Franco Battiato: oggi si è aperta un voragine contro il cielo

La morte di Franco Battiato non è solo una “perdita per la musica italiana”, ma la perdita di un patrimonio culturale, artistico e umano

Ci sono notizie che creano un’onda d’urto che scaraventa a terra come un pugno nello stomaco che toglie la forza di respirare. Poi quando si trova la forza di rialzarsi, ci si trova sul bordo di una enorme voragine. Che, oltre ad avere inghiottito tutto, si è portata via anche le nostre parole e la capacità di poterla descrivere.A Venezia, una sera di settembre del 1981.

Si potrebbe dire che tutto abbia inizio lì. Ma questa non è la storia romantica di un viaggio in gondola, né un ricordo malinconico e sbiadito tra le calli della città lagunare. Più banalmente, è la genesi di una attrazione che si sviluppa da un tubo catodico in bianco e nero. Le giornate si accorciano inesorabili e quella notte il ritorno all’ora solare farà il resto.

Era l’era del cinghiale bianco…

La voce della Goggi che presenta la Mostra internazionale di Musica Leggera parla quasi sommessamente della “ironia di Franco Battiato”.

Franco Battiato… dove ho già sentito parlare di costui? Devo averlo visto arrancare nelle posizioni centrali della Superclassifica di Sorrisi e Canzoni TV. Probabilmente uno di quegli artisti troppo goffi, settoriali e improponibili per avere successo. Probabilmente è così, anche se la sua esibizione cattura la mia attenzione.Pantaloni alla zuava, podio dal quale declama il monologo della sua canzone.

Lui che si toglie gli occhiali da sole quando dice di metterseli, un megafono a sottolineare il ritornello e un coro di madrigalisti a ripeterne la sostanza. E poi quel viso magnetico, così somigliante a quello che era stato di mio nonno. Tanto mi basta, voglio saperne di più.

Compro il 45 giri, che non fa lunga strada. Bandiera Bianca arriva al numero 17 dei “Dischi Caldi” e anche questo suo lavoro, come i precedenti, sembra relegato alle hit parade colte. Il pubblico guarda, annusa e se ne va. Stessa cosa capita all’LP, La voce del Padrone, anche se dalle radio si inizia a sentire che qualcosa bolle in pentola.

Poi… poi tutto esplode.

E’ la primavera del 1982. Sono anni strani, anni particolari, a cavallo tra due mondi, che resteranno impressi. Tutto esplode. Il disco di Battiato sale lentamente le classifiche, fino a inchiodarsi al primo posto.

Vi resterà per mesi.

E’ l’estate dei mondiali, delle corse di noi ragazzini dietro un pallone, con “Cuccuruccuccù” che suona dal Juke-box del bar.

E’ Italia-Brasile vista col cuore in gola e col “Centro di gravità permanente” ascoltata in quel teso intervallo. Attimi che vengono incisi inconsapevolmente nel bronzo della memoria grazie all’enzima di quella musica.

Un milione di copie vendute, mai successo in Italia.Battiato diventa un mito, lui che non vuole esserlo, quasi a disagio tra critici improvvisati che tentano di interpretarlo sociologicamente e folle che lo acclamano.Battiato ha 37 anni quando diventa il Mito.

A molti sembra vecchio e lui ne ride.

Erano Mondi lontanissimi…

Da qualche parte ho letto che “La voce del padrone” fu uno dei pochi dischi a mettere d’accordo critica e pubblico, mentre li prendeva per i fondelli entrambi.Non posso che essere d’accordo.

Da quel momento è tutto un cercare di capire e di aggiornarsi correndo dietro nel tempo. “Patriots” (capolavoro trascurato), “L’era del Cinghiale bianco”, l’attesa spasmodica per “L’arca di Noè”. Arrivo anche ad acquistare “L’Egitto prima delle sabbie”, pugnalata sperimentale per un ragazzino, ma capire non è fondamentale. Mi arrabatto a recuperare il sunto di “Fetus/Pollution”, ristampato d’urgenza dalla casa discografica Orizzonte, insieme a ricordi di quando si esibiva con tastiere elettroniche e tutti lo fischiavano.

