“Il Ragazzaccio” di Paolo Ruffini: la vita in un ciak

Recensione del film “Il Ragazzaccio” di Paolo Ruffini.

On and on the rain will fall, like tears from a star like tears from a star…on and on the rain will say, how fragile we are how fragile we are“.

Dio sa quando parlare, basta saper ascoltare. Magari lo fa in modo strano, ma lo fa ed è un poeta.

Vado a vedere il film Il Ragazzaccio, e quando esco, la prima cosa che sento è questa canzone. Una canzone che arriva, guarda caso, proprio dopo aver vissuto un paio d’ore di emozioni forti, intense, inaspettate e forse neanche così troppo volute. Si perchè è più comodo non ricordare, lasciarsi le cose alle spalle e far finta che vada tutto bene, piuttosto che alzarsi ogni giorno e ogni giorno ricordarsi di quanto la vita sia così poco coccolata, valorizzata e considerata.

Direte: “cosa c’entra con il film di Paolo Ruffini?”. C’entra. C’entra eccome.

How fragile we are… Quanto siamo fragili. Quanto siamo presuntuosi, quanto siamo incoscenti. Chiusi nei nostri cappotti mentali corriamo, corriamo…

Corriamo con le auto in mezzo al traffico, pronti a strombazzare col clascson appena diventa verde il semaforo e ci incazziamo con il pedone che camina più lento. Corriamo, corriamo… Di corsa facciamo la spesa, di corsa facciamo la doccia, prepariamo la cena. E sempre di corsa abbracciamo il figlio davanti alla scuola, di corsa ci guardiamo allo specchio e di corsa riprendiamo la strada.

Corriamo, corriamo…ma dove dobbiamo andare?

Ma, prima o poi, arriva il giorno in cui ci si deve fermare, e quel giorno è arrivato: 9 marzo 2020.

Data Zero

Ognuno di noi ha un ricordo indelebile di quel giorno in cui il premier Conte ha annunciato il lockdown. Ognuno di noi sa esattamente dov’era, con chi era e cosa stava facendo. E ognuno di noi sa bene cosa è successo, dopo.

Ma ognuno di noi, come ha percepito la chiusura?

Quali conseguenze ha, ancora oggi, sulla nostra psiche, sui nostri comportamenti e sulle nostre azioni, quel tempo sospeso tra il 2020 e il futuro?

Ci vorrebbero due anni a persona, per raccontare e ascoltare le storie delle donne, degli uomini, dei ragazzi, delle famiglie. Per ascoltare la storia dei medici, degli infermieri, dei poliziotti, dei preti e degli insegnanti.

Per ascoltare. E per comprendere?

Quanto tempo ci vorrà per comprendere, per capire dove ci sta portando questo tempo, questo contesto?

A Paolo Ruffini sono bastate poco meno di due ore, per metterci di fronte a questi interrogativi.

Il Ragazzaccio

Per onor di cronaca, è giusto, per chi non l’ha ancora visto, scrivere un minimo di trama.

Il Ragazzaccio - Paolo Ruffini - la locandina del film nera con in bianco e nero la foto nascosta dalle ombre, degli occhi di un ragazzo

Mattia (Alessandro Bisegna) è un adolescente, insofferente alle regole. È uno di quelli che vengono regolarmente sbattuti fuori dalla classe, uno di quelli che accumula dagli insegnanti sempre lo stesso giudizio: “è intelligente ma non si applica”. Mattia è arrabbiato. È arrabbiato con i suoi genitori e forse col mondo intero.

Frequenta il liceo classico e nella sua mente l’incubo della bocciatura è più minaccioso dell’incubo del Covid-19, che è esploso in Italia e che di lì a poco sarà riconosciuta come la pandemia più invasiva di tutti i tempi. Nel silenzio ansiogeno della quarantena, Mattia trascorre le giornate chiuso nella sua stanza, tra una video lezione in DAD e uno scherzo di pessimo gusto, con i suoi compagni. E’ il classico studente “disturbatore”, quello che fa il pagliaccio per far divertire tutti, cosī é accettato e piace alla crew.

Un ragazzaccio.

