La cucina laziale: piatti tipici, formaggi, vini e tradizioni che raccontano la storia di una regione ricca di sapori autentici. Scopri gusti, sapori e la vera ricetta della carbonara!
Il Lazio è una terra di passaggio, di mescolanze, di popoli che hanno lasciato tracce non solo nei monumenti, ma anche nel piatto. Dalle coste del Tirreno ai monti della Ciociaria, dai Castelli Romani alla Tuscia viterbese, ogni angolo ha un sapore che racconta una storia. E quella storia spesso nasce dalla fatica della campagna, dall’ingegno della cucina povera, e da una profonda conoscenza degli ingredienti che la terra sa offrire.
Non si può parlare di cucina laziale senza pensare alla sua anima contadina. Per secoli, la dieta delle famiglie rurali si è basata su ciò che offrivano i campi e gli allevamenti: pecore e capre per il latte e la carne, legumi secchi, ortaggi stagionali, pane raffermo e olio extravergine. Da queste basi sono nati piatti che ancora oggi, pur nella loro semplicità, sanno conquistare il palato.
Cacio e Pepe, Gricia, Carbonara: il tri(s)pudio dei sensi
La trilogia dei grandi primi laziali, Cacio e Pepe, Gricia e Carbonara, non è solo una sequenza di ricette. È un racconto evolutivo di una cucina che si è adattata ai tempi, senza mai perdere di vista la sostanza.
Tutto parte dalla Cacio e Pepe, la base. Un piatto nato nei pascoli laziali, dove i pastori portavano con sé pasta secca, formaggio stagionato e pepe nero – tutto ciò che si conservava bene senza bisogno di refrigerazione. È la massima espressione del “poco che basta”: solo tre ingredienti, ma un sapore inconfondibile.
Da qui nasce la Gricia, che aggiunge il guanciale, frutto dell’allevamento dei suini nelle campagne laziali. È un piatto più ricco, ma sempre legato all’essenzialità della cucina rustica. Il nome potrebbe derivare da “Grisciano”, una frazione del comune di Accumoli, in provincia di Rieti, o dal termine “gricio”, che a Roma indicava i panettieri.
La Carbonara
Questo piatto merita un paragrafo a sé. Infatti, la Carbonara, la versione più elaborata del cacio e pepe, che arricchisce ulteriormente la Gricia con le uova. La sua origine è ancora oggetto di dibattito: secondo alcuni sarebbe nata dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando i soldati americani introdussero uova in polvere e bacon. Ma c’è anche chi sostiene che si tratti solo dell’evoluzione naturale di un piatto che, come tutta la cucina laziale, sa trasformare la semplicità in sapore. In ogni caso, è uno dei piatti tipici italiani più famosi al mondo e al quale è dedicata anche una giornata.
L’idea nasce nel vicino 2016. Sui social compare una sfida lanciata dai pastai di Unione Italiana Food che provocano una vera e propria lotta tra tradizionalisti e innovatori. L’invito era quello di raccogliere le ricette della carbonara, tra original version e variazioni. L’eterna lotta tra “con panna e senza panna”, con cipolla o senza, fa inorridire i romani, da Totti a Brignano, poichè la ricetta originale non prevede nè l’una nè l’altra, ha talmente infervorito i social da far decidere per un “Carbonara Day”.
Se avrete la pazienza di arrivare fino al fondo dell’articolo, vi sveleremo la vera ricetta della carbonara.


Oltre la trilogia: primi piatti di grande identità
Accanto alla celebre triade, la cucina laziale offre altri primi piatti ricchi di personalità. Uno di questi è l’Amatriciana, che merita un discorso a sé. Originaria di Amatrice, in provincia di Rieti, questo piatto è il legame perfetto tra il mondo contadino e quello cittadino. Nata come variante della Gricia, aggiunge il pomodoro – ingrediente arrivato solo dopo il ‘700 – mantenendo guanciale e pecorino. Un piatto simbolo, oggi tutelato da disciplinari e orgoglio locale anche fuori regione e, mi raccomando, per godervela al meglio, chiedetela con i bucatini.
Gli Gnocchi alla Romana, invece, rappresentano la tradizione borghese: dischi di semolino, burro e formaggio, gratinati in forno. Sono spesso legati al pranzo del giovedì, quando la tavola si faceva più abbondante per anticipare la sobrietà del venerdì.
In Tuscia, e in particolare a Viterbo, si preparano invece gli Gnocchi alla Viterbese, conditi con sugo ricco di carne o, in alcune versioni più antiche, semplicemente con aglio, prezzemolo e acciughe. Sono una testimonianza viva di come il gusto laziale sappia essere tanto robusto quanto sobrio, secondo l’occasione.
Per i convinti del formaggio sulla pasta: parlare di parmigiano nel Lazio è una bestemmia. Solo pecorino, e possibilmente, romano.
