La barbarea, splendore d’inverno in omaggio a santa Barbara

La barbarea è un’altra Crucifera, con il tipico fiore a 4 petali disposti a croce, ed è affine al crescione per le foglie. Tanto che nei Paesi anglosassoni lo chiamano wintercress, ossia crescione d’inverno. Tuttavia, si tratta di una specie assolutamente autonoma, che è stata classificata come Barbarea vulgaris R.Br.  La sigla in questo caso fa riferimento a Robert Brown, il botanico scozzese che per primo la catalogò nel 1812. Quale nome comune, oltre a barbarea, ha anche quelli di “erba di santa Barbara” e di “erba barbara”.

Questo potrebbe dipendere da ben tre motivi. Il primo riguarda il suo stesso scopritore, che pare fosse devoto a tale santa, la cui festa liturgica cade il 4 dicembre. Altri sostengono che fosse usata dai minatori, la cui patrona è appunto santa Barbara, per impacchi sulle ferite causate dall’impiego di esplosivo nelle cave. L’ipotesi più suggestiva è quella irlandese: i contadini sono convinti che, nel giorno di santa Barbara, la nostra piantina si vesta di luce. Sebbene sia inverno, sembra che diventi di un verde unico e splendente.

Prato che appare giallo per le tante piante di barbarea in fiore.
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In Irlanda e nel Nord Europa

Nell’Isola di Smeraldo, la barbarea è una specie autoctona. Il termine gaelico per designarla è Treabhach, che si traduce come “capofamiglia”, perché è alta sino a un metro e svetta tra le altre erbe. Nel corso dei secoli, è spesso stata mangiata come verdura. Le sue foglie, simili a quelle del crescione, sono altrettanto ricche di vitamina C e si usavano per preparare insalate e zuppe.

In Irlanda, in Gran Bretagna e in Svezia, sono ancora fra gli ingredienti di talune ricette ma non piacciono a tutti perché sono amare. Persino gli animali le brucano oppure le evitano del tutto. Ne sono infatti ghiotti i bovini, mentre non piacciono affatto ai cavalli.

Infiorescenza gialla con in basso le prime silique in formazione.
Foto di Michael Gore da Pixabay

Un ritratto botanico essenziale

La barbarea è una pianta selvatica che cresce facilmente presso i fossi, i sentieri umidi e i corsi d’acqua. È alta sino a un metro, con fusto glabro (ossia senza peli), scanalato, eretto e ramificato. Le sue foglie verde cupo sono lucenti e pennate, tanto da presentare ampi lobi, con quello terminale più grande degli altri.

I fiori sbocciano tra aprile e luglio, sono gialli, con i 4 petali disposti a croce, riuniti in fitte infiorescenze. Esse si allungano man mano che compaiono i frutti, dal basso verso l’alto. In altre parole, coesistono i frutti, che sono strette silique con un corto becco alla sommità, con gli ultimi fiori in cima all’infiorescenza. I semi contenuti in ogni siliqua, che è dritta verso l’alto e slanciata, sono piccoli, ovali e con una sfumatura che varia dal bruno al giallastro. Per riconoscere la barbarea in natura, soprattutto perché si tratta di specie alimentare, è indispensabile ricorrere alle chiavi botaniche, evitando l’identificazione in base a semplici fotografie.

Disegno scientifico con fusto, foglie, fiori e frutti.
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più 70 anni o meno . È di pubblico dominio anche negli USA.

La barbarea in fitoterapia

Data la sua classificazione relativamente recente, la barbarea non vanta un secolare utilizzo in fitoterapia. Per questo l’aggettivo che contraddistingue la specie è  vulgaris, ossia comune, e non il più nobile officinalis. La droga medicinale è rappresentata dalle foglie, che devono essere impiegate fresche, in insalata o addirittura in infuso, ricavandone una bevanda alimentare simile al tè. Altrimenti si deteriorerebbero i costituenti, fra cui il principale è la già citata vitamina C. È un buon diuretico, che agisce migliorando le condizioni generali di chi soffre di litiasi urinaria, gotta e idropisia. Ha effetto disinfiammante e decongestionante sul fegato e giova contro lo scorbuto.

La tisana, che non sostituisce le cure mediche ma le affianca, si prepara versando due cucchiai di foglie fresche in mezzo litro d’acqua. Si porta a bollore, si spegne subito e si lascia riposare sotto coperchio per una decina di minuti. Si filtra, si dolcifica a piacere (ha sapore amarognolo) e si beve lungo la giornata. Il decotto, che si ottiene nello stesso modo ma facendo bollire per almeno 5 minuti, senza zuccherare, deterge le ferite e le piaghe della pelle.

Foglie verdi di barbarea, con lobo terminale più grande.
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Maura Maffei
Maura Maffei
Maura Maffei è da trent’anni autrice di romanzi storici ambientati in Irlanda, con 17 pubblicazioni all’attivo, in Italia e all’estero: è tra i pochi autori italiani a essere tradotti in gaelico d’Irlanda (“An Fealltóir”, Coisceim, Dublino, 1999). Ha vinto numerosi premi a livello nazionale e internazionale, tra i quali ci tiene a ricordare il primo premio assoluto al 56° Concorso Letterario Internazionale San Domenichino – Città di Massa, con il romanzo “La Sinfonia del Vento” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2017) e il primo premio Sezione Romanzo Storico al Rotary Bormio Contea2019, con il romanzo “Quel che abisso tace” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2019). È a sua volta attualmente membro della Giuria del Premio Letterario “Lorenzo Alessandri”. Il suo romanzo più recente è “Quel che onda divide” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza 2022) che, come il precedente “Quel che abisso tace”, narra ai lettori il dramma degli emigrati italiani nel Regno Unito, dopo la dichiarazione di Mussolini alla Gran Bretagna, e in particolare l’affondamento dell’Arandora Star, avvenuto il 2 luglio 1940, al largo delle coste irlandesi. In questa tragedia morirono da innocenti 446 nostri connazionali internati civili che, purtroppo, a distanza di più di ottant’anni, non sono ancora menzionati sui libri di storia. Ha frequentato il corso di Erboristeria presso la Facoltà di Farmacia di Urbino, conseguendo la massima votazione e la lode. È anche soprano lirico, con un diploma di compimento in Conservatorio. Ama dipingere, ha una vasta collezione di giochi di società e un’altrettanto vasta cineteca. È appassionata di vecchi film di Hollywood, quelli che si giravano tra gli Anni Trenta e gli Anni Sessanta del secolo scorso. Tra i registi di allora, adora Hawks, Leisen e Capra. Mette sempre la famiglia al primo posto, moglie di Paolo dal 1994 e madre di Maria Eloisa.
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