Vincent Van Gogh: mangiatori di patate, contadini e estrema miseria

C’è un periodo pittorico della vita di Vincent Van Gogh che non figura sicuramente tra i più noti, anche se noto è il suo quadro simbolo: I mangiatori di patate. Eppure è proprio in quel periodo, in quei dipinti così lontani dai paesaggi solari cui siamo abituati, che l’artista esprime un tormento e disagio sociale. Un disagio provato in prima persona durante il periodo trascorso come maestro supplente e predicatore laico nel bacino carbonifero belga del Borinage. Da questa esperienza, in cui sperimenta in prima persona la profonda povertà degli operai, Vincent Van Gogh ricava la profonda impressione di un’estrema miseria.

Contadini (Contadino e contadina che piantano patate 1885), minatori, pescatori (Testa di vecchio pescatore con cappuccio di incerata 1883) e tessitori (tessitore al telaio 1884), infatti, sono i soggetti preferiti delle sue prime opere. I rappresentanti del proletariato rurale diventano protagonisti dei quadri in cui Van Gogh esprime il concetto di lode per la cultura artigiana. Un concetto in netta antitesi al suo allontanarsi dal mondo urbano e progressista che ormai sta entrando in piena corsa nel processo di industrializzazione.

Tessitore al telaio Vincent Van Gogh

Van Gogh e i contadini

I soggetti della sua prima fase creativa sono, quindi, gli anonimi rappresentanti della folla che vanno a soppiantare gli eroi storici e mitologici dell’arte classica. L’arte creata dal popolo per il popolo: è questa la spinta sociale che mette in moto la sua creatività. I contadini diventano protagonisti e pubblico dei suoi dipinti come succede per l’opera I mangiatori di patate di cui Van Gogh, con l’aiuto del fratello Theo, stampa venti litografie a un costo accessibile anche alle persone della zona.

litografia dei mangiatori di patate Rijksmuseum di Amsterdam licenza CC

I mangiatori di patate

Quest’opera di Vincent Van Gogh si può ritenere il riassunto della sua prima fase creativa. Il pasto frugale condiviso in fratellanza dalle cinque figure emaciate e sfinite comunica affinità, povertà, vicinanza. Queste cinque persone si passano patate e e caffè d’orzo da una parte all’altra del tavolo con grande naturalezza. E’ una condivisione serena che solo chi non possiede nulla riesce a capire, ma soprattutto a fare. L’estrema miseria mette da parte qualsiasi egoismo e raggiunge in questo dipinto alte vette di pathos.

quadro i mangiatori di patate di vincente Van gogh in un ambiente scuro 5 persone sideono in una misera mensa

Ho voluto, lavorando, far capire che questa povera gente, che alla luce di una lampada mangia patate servendosi dal piatto con le mani, ha zappato essa stessa la terra dove quelle patate sono cresciute“. Scrive Vincent Van Gogh al fratello Theo -.”Il quadro, dunque, evoca il lavoro manuale e lascia intendere che quei contadini hanno onestamente meritato di mangiare ciò che mangiano. Non vorrei assolutamente che tutti si limitassero a trovarlo bello o pregevole“. Per contro il suo grande amico e mentore il pittore Anthon van Rappard dirà dello stesso dipinto “Converrai con me che un lavoro del genere non può essere preso sul serio. Per fortuna puoi fare meglio. Perché hai osservato e trattato tutto allo stesso modo, superficialmente? Perché non hai studiato a fondo i movimenti? Così, i personaggi sono in posa“. Queste parole di Rappard segneranno, in modo ineluttabile, la fine del loro sodalizio.

studi su mani e forchette fatti nel villaggio di Neunen da Van gogh matita su carta
studi per il quadro i mangiatori di patate _ Nuenen 1884 licenza CC

Le feroci critiche di Rappard e Bernard

Rappard, con questa critica feroce, fa riferimento agli errori che lui, di formazione accademica, aveva rilevato: braccia troppo corte, visi gonfi e proporzioni sbagliate. In realtà Vincent Van Gogh, cosa che forse era sfuggita a Rappard, aveva aveva sviluppato un proprio canone estetico ispirandosi alla fisionomia delle persone del luogo, che bella non era, ma incarnava il vero.  “Voglio ricavare il soggetto dagli stessi caratteri – scrive van Gogh al fratello Theo -. Ancor più m’interessa la proporzione di un volto e il modo in cui la rotondità della testa si rapporta alla figura intera“. “Di tutti i miei lavori, ritengo il quadro dei contadini che mangiano patate, che ho dipinto a Nuenen, decisamente il migliore che abbia fatto“. Afferma van Gogh in una lettera alla sorella Wilhelmina nel 1887.

