Il bosso, al quale le scatole devono il nome, implacabile nel dare scacco matto

Il bosso e il mistero della sua antica diffusione

Il bosso era una pianta molto amata dagli antichi romani, come ci testimonia Plinio stesso. Essi la coltivavano per la sua attitudine ad adattarsi a diversi climi e a diverse esposizioni luminose. Nella conquista di un impero tra i più vasti nella storia, ne portavano con loro i semi e li piantavano dove edificavano nuove città. Per questo è sorto il dilemma se nella Francia settentrionale (Normandia e Bretagna) e nelle Isole Britanniche sia specie autoctona oppure no. A lungo si è pensato che l’avessero introdotta i romani, senza tuttavia riuscire a spiegarne la presenza in Irlanda, che non fu invasa. Poi tutto fu rimesso in discussione dal ritrovamento in un insediamento neolitico presso Brighton, in Inghilterra. Qui furono rinvenuti i resti di legna di bosso carbonizzata, che era stata usata per alimentare un falò. A dimostrazione che la specie era già presente a quelle latitudini in epoca preistorica.

cespugli

Un legno straordinario che non galleggia

Il motivo principale per cui il bosso fu pianta così apprezzata è dovuto non tanto all’aspetto ornamentale di sempreverde, dalle foglie scure e brillanti. È piuttosto legato alla qualità del suo legno, che è molto duro, assai omogeneo e dalla finissima tessitura. Allo stato secco, resta più pesante dell’acqua e non galleggia, andando subito a fondo. Inoltre può essere tagliato in ogni senso, rispetto alla disposizione delle fibre, e garantisce una perfetta levigatura. I ceppi, detti nocchi, offrono materiale dalla sorprendente e decorativa venatura. In epoca classica, i greci ne ricavavano gli scrigni in cui contenere i gioielli. Lo indicavano con il termine puksos, che traduce sia la pianta sia la scatola realizzata con il bosso.

Allo stesso modo, in lingua inglese, il sostantivo box si riferisce tanto alla pianta quanto ai contenitori, in origine ricavati da essa. E così avviene per la lingua irlandese, in cui bosca è di nuovo l’albero ma anche l’oggetto. Nel corso dei secoli, si sono realizzati con il legno di bosso manufatti piuttosto particolari. L’elenco è curioso: cucchiai, forchette, tabacchiere, cannucce per bere i liquidi, statue, pettini, viti, stampi per il burro e persino i grani del rosario! Citiamo infine i giochi, dai fischietti per i bambini agli scacchi perfettamente torniti per gli adulti. D’altronde, con un legno così pesante e resistente, c’è molta soddisfazione a dare scacco matto!

folioline in primo piano con piccole fioriture

L’Irlanda e le tradizioni della Settimana Santa

Il bosso è spesso stato utilizzato per gli oggetti religiosi: vi abbiamo già anticipato le corone del rosario, ad esempio. Con il suo legno sono stati realizzati anche gli aspersori con cui il sacerdote distribuisce sui fedeli l’acqua benedetta. In Irlanda, dato che il bosso sboccia nei giorni della Settimana Santa, un tempo le benedizioni venivano impartire addirittura con i suoi rami fioriti. Non solo: il Venerdì Santo, c’era l’abitudine di lanciarne tra le onde del mare i rametti benedetti la domenica precedente, che è la Domenica delle Palme. Questo rito avrebbe garantito ai pescatori un’abbondate pesca per tutta la stagione estiva.

Nell’Isola di Smeraldo il bosso è considerato simbolo d’immortalità e per questo associato al Venerdì Santo, giorno in cui Gesù muore in croce. Diventa così per i cristiani promessa di risurrezione a Pasqua. Rami di bosso fiorito vengono portati sulle tombe dei defunti e i cespugli – anche qui in Italia – sono frequenti nei cimiteri. Nel giorno di Pasqua, infine, le ghirlande delle sue fronde saranno poste sulle porte delle fattorie, per custodire la famiglia e il bestiame. Tutti saranno così tutelati dai fulmini, dalle tempeste e dalla cattiva sorte e dalla cova delle galline si schiuderanno frotte di pulcini. A sera, toccherà alle ragazze nubili gettare i loro rami sui falò: se bruciando le foglie si arricceranno, si sposeranno senz’altro entro l’anno.

girlanda di rami di bosso e nastri bianchi

Il bosso che modella i giardini

Si tratta di una pianta assai longeva, con esemplari che hanno superato i seicento anni di vita, ma altrettanto lenta nella crescita. Per questo motivo difficilmente supera i 12 metri d’altezza. Appartiene alla famiglia delle Buxacee ed è stata catalogata come Buxus sempervirens L. Già nel nome latino c’è la sua caratteristica di essere sempreverde. È specie da giardino assai ricercata, a costituire cespugli o siepi. Si impiega infatti nella cosiddetta arte “topiaria”, con cui le piante vengono sagomate a scopo ornamentale.

