Toro…ma cos’era mai questo Toro?

Ma cos’era mai questo Toro ” storia di un amore

Ripercorriamo la storia del Toro attraverso la straordinaria interpretazione di Vincenzo Santagata

Capita raramente di sentirsi davvero coinvolti in uno spettacolo: concerto, esibizione di cabaret o teatro poco importa. Rare sono le volte in cui uno spettatore si sente partecipe per davvero di uno show: ecco in questa occasione, per quanto mi riguarda, è stato così.

Uomo, padre e tifoso: i tre volti del protagonista, Marco Buosi, che solo in una soffitta, alla ricerca delle foto di una vecchia gita scolastica, si imbatte in una serie di cimeli della squadra del cuore, il Toro naturalmente, e man mano che li ritrova, li racconta alla figlia Carlotta, presente in fotografia, protagonista silenziosa e virtuale, ripercorrendo con un pizzico di nostalgia la storia della squadra granata.

Vincenzo Santagata vestito con jeans e camicia bianca con le braccia conserte sul palco con sullo sfondo una scrivania con una lampada accesa e il cuscino con scritta grande magico Toro
Vincenzo Santagata

Ma cos’era mai questo Toro

Ma cos’era mai questo Toro” (tratto dall’omonimo libro scritto da Sabrina Gonzatto), rappresenta esattamente quello che io sono, quelli che sono i miei sentimenti e i miei amori: la mia città, Torino, quella dove sono nato e vissuto, che amo nonostante i mille problemi che la assillano, i figli, in particolare le due ragazze, entrambe lontane, perché la vita e questa nostra società, a volte impongono una separazione forzata, e il Toro, molto più che una passione calcistica, una fede, uno stile di vita. Uomo, padre, tifoso: i miei tre volti, a ritmo di musica.

foto della squadra del grande Torino proiettata su uno schermo durante lo show "cos'era mai questo Toro "
Il Grande Torino

Una soffitta appunto, le figurine Panini (le care “figu”, compagne di tanti pomeriggi passati in cortile con gli amici, e di tanti giochi, che al confronto il poker è una cosa da ridere), un mangiadischi (quante emozioni nel sentire ancora “My sweet Lord” di George Harrison), un vecchio diario (tutti nella vita, almeno per una volta abbiamo scritto “fogli di parole”), il cuscinetto da stadio (compagno inseparabile di tante partite), una bandiera (se sbiadita è ancora più bella): oggetti impolverati, mai dimenticati, che diventano lo spunto per ripercorre la storia dell’unica squadra al mondo che può dirsi leggenda.

Un monologo struggente, emozionante (non solo per i tifosi granata), alternato ad una serie di video suggestivi e toccanti, sottolineati da una colonna sonora azzeccatissima: il Grande Torino, dove  anche chi sta sul palco, non riesce a trattenere le lacrime (“All the time in the world” di Louis Armstrong), la farfalla granata Gigi Meroni (“Blowin’ in the wind” di Bob Dylan), la nascita del “tremendismo”, dedicata a Gustavo Giagnoni e Giorgio Ferrini (“Hurricane”, sempre di Bob Dylan), lo scudetto rubato nel 1972 e la finale maledetta di Amsterdam del 1992 (“We are the Champions”, i Queen), gli allenatori (“My heart will go on” di Celine Dion); e poi ancora tanti altri protagonisti della storia granata, fino alla ormai mitica “buca di Maspero” nel derby del 2001.

NON PUOI SCAPPARE A LUNGO DALLA TUA STORIA, PERCHÉ ARRIVA SEMPRE IL MOMENTO IN CUI ESSA TI RIPORTA LÀ DA DOVE VIENI,

così era scritto su un muro del vecchio Stadio Filadelfia, prime che le ruspe lo abbattessero: questa è la nostra storia, questa è la nostra fede, e sulle note di “La leva calcistica del ‘68” di Francesco De Gregori, che chiude lo show, sono in tanti in platea ad asciugarsi gli occhi, e non per colpa del temporale che ad un certo punto dello spettacolo ha pensato bene di diventare protagonista indesiderato.

Temporale che non ha minimamente impensierito il protagonista assoluto, Vincenzo Santagata, che ha interpretato il monologo con pathos e sentimento, emozionandosi ed emozionando il pubblico, coinvolgendosi e coinvolgendo i presenti, regalandoci così una performance da paura (granata).

Esser granata vuol dire fede e amore

Canta Valerio Liboni nel nostro inno, (non a caso è anche il titolo della mia rubrica quando scrivo di Toro) e Winnye ci spiega esattamente il perché.

Non sono bravo a dire quello che provo”, dice a un certo punto il protagonista.

Anche in questo caso, anche per me è così: mi risulta difficile trovare gli aggettivi adatti per descrivervi l’interpretazione di Winnye; posso soltanto ringraziarlo, credo a nome di tutti i presenti, e di quelli che vedranno lo spettacolo in futuro, per averci regalato delle emozioni vere, indipendentemente dalla fede calcistica.

La bravura di un attore sta proprio in questo, e lui è bravo, “tremendamente” bravo.

Lele Boccardo
Lele Boccardo
(a.k.a. Giovanni Delbosco) Direttore Responsabile. Critico musicale, opinionista sportivo, pioniere delle radio “libere” torinesi. Autore del romanzo “Un futuro da scrivere insieme” e del thriller “Il rullante insanguinato”. Dice di sè: “Il mio cuore batte a tempo di musica, ma non è un battito normale, è un battito animale. Stare seduto dietro una Ludwig, o in sella alla mia Harley Davidson, non fa differenza, l’importante è che ci sia del ritmo: una cassa, dei piatti, un rullante o un bicilindrico, per me sono la stessa cosa. Un martello pneumatico in quattro: i tempi di un motore che diventano un beat costante. Naturalmente a tinte granata”.