Ma anche un altro suo amico, il pittore Emile Bernard, molto legato a Gauguin e fondatore dei “Pittori del Petit-Boulevard” rimane turbato di fronte ai Mangiatori di patate. “In tutto quel disordine ero turbato dalla raffigurazione del pasto di alcuni poveri alla luce tetra di una lampada in una capanna dall’aspetto sinistro. Lo chiamava I mangiatori di patate. Era brutto in modo magnifico e pieno di vita inquietante”.  Oggi l’opera è esposta al Museo Van Gogh di Amsterdam.


la lettera la fratello Theo, 1885, in cui appare un primo schizzo de I mangiatori di patate  licenza CC
la lettera la fratello Theo, 1885, in cui appare un primo schizzo de I mangiatori di patate licenza CC

La rivoluzione di Van Gogh

In questo Van Gogh diventa punto di rottura con la pittura formale e tradizionale. La sua solidarietà con i poveri e l’avversione per un edificio normativo di stampo classico contribuiscono a creare una nuova estetica. La deformazione delle figure e i colori accesi ne attestano la singolare qualità. Il linguaggio figurativo di Van Gogh si orienta sempre più verso il vero, verso la corrente Naturalistica aperta dallo scrittore Emile Zola che descrive in tono neutro la miseria degli operai, evitando però il coinvolgimento personale.

Non è solo in questa pittura. Di sicuro prende spunto da Courbet che nel 1849 dipinge gli Spaccapietre e da Millet con Angelus del 1850. Van Gogh parte proprio qui per invitarci a vedere una nuova bellezza.

Quando si ha la salute, si deve poter vivere di un tozzo di pane, lavorare per tutto il giorno e poi avere ancora la forza di fumare e bere un bicchierino. ecco di cosa ha bisogno un uomo in queste circostanze. E poi sentire le stelle e l’infinito lassù. Allora la vita, malgrado tutto è una favola.

Vincent van Gogh

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Monica Col
Monica Col
Vicedirettore di Zetatielle Magazine e responsabile della sezione Arte. Un lungo passato come cronista de “Il Corriere Rivoli15" e “Luna Nuova”. Ha collaborato alla redazione del “Giornale indipendente di Pianezza", e di vari altri giornali comunali. Premiata in vari concorsi letterari come Piazza Alfieri ( 2018) e Historica ( salone del libro 2019). Cura l’ufficio stampa di Parco Commerciale Dora per la rassegna estiva .Cura dal due anni la promozione della Fondazione Carlo Bossone,. Ha curato per quattro anni l'ufficio stampa del progetto contro la violenza di genere promosso da "Rossoindelebile", e della galleria d’arte “Ambulatorio dell’Arte “. Ha curato l'ufficio stampa e comunicazione del Movimento artistico spontaneo GoArtFactory per tre anni. Ha collaborato come ufficio stampa in determinati eventi del Rotary distretto 2031. Ė Presidente dell 'Associazione di promozione sociale e culturale "Le tre Dimensioni ", che promuove l' arte , la cultura e l'informazione e formazione artistica in collaborazione con le associazioni e istituzioni del territorio. Segue la comunicazione per varie aziende Piemontesi. Dice di sé: “L’arte dello scrivere consiste nel far dimenticare al lettore che ci stiamo servendo di parole. È questo secondo me il significato vero della scrittura. Non parole, ma emozioni. Quando riesci ad arrivare al cuore dei lettori, quando scrivi degli altri ma racconti te stesso, quando racconti il mondo, quando racconti l’uomo. Quando la scrittura non è infilare una parola dietro l’altra in modo armonico, ma creare un’armonia di voci, di sensazioni, di corse attraverso i sentimenti più intensi, attraverso anche la realtà più cruda. Questo per me è il vero significato dello scrivere".