“Devi essere in grado di immaginare fianco a fianco tutto ciò che Matisse e io stavamo facendo in quel momento. Nessuno ha mai guardato il dipinto di Matisse più attentamente di me; e nessuno ha guardato il mio più attentamente di lui. “ Cosi Picasso descrive Matisse e il rapporto di amore-odio che caratterizzerà la loro amicizia fino alla morte. Da entrambi, tutti noi, abbiamo imparato a trasformare, attraverso il brutto, il senso della bellezza in arte. Infatti, se il mercante d’arte Vollard definì quello di Picasso “il lavoro di un pazzo”, “fu Matisse a fare il primo passo nella terra sconosciuta del brutto”, scrisse un critico d’arte americano, descrivendo il Salon des Indépendents del 1910 a Parigi.
Insomma i due artisti si accompagnano per tutta la vita in una interminabile partita a scacchi. Si studiano, si guardano, dipingono a volte quadri con lo stesso soggetto e, addirittura, con lo stesso titolo. Matisse stesso paragona la loro relazione a un incontro di boxe. Wassily Kandinsky li riassume così nel suo On the Spiritual in Art, “Matisse: colore, Picasso: forma. Due grandi tendenze, un solo grande obiettivo”. Picasso stesso afferma “Se non stessi facendo i dipinti che faccio, dipingerei come Matisse”.
Opposti come i due poli
I due si incontrano per la prima volta a Parigi nel 1906 grazie a Gertrude e Leo Stein, scrittori e collezionisti inglesi. Gertrude ama le figure crude e i colori selvaggi di Matisse. Un’offesa ai canoni della bellezza e della sensibilità di allora, ma assolutamente in linea con il suo lavoro di riorganizzazione della sintassi inglese che veniva visto come un oltraggio per le nuove forme inserite. Leo, il fratello, è innamorato invece della pittura di Picasso tanto da investire cifre folli nei suoi quadri. Gli Stein portano Matisse quasi a forza nello studio di Picasso e invitano entrambi a partecipare al loro salotto artistico di Rue de Fleurus 27. All’epoca, i due pittori, hanno ben poco in comune, anzi “eravamo diversi e opposti come il polo nord e il polo sud” dichiara Matisse.
Infatti, in quel periodo, Picasso stava per esplodere nel cubismo emergendo dalle sue visioni rosa e azzurre, mentre Matisse era a capo della corrente dei fauves o bestie selvagge, chiamata così per l’uso brutale del colore, la violenza artistica e la pittura radicale. Ma Picasso vede, appeso proprio nel salotto degli Stein, un dipinto appena arrivato del suo antagonista: Le bonheur de vivre. È la straordinaria sintesi degli esperimenti fauve, una scena idilliaca di nudi sdraiati, che abbracciano amanti sensuali e audaci ballerini spensierati. Colori piatti, figure abbozzate, nulla di simile era mai stato dipinto.


Les Demoiselles o le Bordel d’Avignon
Picasso lo prende come una sfida personale e si mette subito al lavoro su quello che sarà poi ricordato come uno tra i dipinti più sorprendenti Les demoiselles d’Avignon. Attinge a Cèzanne, Gauguin e allo stesso Matisse. Usa cartoline di donne africane come modelli e lo ridipinge più volte. Inizia con un marinaio circondato da cinque prostitute, sopresi da uno studente che tiene in mano un teschio. Conclude la tela poi con solo le donne. Sguardi diretti allo spettatore, volti come maschere grezze, corpi come frammenti.
Esposto per la prima volta nel 1916, il dipinto, intitolato da Picasso Le Bordel d’Avignon, fu considerato immorale. Anni dopo il critico d’arte Andre Salmon, lo ribattezzò Les Demoiselles d’Avignon per ridurne l’effetto oltraggioso. A Picasso, in realtà, non piacque mai e continuò a chiamarlo le bordel. Lo storico dell’arte John Golding, scrive: “Se Le Bonheur de vivre è uno dei punti di riferimento nella storia dell’arte, Les Demoiselles ha cambiato il suo stesso corso. Rimane il dipinto più significativo del XX secolo. Picasso sta portando gli elementi di Cézanne: il cono, il cilindro e la sfera nel cubismo. Matisse sta prendendo l’interesse di Cézanne per l’interezza e la chiarezza delle cifre. Stanno prendendo interpretazioni quasi opposte di ciò che vedono in Cézanne: Picasso lo sta capendo come decomposizione, e Matisse lo sta capendo come composizione“.”. Ma, allora, nessuno poteva saperlo.


“Ma cos’è un Matisse?”
A volte anche in opposizione, il dialogo tra i due artisti diventa ben presto chiaro a tutti. Ci sono molti esempi di queste contaminazioni ed influenze che arrivano come una sciarada incrociata. Uno dei più sorprendenti è I tre ballerini. Dipinto da Picasso nel 1925 mentre lavora alle scenografie per i grandi Ballets Russes di Diaghilev. Guarda caso Matisse, qualche anno prima, era stato scenografo e costumista per lo stesso balletto di Diaghilev. “Matisse!” dichiarava infastidito Picasso “Cos’è un Matisse? Un balcone con un grande vaso di fiori rosso che cade dappertutto!“ Ma quando Picasso si mette al lavoro su I tre ballerini, probabilmente stava guardando alle sue spalle un dipinto che Matisse aveva realizzato nel 1912, Nasturzi con “Danza” II. Ci sono stati momenti in cui i ritratti di Picasso e Matisse sembrano dipinti con lo stesso pennello, se non con la stessa mano.
Durante la Seconda Guerra Picasso rimane a Parigi e Matisse nel Sud della Francia, ma, anche se fisicamente lontani, il loro rispetto e la loro amicizia diventano sempre più saldi. Picasso si prende cura dei dipinti di Matisse, rimasti a Parigi, conservandoli nel caveau di una banca. Da parte sua Matisse, sebbene in cattive condizioni di salute, difende Picasso dai suoi critici. Eppure entrambi continuano a pungersi in un rapporto eterno di amore e odio. Nel 1945,alla fine della Guerra, allestiscono insieme una grande mostra al Victoria and Albert Museum di Londra. Mentre si prepara per questa mostra, Matisse scrive. “Domani, domenica, alle 4 in punto, visita di Picasso. Mentre mi aspetto di vederlo domani, la mia mente è al lavoro. Sto facendo questo spettacolo di propaganda a Londra con lui. Posso immaginare la stanza con le mie opere da un lato e le sue dall’altro. È come se dovessi convivere con un epilettico“.
Solo una persona ha diritto di criticarmi
Matisse e Picasso, pur partendo da approcci diversi, hanno reso l’arte moderna. Matisse amava che i suoi dipinti sembrassero incompiuti e Picasso era deciso a fare a pezzi tutto. “Solo una persona ha il diritto di criticarmi”, ha detto Matisse. “È Picasso”.
Dopo la morte di Matisse nel 1954, Picasso era solo, ma, in realtà, non del tutto. “Quando Matisse morì, mi lasciò le sue odalische in eredità”, dichiarò, e procedette a scomporle in una serie di suoi dipinti. Picasso morì nel 1973, credendo fino alla fine, come disse: “Tutto sommato, c’è solo Matisse”.
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