cicoria, per sostituire il caffè nel digestivo di fine pasto.

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Maura Maffei
Maura Maffei
Maura Maffei è da trent’anni autrice di romanzi storici ambientati in Irlanda, con 17 pubblicazioni all’attivo, in Italia e all’estero: è tra i pochi autori italiani a essere tradotti in gaelico d’Irlanda (“An Fealltóir”, Coisceim, Dublino, 1999). Ha vinto numerosi premi a livello nazionale e internazionale, tra i quali ci tiene a ricordare il primo premio assoluto al 56° Concorso Letterario Internazionale San Domenichino – Città di Massa, con il romanzo “La Sinfonia del Vento” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2017) e il primo premio Sezione Romanzo Storico al Rotary Bormio Contea2019, con il romanzo “Quel che abisso tace” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2019). È a sua volta attualmente membro della Giuria del Premio Letterario “Lorenzo Alessandri”. Il suo romanzo più recente è “Quel che onda divide” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza 2022) che, come il precedente “Quel che abisso tace”, narra ai lettori il dramma degli emigrati italiani nel Regno Unito, dopo la dichiarazione di Mussolini alla Gran Bretagna, e in particolare l’affondamento dell’Arandora Star, avvenuto il 2 luglio 1940, al largo delle coste irlandesi. In questa tragedia morirono da innocenti 446 nostri connazionali internati civili che, purtroppo, a distanza di più di ottant’anni, non sono ancora menzionati sui libri di storia. Ha frequentato il corso di Erboristeria presso la Facoltà di Farmacia di Urbino, conseguendo la massima votazione e la lode. È anche soprano lirico, con un diploma di compimento in Conservatorio. Ama dipingere, ha una vasta collezione di giochi di società e un’altrettanto vasta cineteca. È appassionata di vecchi film di Hollywood, quelli che si giravano tra gli Anni Trenta e gli Anni Sessanta del secolo scorso. Tra i registi di allora, adora Hawks, Leisen e Capra. Mette sempre la famiglia al primo posto, moglie di Paolo dal 1994 e madre di Maria Eloisa.