Escono libri, si girano special televisivi.

Battiato sorge statuario come il “Mullholland Drive” di Lynch di inizio anni 2000. Affascinante e intrigante proprio perché non ci sono chiavi di lettura.Diventa improvvisamente il Re Mida della musica, Alice, Giuni Russo, Milva, tutto è oro, tranne forse un tentativo fallito con la cantante Sibilla.Seguiranno altri lavori, lo straniante “Orizzonti perduti” e il consistente “Mondi lontanissimi”, quando lui, di ritorno dal Mito come scrisse La Stampa, si esibisce alla Pellerina di fronte alle più disparate generazioni.Fenomeno curioso il suo. La gente lo apprezza perché parla di pulsioni terrene senza essere sdolcinato.Da Sinistra lo si apprezza perché lo si ritiene di una Destra illuminata.

Da Destra lo si apprezza perché lo si ritiene di una Sinistra illuminata.E lui sogghigna sornione, come ha sempre fatto.Scorrono gli anni, c’è sempre una nota giusta al momento giusto. Da “Nomadi” che accompagna le storie giovanili, a quell’impensabile e inaccessibile capolavoro che è “La cura”, che pare messo quasi in comunicazione con una immanenza semantica e cognitiva divina.

Sempre alla ricerca di un miglioramento, artistico, espressivo, umano.

Era IL Maestro Franco Battiato

Ci sono persone che in vita pretendono di essere chiamati “Maestri”, senza averne carisma, spessore o umiltà. Franco Battiato è stato un’artista che ha sublimato la sua esistenza, una delle poche persone il cui appellativo è stato unanimemente riconosciuto con lui ancora in vita.Una di quelle persone che nascono ogni cento anni e che quando se ne vanno si teme se ne possa perdere l’insegnamento.Si dice spesso, quando se ne vanno i propri miti, che si portino via gli anni migliori.

Anche in questo caso è così, ma noi siamo qui sul brodo di questa voragine questa volta senza vere e proprie lacrime, se non quelle che fuoriescono dalla nostra anima.Sì, tutto sprofonda in quella voragine, al punto da non lasciarci trovare le parole esatte per definire la nostra amarezza.

Ma se solleviamo leggermente gli occhi, ci accorgiamo che il fall-out è sbagliato. Che dopo l’esplosione tutto non sta ricadendo verso il basso. Che questa è una voragine che porta lassù, verso il cielo, nell’immanenza. Verso la quale noi, comparse inconsapevoli di quello che è stato, allunghiamo le braccia.Grazie Maestro.

In qualsiasi universo ora tu stia ampliando e condividendo le tue conoscenze.

Porta memoria di quello che è stato. Grazie.

Mauro Saglietti
Mauro Saglietti
Mauro Saglietti nasce a Torino il 25 maggio 1968, già appassionato di musica. Troppo piccolo per andare a Woodstock l’anno seguente, nonostante i suoi ripetuti strilli in tal senso, tenta comunque di imbarcarsi su di un volo intercontinentale, ma la statura e l’andatura tremolante lo tradiscono. Trascorre con inconsapevole disinvoltura gli anni dell’adolescenza attraverso la Guerra Fredda e la paura dell’atomica, gli anni della tempesta ormonale attraverso la paura dell’AIDS e gli anni del lavoro attraverso crisi economiche di ogni portata. Appassionato di montagna, del Toro di una volta e di scrittura, ha pubblicato tre romanzi: Hurricanes, ballammo una sola estate (2006), 3 minuti e 40 secondi (2016) e Paradise (2019). Primo in classifica con larga distanza sul secondo su Marte, Giove e Urano. Qualche difficoltà di affermazione soltanto sul pianeta Terra.