Le foglie sono lucide e brillanti, dalla tinta verde scuro; hanno forma ovale, sono tra loro opposte e appaiono smarginate all’apice. I fiori dalle sfumature giallo-verdastre sono riuniti in racemo: ci sono più fiori maschili a 4 petali e uno terminale femminile, a 6 petali. Sbocciano tra marzo e aprile e vengono impollinati dagli insetti. I frutti sono capsule bluastre con tre protuberanze: a settembre, seccando, diventano marroni e liberano i piccoli semi neri.

il bosso nell'arte topiaria della composizione dei giardini
esempio di arte topiaria

Il bosso in fitoterapia: così salutare e così velenoso!

Come principi attivi, oltre a olio essenziale e a tannini, il bosso contiene un terribile cocktail di alcaloidi: bussina, parabussina, bussinidina, parabussinidina, bussamina, ciclobussina. In altre parole, è un potente veleno che non deve mai essere utilizzato come farmaco fai da te, anche perché un’eventuale tisana di bosso avrebbe un sapore disgustoso. Al limite può essere prescritto da un medico e assunto in preparati (tinture o alcolati) solo e unicamente sotto stretto controllo medico. In questo caso, può avere effetti benefici e, nel corso dei secoli, ci sono stati molti studi a suo riguardo.

Nel XII secolo, la santa erborista Ildegarda di Bingen ne approfondì le proprietà depurative. I medici del XVI secolo (Mattioli, Roques, Bodart, Ettmuller, Gilibert, ad esempio) ne vantarono la virtù di contrastare la sifilide, paragonandolo all’esotico legno santo. Nel 1827, Richard e Chevalier ne individuarono le proprietà sudorifere. Bouchardat nel 1846 e Cazin nel 1850 lo prescrivevano contro le forme reumatiche croniche, le artriti e la gotta. A partire dal XVIII secolo, in Germania, ne fu evidenziato il potere antifebbrifugo: successivamente, Leclerc ne sostenne l’efficacia anche nei casi di resistenza al chinino. È pure lassativo, disinfettante e utile nelle infezioni biliari, ma non più di altre erbe medicinali che, per fortuna, non sono velenose!

rami svettanti su cielo azzurro

Un’ultima nota di colore

Un tempo, nelle campagne, il decotto di bosso era utilizzato per tingere i capelli di rosso e per rallentarne la caduta. Il medico tedesco Rosinus Lentilius (1657 – 1733), noto per aver scritto il trattato “Contro l’uso dei salassi nel periodo degli equinozi”, riferisce una storia singolare. Pare che un contadino suo contemporaneo non accettasse la sventura di essere calvo. Cominciò allora a frizionarsi la testa con il decotto di bosso e, in breve, il suo cranio si ricoprì di un fitto vello castano-rossastro. Purtroppo il liquido gli colò anche sul viso e sul collo, tanto che anche queste parti divennero irrimediabilmente pelose. Morale della favola: Rosinus Lentilius sconsigliava in modo drastico di ricorrere alla velenosa lozione di bosso. Meglio tenersi la calvizie e la salute!

Maura Maffei
Maura Maffei
Maura Maffei è da trent’anni autrice di romanzi storici ambientati in Irlanda, con 17 pubblicazioni all’attivo, in Italia e all’estero: è tra i pochi autori italiani a essere tradotti in gaelico d’Irlanda (“An Fealltóir”, Coisceim, Dublino, 1999). Ha vinto numerosi premi a livello nazionale e internazionale, tra i quali ci tiene a ricordare il primo premio assoluto al 56° Concorso Letterario Internazionale San Domenichino – Città di Massa, con il romanzo “La Sinfonia del Vento” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2017) e il primo premio Sezione Romanzo Storico al Rotary Bormio Contea2019, con il romanzo “Quel che abisso tace” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2019). È a sua volta attualmente membro della Giuria del Premio Letterario “Lorenzo Alessandri”. Il suo romanzo più recente è “Quel che onda divide” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza 2022) che, come il precedente “Quel che abisso tace”, narra ai lettori il dramma degli emigrati italiani nel Regno Unito, dopo la dichiarazione di Mussolini alla Gran Bretagna, e in particolare l’affondamento dell’Arandora Star, avvenuto il 2 luglio 1940, al largo delle coste irlandesi. In questa tragedia morirono da innocenti 446 nostri connazionali internati civili che, purtroppo, a distanza di più di ottant’anni, non sono ancora menzionati sui libri di storia. Ha frequentato il corso di Erboristeria presso la Facoltà di Farmacia di Urbino, conseguendo la massima votazione e la lode. È anche soprano lirico, con un diploma di compimento in Conservatorio. Ama dipingere, ha una vasta collezione di giochi di società e un’altrettanto vasta cineteca. È appassionata di vecchi film di Hollywood, quelli che si giravano tra gli Anni Trenta e gli Anni Sessanta del secolo scorso. Tra i registi di allora, adora Hawks, Leisen e Capra. Mette sempre la famiglia al primo posto, moglie di Paolo dal 1994 e madre di Maria Eloisa.