Mattia, però, va oltre. Tra fare il pagliaccio e bullizzare un compagno disabile (Alex Cesca), il passo è breve. Un confine che oltrepassa così velocemente da non rendersene neanche conto.

In un clik si gioca la reputazione, la stima e la fiducia (conquistata a fatica) dell’unico prof che crede in lui (uno straordinario Beppe Fiorello),e della ragazza (Jenny De Nucci) che (finalmente) tocca le corde del suo cuore.

E’ in questa situazione che Mattia scopre l’amore, ma anche l’importanza del rispetto.

“Il Ragazzaccio” non è, però, solo la storia di Mattia e non affronta solo il tema del bullismo e del cyberbullismo. E’ anche, e soprattutto, la storia di una famiglia, di una società intera.

Gli altri siamo noi

Mattia è la “scusa” intorno alla quale ruota tutto il senso del film. Perchè i ragazzi sono i padri e le madri di domani.

Sono gli agnelli allevati intensivamente nelle aule di una scuola vecchia che ha preconcetti e troppa muffa sui muri per essere adatta a prepare i futuri custodi del pianeta. E se c’è qualche professore che si salva, c’è di sicuro una circolare che lo ferma. Una scuola che in un’era di globalizzazione continua a insegnare e pratica l’esclusione a discapito dell’inclusione, concetto che, purtroppo, si è rafforzato con la pandemia, anzichè autodistruggersi nel dolore comune.

Ecco dove nascono e crescono i “corridori” della società, vittime inconsapevoli e innocenti di un mondo che non sa come autogestire la felicità, ma è maestro nell’infliggere sofferenza.

E per carità, non fatemi la morale sul pessimismo e sul surrealismo della mia visione: è tempo di verità, e la verità è che neanche due anni di pandemia, hanno cambiato le cose.

In guerra o si vince o si migliora“.

Non per tutti è così.

Mattia è il capro espiatorio di una famiglia che il sistema ha messo alla deriva. Una coppia, magistralmente interpretata da Sabrina Impacciatore e Massimo Ghini. Lei, una casalinga depressa che vive tra il telefonino e i social. Lui, un infermiere che si ritrova a fare i conti con un virus che lo mette di fronte a scelte di vita inaspettate, come quella di decidere chi salvare e chi lasciar morire: “Avevo nove pazienti e sei respiratori…“, imprigionato in quel “mi dispiace” che lo accompagnerà per sempre. E anche lui si ammala di Covid.

La scena del monologo del padre sul balcone di casa è da antologia del cinema. Un Massimo Ghini semplicemente sublime. Quei pochi minuti di monologo riassumo il racconto di una società intera, erede dei mali del secolo scorso e vittima delle conseguenze di questo nuovo millennio.

Un disperato bisogno d’amore

Sono una giornalista e a questo punto, il dovere di cronaca vuole invece che si scriva la recensione.

Ebbene, questa volta è davvero difficile scindere la giornalista dalla persona, perchè questo è un film da vedere assolutamente. Non si può percepire tutto quello che esprime, attraverso le narrazione di qualcun altro, ma ci provo, anche se non ci sono parole per elogiare un capolavoro della cinematografia, come quello realizzato da Paolo Ruffini, degno del miglior Bertolucci.

Ruffini ha probabilmente usato una bacchetta magica per realizzare questo film, e se non è così, ha usato tutta la sua sensibilità per raccontare e, allo stesso tempo, scattare una fotografia non solo del vissuto, ma del percepito. Perchè al di là delle immagini che sono uno spaccato di ricordi collettivi, Paolo Ruffini ha saputo sollecitare una memoria interiore, quella dell’anima, che ha raccolto e conservato le emozioni, le paure e le contraddizioni dell’essere umano, quando è messo in cattività.

“La cosa più contagiosa al mondo è ancora l’amore”

Con gentilezza, con semplicità e con tanta umiltà, ecco emergere i mali più reconditi ma più palesi della nostra società, a partire da dove la vita si impara: i banchi di scuola. Una società che insegna ai nostri figli a sopravvivere con l’apparenza, a invidiare chi sta meglio e a disprezzare chi sta peggio. Il risultato è una mancanza di equilibrio che genera un’eterna insoddisfazione di ciò che si ha, perchè non ne apprezziamo il valore.

