La potentilla? In realtà dovremmo parlare di potentille, perché solo sul suolo italiano si contano ben 47 specie riconducibili a questo genere. Le tre più note in fitoterapia sono la Potentilla erecta L. o tormentilla, la Potentilla repens L. o cinquefoglio e la Potentilla anserina L. o argentina. Appartengono alla famiglia delle Rosacee, la cui caratteristica è quella di avere fiori con cinque petali (o multipli di cinque).
Ma i fiori della tormentilla fanno eccezione e hanno quattro petali: solo in casi rari compaiono corolle che ne contengono cinque. Quelli del cinquefoglio, all’opposto, ne hanno cinque eppure un alto numero di fiori (intorno al 20%) ne presentano addirittura sei. Nelle campagne, da sempre i bambini si sfidano a trovare un fiore di cinquefoglio a sei petali, proprio come si fa con i quadrifogli. L’argentina, infine, mantiene i suoi cinque petali, come da copione, ed è meno incline alle stravaganze.
Origine del nome
Il nome potentilla deriva dal latino medioevale e, in particolare, dall’aggettivo potens, perché a questa pianta venivano attribuite virtù davvero “potenti”. Le foglie del cinquefoglio, infatti, sono digitate a cinque sezioni (invece quelle della tormentilla solo a tre e quelle dell’argentina sino a dodici sezioni). E si pensava che queste cinque parti rappresentassero i cinque sensi, coinvolti soprattutto quando il cinquefoglio serviva per preparare filtri d’amore.
A proposito di streghe e pescatori irlandesi
In Irlanda, pare che fosse l’ingrediente prediletto delle streghe nelle cosiddette pozioni di volo. Non solo, sembra pure che causasse alle vittime di un sortilegio la perdita di tutti i denti. E si tramanda che il decotto di cinquefoglio fosse l’unico detergente in grado di lavar via le cicatrici del vaiolo. I pescatori delle contee che si affacciano sull’oceano lo usano per le esche per il pesce. Ne mescolano le foglie con un pastone di mais e con altre erbe, quali timo, maggiorana e ortica.
Un’ulteriore specie, la Potentilla palustris L., è tipica delle torbiere e, prima dell’avvento delle patate, gli irlandesi ne mangiavano le radici come ortaggi. Dato che il loro sapore ricorda la rapa, si gustavano crude, bollite o arrostite e se ne ricavava anche una farina per preparare il pane. I germogli primaverili venivano cucinati in zuppe e stufati. Le foglie, ancora oggi date alle pecore come foraggio, migliorano il gusto del latte munto. Infine, le radici essiccate si adoperavano nella concia delle pelli.
I nomi gaelici della potentilla
Il cinquefoglio in lingua irlandese si traduce come Cúig mhéar Mhuire, ossia le “cinque dita della Vergine Maria”, quindi non è proprio roba da streghe! La tormentilla diventa Néalfartach che significa anche “sonnolenza” e l’argentina An Briosclán. Quest’ultimo termine vuol dire “pieno di vivacità” forse per l’aspetto un po’ arruffato della pianta stessa, quando è mossa dal vento.
Piccola descrizione botanica del cinquefoglio
Avendo illustrato in precedenza alcune differenze con le specie similari, completiamo adesso la descrizione del cinquefoglio. Ha fusti striscianti, lunghi anche un metro, che lo distinguono dall’aspetto eretto della tormentilla. Essi si radicano al terreno mediante un tubercolo e formano una rosetta basale di steli. I fiori di un bel giallo dorato sono assai più piccoli di quelli dell’argentina e sbocciano tra maggio e settembre.
Principi attivi e studi clinici
La radice di potentilla è in particolare una droga tanninica, quindi è un ottimo astringente. Contiene inoltre flavonoidi, polifenoli, glicosidi e piccole quantità di olio essenziale.
Henri Leclerc riportò uno studio condotto da Gilbert alla fine del XVIII secolo, nel quale si evidenziava l’efficacia della potentilla per contrastare la tubercolosi. E nel 1839 Morin mise a punto un unguento a base di radice e di rosso d’uovo, per impacchi cutanei cicatrizzanti (ferite, scottature, paterecci).
In generale, la potentilla ha azione emostatica (piccole ulcere) e antiinfiammatoria, soprattutto a livello gastrointestinale (enteriti, gastriti, coliti). D’altronde il termine tormentilla deriva da tormen che in latino significa colica. Come astringente, giova in caso di dissenteria e di diarrea. È un buon febbrifugo, per combattere le forme influenzali.
Il decotto di potentilla
Il decotto può essere bevuto o applicato in compresse sulla pelle e si prepara allo stesso modo. Si pongono un paio di cucchiai rasi di droga essiccata in mezzo litro d’acqua fredda. È preferibile che il recipiente non sia metallico. Si fa bollire per non più di dieci minuti, altrimenti si danneggiano i tannini. Si lascia in infusione per un quarto d’ora, si filtra e, per chi lo beve come un tè, si dolcifica a piacere. Non sarà un filtro d’amore né realizzerà un incantesimo di volo, ma sarà senz’altro opportuno berne una tazza benefica nella stagione invernale.