La borsa pastore, tanto veloce da diffondersi ovunque
Per i contadini d’ogni continente e latitudine la borsa pastore è una malerba. Già i botanici medioevali si meravigliavano della sua velocità di propagarsi e d’infestare campi, prati e giardini. Ciò dipende dal fatto che non solo si avvale degli insetti impollinatori, ma è persino in grado di autoimpollinarsi da sola. Difficile da estirpare, è considerata una maledizione quando attecchisce in un terreno coltivato. Eppure la sua vocazione cosmopolita, la sua capacità di acclimatarsi ovunque, senza mai darsi per vinta, non può che rendercela piuttosto simpatica.


Shepherd’s purse, Mother’s heart or Pickpocket?
La denominazione borsa pastore è stata spiegata dal botanico inglese dell’epoca Tudor William Turner e poi ripresa un secolo dopo dal connazionale William Cokes (1657). Entrambi fanno derivare il termine inglese shepherd’s purse dalle bisacce di pelle che i pastori si mettono ad armacollo e che assomigliano ai suoi frutti. Anche nei quadri dei pittori olandesi del Seicento si notato borse di questo tipo, spesso più piccole e appese alle cinture di personaggi maschili. In Italia, si riscontra un’analoga similarità tra le silique della borsa pastore e le sporte dei pastori d’Abruzzo.
In Irlanda e in Scozia, questa pianta è tuttavia detta mother’s heart, perché i frutti assomigliano pure a un cuore. C’è un gioco tradizionale che, nelle campagne, fanno i bambini, per predire il proprio futuro, per scoprire se da grandi saranno uomini onesti o malfattori. Essi raccolgono le silique a piena maturazione: se esse rimangono intatte tra le loro dita, saranno persone perbene, altrimenti infrangeranno il cuore della mamma. Si dice, infatti, che la madre morirà di crepacuore per le future malefatte del figlio che ne ha rotto incautamente il frutto. Per fortuna è solo uno scherzo di bambini! Infine, i contadini irlandesi hanno soprannominato questa specie pickpocket perché è una sorta di borseggiatore che ruba loro la terra da coltivare. In lingua gaelica, si traduce come Sparán aoire, dove sparán è il sostantivo borsa e aoire è il genitivo di pastore.


Ritratto di un’erba comune e insignificante
La borsa pastore o borsacchina appartiene, come i cavoli, alla famiglia delle Crucifere. È stata catalogata con la dicitura latina Capsella bursa-pastoris (L.) MED. e il suo aspetto non è affatto appariscente. Pur essendo comunissima, si nota a malapena, passeggiando lungo i sentieri. È una pianta erbacea la cui altezza è compresa tra la decina di centimetri e il mezzo metro. Presenta una rosetta basale formata da foglie più o meno frastagliate. Ci sono foglie più piccole, sessili, anche lungo i fusti, che possono essere semplici o ramificati. I fiori, che sbocciano tutto l’anno, da gennaio a dicembre, sono piccini, con 4 petali bianchi, e sono riuniti in infiorescenza assai allungata. I frutti sono le silique triangolari, cordate, che contengono minuscoli semi ovali, di colore bruno chiaro.


La borsa pastore, nella storia della fitoterapia.
Il già citato naturalista inglese William Turner era convinto che, per la teoria della signatura, la borsa pastore giovasse ai reni. La motivazione era legata al fatto che i suoi piccoli semi ne avevano all’incirca la forma. Fu Pietro Andrea Mattioli, nel XVI secolo, a indicarne le proprietà emostatiche, ritenute valide da tutti i medici naturalisti a lui successivi. Henri Leclerc, il medico francese che all’inizio del secolo scorso coniò il termine “fitoterapia”, ne studiò l’efficacia come regolatore del flusso mestruale. Gli studi clinici più recenti hanno permesso di isolare principi attivi interessanti. Contiene infatti bursina (un alcaloide instabile del gruppo delle saponine), potassio, ferro, calcio, magnesio, fosfati, sostanze tanniche e gli acidi acetico, citrico e malico. La maggior parte degli autori concorda sul fatto che sia la presenza del potassio a svolgere l’azione benefica per la salute. È prescritta anche in omeopatica, nella cura dei disturbi renali e biliari e per fermare le emorragie.


Il magnifico tè di borsa pastore
In realtà, come tutte le tisane che si preparano con le Crucifere, l’infuso di borsa pastore ha un sapore spiccato e non è molto gradevole. È però indubbio che faccia bene. La droga è costituita dall’intera pianta, che è preferibile usare fresca. Se ne mettono due cucchiai rasi in mezzo litro d’acqua, si porta a bollore, si spegne, si copre e si lascia riposare per un quarto d’ora. Si filtra e si dolcifica a piacere, oppure si aggiungono poche gocce di limone, per renderne migliore il sapore. Come qualunque altra bevanda alimentare, si può assumere lungo la giornata. Giova a chi soffre di problemi emorragici (emottisi, ematuria, emofilia) e nelle dismenorree e nelle metrorragie, ossia nei forti sanguinamenti mestruali di pubertà e premenopausa. Contrasta i disturbi provocati da emorroidi, varici, scorbuto, dissenteria, calcolosi dei reni e persino da affezioni nervose. Riguardo all’uso esterno, la pianta tritata e applicata sulla pelle lenisce le piaghe. È quindi un’erba umile, senza pretese, dalle molteplici e insospettate virtù, che svela il suo cuore materno non solo nei frutti, ma soprattutto nell’esserci utile.