“Il mio canto libero” di Mogol cantato dai Fratelli d’Italia in camice bianco

Una spiaggia bianca, un tramonto, un fuoco, una chitarra e un pugno di ragazzi che cantano. Qualcuno si baciava, qualcuno si salutava perchè il giorno dopo sarebbe partito. Era un’estate qualunque, in qualunque posto di mare della nostra meravigliosa Italia, in un tempo neanche poi troppo lontano. Ma ovunque fossimo, non importa se al nord o al sud, su quelle spiagge gli accordi erano quelli e tutti, ma proprio tutti cantavamo “il mio canto libero” di Mogol – Battisti e ci emozionava, ci commuoveva e le lacrime spuntavano anche sul viso del più refrattario. Perchè era un inno di speranza per i giovani, era una di quelle canzoni liberatorie dell’anima, una di quelle che ti facevano sentire immortale, perchè a vent’anni è così che ti senti. Invincibile e immortale. Chi l’avrebbe detto che l’avremmo sentita cantare dalle corsie degli ospedali da quelli che chiamo “i Fratelli d’Italia in camice bianco”.

“Il mio canto libero” di Mogol

Solo chi ha scritto questa poesia, poteva toccarla, modificarla nel testo e riproporla. La canzone cantata da Lucio Battisti un tempo, inno alla gioventù, diventa l’inno di speranza del Coronavirus e, in linea con il nostro tempo, diventa un video. È quello realizzato dalla Federazione Italiana delle Società Medico Scientifiche (Fism) suonato e cantato da medici specialisti e rilanciato sui social della Fism e del Ministero della Salute.

E solo un poeta come Mogol, poteva trovare le parole giuste da mettere in bocca ad una compagine di artisti dilettanti, ma altamente professionisti nel loro lavoro.

Sono i Fratelli d’Italia in camice bianco, sono tutti quei medici che in questo momento giocano alla roulette russa con la vita, tutti i giorni, ogni ora, ogni minuto, per salvare quella degli altri.

I Fratelli d’Italia in camice bianco

Anche loro hanno avuto una vita fino a qualche settimana fa. Ce l’avrebbero ancora ora, ma non possono permettersi di viverla. Non possono permettersi di staccare la spina (perdonatemi, lo so che è brutto, ma è così) dal loro lavoro, perchè il loro lavoro è la loro vita. Non possono abbracciare le proprie mogli, i propri mariti, i propri figli, i propri genitori. Nella solitudine del loro camice bianco crollano davanti alla tastiera del loro pc, negli sgabuzzini, nelle lavanderie, rigorosamente degli ospedali.

Hanno il volto livido, con dei segni impressionanti, lasciati dalle mascherine e dagli occhiali. Hanno il volto stanco, stravolto dal sonno e dall’orrore che li accompagna ormai da mesi.

Ma sono li, imperterriti, e hanno anche la forza di sorriderci e di dirci “#andràtuttobene, basta che restiate a casa”. Ce lo chiedono per favore, con le lacrime agli occhi e la morte nel cuore.

Molti di loro si sono ammalati, alcuni sono morti senza neanche aver potuto salutare i propri cari, esattamente come tutti quelli che hanno cercato disperatamente di curare. Ma hanno avuto la forza, fino in fondo, di non abbandonare.

Il mio canto libero mogol fratelli d'Italia una infermiera sorride con i segndella mascherina sul viso

La solitudine dei numeri primi

Sono rimasti soli, e gridano aiuto. Soli, perchè tutta questa avventura è inizata con i soli mezzi a disposizione, fino ad esaurire ossigeno e mascherine. Fino ad esaurire posti letto. Si sono inventati sale di accoglienza per i pazienti rinunciando a spazi personali, hanno murato reparti per creare sale di terapie intensive. Hanno le mani spellate dal gel disinfettante, saltano i pasti, e il loro letto è un ricordo lontano. Ma hanno avuto la forza di andare avanti. Comunque.

Lasciati soli anche da quei colleghi (per fortuna pochi) che si sono messi in mutua. Ma la paura si sa, è umana. Lasciati soli da quelli che hanno fatto il bando, si sono fatti assumere e il giorno dopo si sono messi anch’essi in malattia. Purtroppo gli sciacalli ci sono, anche di questi tempi.

Ma in compenso sono arrivati i cubani, i cinesi e i russi, stretti in un abbraccio universale di solidarietà. Anche loro, per un pò, Fratelli d’Italia in camice bianco.

La gente li applaude, li ringrazia, ma i medici hanno altri compagni di av-s-ventura. Attorno a loro ruotano infermieri, paramedici, volontari che condividono la stessa sorte. Li senti passare quando il silenzio spettrale della notte è squarciato dal suono delle ambulanze. Li senti sorridere quando qualcuno guarisce e torna a casa. Li senti respirare quando bevi il tuo caffè al mattino e non hai la febbre.

Ora ascoltali, non sentirli soltanto. Ascoltali, perchè per farti capire quanto sia importante restare a casa, hanno anche trovato la forza di cantartelo.

Perchè nessuno di noi è invincibile e immortale.

“Il mio canto libero” di Mogol

Tina Rossi
Tina Rossi
(a.k.a. Fulvia Andreatta) Editrice. Una, nessuna e centomila, il suo motto è “è meglio fingersi acrobati, che sentirsi dei nani” Dice di sé:” Per attimi rimango sospeso nel vuoto,giuro qualche volta mi sento perduto, io mi fido solo del mio strano istinto, non mi ha mai tradito, non mi sento vinto, volo sul trapezio rischiando ogni giorno, eroe per un minuto e poi...bestia ritorno...poi ancora sul trapezio ad inventare un amore magari...è solo invenzione, per non lasciarsi morire...”