Secondi piatti: tradizione e sapore
Se i primi sono celebri, i secondi piatti non sono da meno. L’abbacchio alla romana è forse il più rappresentativo: agnello da latte cotto con rosmarino, aglio, vino bianco e, talvolta, acciughe. È il protagonista delle tavole pasquali e simbolo della pastorizia del Lazio meridionale.
La coda alla vaccinara nasce nel Rione Regola, dove vivevano i “vaccinari”, cioè i macellai. Qui, le parti meno nobili del bue venivano cucinate lentamente con pomodoro, sedano e persino cioccolato fondente, in uno stufato che è oggi un emblema della cucina romana.
La trippa alla romana, altro esempio di cucina povera, viene insaporita con menta e pecorino, e ha un posto d’onore nei menù delle osterie storiche. È uno di quei piatti che oggi definiremmo “antispreco”, ma che porta con sé una nobile sapienza gastronomica.
I saltimbocca alla romana, infine, offrono un’alternativa più delicata: fettine di vitello con prosciutto crudo e salvia, cotte nel burro. Eleganti nella presentazione e rapidi da preparare, sono amati anche fuori dai confini regionali.
Il carciofo, re indiscusso della tavola
Tra le verdure, il carciofo è indubbiamente il protagonista assoluto. Non c’è stagione invernale o festa primaverile senza questo ortaggio versatile, amato in tutte le sue declinazioni.
Il Carciofo alla Romana, cotto intero con aglio e mentuccia, è morbido, profumato e perfetto per accompagnare arrosti e piatti di carne. Il Carciofo alla Giudia, invece, è una specialità della cucina ebraico-romanesca: fritto in olio bollente fino a diventare croccante come una patatina, nasce nel Ghetto ebraico ed è oggi amato in tutto il mondo.
Ma il carciofo è presente anche in sughi, risotti, contorni e perfino frittate. Una presenza costante, che racconta quanto la cucina laziale sia profondamente legata alla stagionalità e alla terra.


Dolci di festa e di tradizione: il gusto dell’infanzia
Tra i dolci, nel Lazio, il maritozzo resta il più iconico. Pane dolce farcito con panna montata, era un tempo l’omaggio che i fidanzati offrivano alle future spose, spesso con un anello nascosto all’interno. Oggi accompagna la colazione romana nei bar storici e nelle pasticcerie più raffinate.
Le pupazze di Frascati sono invece dolci figurativi a base di miele, farina e spezie, modellati in forme di donna con tre seni (due per il latte, uno per il vino!). Sono simbolo della fertilità e della ricchezza agricola dei Castelli Romani, e rappresentano una delle più antiche forme di “dolce rituale” del Lazio.
Formaggi del Lazio: sapori di pascoli e antiche lavorazioni
Il formaggio, nel Lazio, è molto più di un semplice accompagnamento. È parte integrante dell’identità gastronomica, protagonista di ricette e simbolo delle radici pastorali della regione. Fin dall’epoca romana, i pastori laziali hanno affinato tecniche di caseificazione che ancora oggi sopravvivono grazie alla tradizione orale e alla lavorazione artigianale.
Il re indiscusso è il Pecorino Romano DOP, stagionato e sapido, prodotto soprattutto nelle province di Roma, Latina e Viterbo. Nonostante il nome “romano”, oggi la gran parte della produzione avviene anche in Sardegna, ma nel Lazio resta un punto di riferimento della cucina quotidiana: grattugiato su pasta, a scaglie con fave fresche, o gustato da solo con un filo di miele.
C’è poi il Caciocavallo di Nepi, semiduro e lievemente piccante, e la Ricotta Romana DOP, ottenuta dal siero del latte ovino, che viene usata in piatti dolci e salati, ma anche consumata fresca, con zucchero e cacao, come una merenda d’altri tempi.
Nel Viterbese e nella zona della Maremma laziale si producono altri gioielli meno noti ma straordinari: il Canestrato di Picinisco, il Marzolino, e il Conciato di San Vittore, formaggio affinato con olio d’oliva e spezie, dal gusto intenso e complesso.
Il legame tra formaggio e territorio è ancora oggi fortissimo: ogni valle ha le sue varianti, i suoi tempi di stagionatura, i suoi segreti tramandati tra le famiglie. E ogni morso racconta di pecore in transumanza, di prati verdi e di mani sapienti.
Una tradizione vinicola antica come Roma
Il vino nel Lazio non è solo bevanda: è cultura, è paesaggio, è festa. I Castelli Romani sono celebri per i loro bianchi freschi e fragranti, come il Frascati DOCG, uno dei più antichi vini italiani ad ottenere la denominazione. Si beve giovane, spesso nelle fraschette, accompagnato da porchetta e olive.
Nel nord della regione, nella Tuscia, dominano vitigni come il Trebbiano e il Grechetto, ma anche interessanti rossi da Montepulciano e Sangiovese. Il Cesanese del Piglio, in provincia di Frosinone, è uno dei vini rossi più rappresentativi: corposo, fruttato, ideale con piatti saporiti della tradizione.