Ma dietro ad ogni ragazzo, o ragazzaccio, c’è solo e sempre un unico male: la mancanza d’amore. La mancanza di quell’abbraccio che abbiamo troppo fretta per darlo con calore, prendendoci il tempo di annusare il profumo della pelle di nostro figlio, di nostra madre, di nostro marito, del nostro amico.

Un abbraccio che manca da tempo, da molto prima che fosse vietato per legge. Un abbraccio sincero, caloroso, di quelli di cui ti puoi fidare. Perchè è questo che succede, anche nelle migliori famiglie.

il ragazzaccio Paolo Ruffini - nella foto su sfondo nero la scritta "La cosa più contagiosa al mondo è ancora l'amore"
Dal film “Il Ragazzaccio”

Time

Per finire, dopo l’onor e il dovere di cronaca, e dopo la recensione, la chiusura spetta all’analisi e, quindi, ecco la morale.

Prendersi il tempo di amare e di farci amare. E’ il tempo il nostro vero tesoro e non lo teniamo in banca e non bisogna perdere tempo, ma impiegarlo, perchè è il nostro investimento più prezioso.

L’immortalità è di tutti, basta considerare il concetto di “immortale” dal giusto punto di vista. Ogni volta che riusciamo a lasciare qualcosa di noi in qualcuno, attraverso i nostri comportamenti, le nostre azioni, creiamo la nostra immortalità. Se ciò che abbiamo seminato in vita, mette radici nel cuore di qualcuno e vive attraverso lui, e viene trasmesso ad altri dopo di lui, saremo immortali.

Diversamente, saremo dimenticati.

In questo emisfero di mondo, si è creata una società che non ci dà il tempo di pensare, è tutto un “fare” e “avere” ma poco “sentire”. Però, sotto i nostri piedi, nell’ altro emisfero, il tempo passa in modo differente e la gente riesce a prendersi il tempo di godere delle bellezze della natura, in alcuni posti ci vivono in simbiosi, e le relazioni sociali e famigliari sono ancora la priorità di vita.

Vita…una parola che racchiude l’inizio e la fine della storia di ognuno di noi. Non importa quanto sarà lunga, è la nostra storia, l’importante è mai dimenticare che il finale “felici e contenti” dipende solo da noi e dalla qualità del Tempo che abbiamo vissuto. 

Quando il mio amico Riccardo mi ha consigliato di andare a vedere “Il Ragazzaccio” di Paolo Ruffini, non immaginavo certo che, a fine proiezione, avrei dovuto fare i conti con me stessa.

Grazie Paolo.

“Il Ragazzaccio” – Trailer

Credits

Il film “Il Ragazzaccio” è diretto da Paolo Ruffini.

Il cast è composto da Giuseppe Fiorello, nei panni del professor Roncucci, Massimo Ghini, padre di Mattia e Alessandro Bisegna, nel ruolo di Mattia.

Le parti femminili sono interpretate da Sabrina Impacciatore, madre di Mattia, e Jenny De Nucci, Lucia.

Prodotto da Vera Film in collaborazione con Simone Valenza – Minerva Pictures – con il sostegno di Di.Te. Associazione Nazionale dipendenze tecnologiche, Gap e Cyberbullismo, è distribuito da Adler Entertainment – Minerva Pictures, ed è in programmazione in tutti i cinema italiani.

Tina Rossi
Tina Rossi
(a.k.a. Fulvia Andreatta) Editrice. Una, nessuna e centomila, il suo motto è “è meglio fingersi acrobati, che sentirsi dei nani” Dice di sé:” Per attimi rimango sospeso nel vuoto,giuro qualche volta mi sento perduto, io mi fido solo del mio strano istinto, non mi ha mai tradito, non mi sento vinto, volo sul trapezio rischiando ogni giorno, eroe per un minuto e poi...bestia ritorno...poi ancora sul trapezio ad inventare un amore magari...è solo invenzione, per non lasciarsi morire...”