Negli ultimi anni, le cantine laziali stanno vivendo una rinascita, con giovani produttori che uniscono tecniche moderne a sapori antichi. Il risultato è una produzione sempre più curata e riconosciuta anche a livello internazionale.
Dove mangiare le specialità laziali
La cucina del Lazio è un viaggio attraverso la storia, la cultura e la natura di una regione che, pur nella sua semplicità, sa sorprendere con piatti ricchi di tradizione. Dalla pastorizia che ha dato vita ai grandi formaggi, ai piatti poveri ma straordinariamente gustosi come la trilogia Cacio e Pepe, Gricia e Carbonara, ogni ricetta è un racconto di generazioni che hanno saputo trasformare ingredienti modesti in tesori gastronomici.
Passeggiando per le vie di Trastevere, cuore vibrante e pittoresco di Roma, ci si immerge non solo nella storia ma anche nei sapori tipici della cucina laziale. Questo quartiere, famoso per le sue strade acciottolate e le piazze vivaci, è il luogo ideale dove fermarsi a degustare i piatti che hanno reso celebre la cucina romana: dalla cacio e pepe alla carbonara, dal carciofo alla giudia al saltimbocca alla romana. L’atmosfera unica di Trastevere, con le sue trattorie tradizionali e le taverne accoglienti, rende ogni pasto un’esperienza indimenticabile, che va ben oltre il semplice piacere del gusto.
Se proprio dobbiamo darvi un paio di dritte su dove andare a mangiare, vi consigliamo tre ristoranti:
Antica Osteria Rugantino: esplorando il gusto autentico della Cucina Romana a Trastevere
il ristorante La Caravella: l’incantevole oasi gastronomica a due passi dal Vaticano
Il Caminetto, il mare cucinato dallo chef Fontana
Non solo Roma
Ma il Lazio non è solo Roma. E’ Sperlonga, Terracina, Ostia… Ovunque l’ospitalità è il “piatto forte” del menù e non c’è ristorante o trattoria che non si distingua per simpatia e cordialità. Ovunque andrete vi rimarranno nel cuore i volti e i sorrisi dei ristoratori laziali. Se si scende verso i Castelli Romani, il panorama cambia ma la qualità del cibo rimane invariata. Qui si trovano osterie e agriturismi che portano in tavola piatti semplici ma ricchi di sapore, come l’abbacchio alla romana o i gnocchi alla viterbese, preparati con ingredienti freschi e locali.
Nelle zone più rurali, come in Ciociaria o nella Tuscia, i ristoranti di campagna offrono esperienze culinarie che raccontano la storia delle tradizioni contadine, in ambienti rustici ma caldi, dove il cibo e il vino sono veri protagonisti. Fermarsi in questi luoghi significa non solo gustare piatti tradizionali ma anche vivere la cultura di una terra che ha sempre dato grande importanza alla sua cucina.
Il Lazio è una tavola che accoglie, racconta e, soprattutto, nutre l’anima. Cucinare laziale non significa solo seguire una ricetta. È una cucina che non ha bisogno di orpelli, ma che emoziona. Perché è onesta, radicata, e soprattutto viva.
Come si prepara la vera carbonara?
Se siete arrivati a leggere fino a qui, vi meritate di scoprire il segreto di come si prepara la vera carbonara.
Innanzitutto, niente pancetta, dolce o affumicata, non importa. Niente pancetta. La vera carbonara vuole, esige e pretende il guanciale.
Secondo errore che non bisogna commettere: la panna. Non c’è neanche l’ombra della panna nella crema della carbonara.
Terzo errore da non fare è la cipolla. Non c’è cipolla, né aglio, né scalogno.
E allora, come si fa ad avere quella salsa gialla gustosa che rende così speciale questo tipico piatto romano?
Vi sveliamo il segreto.
Gli ingredienti sono semplici: spaghetti, uova, pecorino e guanciale.
Far soffriggere il guanciale senza aggiungere olio. Quando è bello croccante, spegnere il fuoco, scolarlo dall’olio e farlo asciugare su della carta da cucina. Nel frattempo fate bollire l’acqua per la pasta.
In una terrina sbattere il tuorlo dell’uovo, uno per ogni commensale e uno “per la pentola”. Quindi per quattro persone mettere cinque tuorli d’uovo. aggiungere una bella quantità di pecorino e sbattere ancora, fino ad ottenere una crema omogenea. Non buttate l’albume. Potrebbe servirvi dopo. Quando la pasta è cotta scolatela e unitela al composto d’uovo e formaggio senza farla riscaldare. A questo punto, abbiamo due scuole di ensiero. Una chiude la carbonara con l’aggiunta del guanciale e il piatto romano è pronto. L’altra, è quella di montare l’albume a neve e aggiungerlo alla pasta già mescolata con il composto di uovo e formaggio, e poi aggiungere il guanciale.
Degustibus.
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